DIRITTO PENALE MILITARE  REATI CONTRO LA PERSONA

 

DIRITTO PENALE MILITARE  REATI CONTRO LA PERSONA

 

 

DIRITTO PENALE MILITARE  REATI CONTRO LA PERSONA

 

 

 

Capo III
REATI CONTRO LA PERSONA.

Art. 222. Percosse.

Il militare, che percuote altro militare, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione militare fino a sei mesi.
Tale disposizione non si applica, quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.

Art. 223. Lesione personale.

Il militare che, cagiona ad altro militare una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare da due mesi a due anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai dieci giorni, e non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dagli articoli 583 e 585 del codice penale, si applica la reclusione militare fino a sei mesi.

Art. 224. Lesione personale grave o gravissima.

Se la lesione personale, commessa dal militare a danno di altro militare, è grave, si applica la reclusione da due a sette anni. Se la lesione personale è gravissima, si applica la reclusione da cinque a dodici anni.

Art. 225. Circostanza aggravante e circostanza attenuante.

Nei casi preveduti dai due articoli precedenti, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se ricorre alcuna delle circostanze aggravanti indicate nell’articolo 576 del codice penale; ed è aumentata fino a un terzo, se ricorre alcuna delle circostanze aggravanti indicate nell’articolo 577 di detto codice, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive.
Se alcuno dei fatti preveduti dai tre articoli precedenti è commesso a causa d’onore, nelle circostanze indicate nell’articolo 587 del codice penale, si applicano le disposizioni di detto codice, sostituita la pena della reclusione militare alla pena della reclusione.

(1) Per effetto dell’art. 1 Legge n. 442 del 5 agosto 1981, l’art. 587 c.p. è stato abrogato; di conseguenza, il secondo comma dell’art. 225 codice penale militare di pace è ora privo di efficacia.

Art. 226. Ingiuria.

Il militare, che offende l’onore o il decoro di altro militare presente, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a quattro mesi.
Alla stessa pena soggiace il militare, che commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione militare fino a sei mesi, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

Art. 227. Diffamazione.

Il militare, che, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni.
Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate.


Art. 228. Ritorsione. Provocazione.

Nei casi preveduti dall’articolo 226, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 226 e 227 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

Art. 229. Minaccia.

Il militare, che minaccia ad altro militare un ingiusto danno, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a due mesi.
Se la minaccia è grave, si applica la reclusione militare fino a sei mesi.
Se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339 del codice penale, la pena è della reclusione militare fino a un anno.

avvocato penale Bologna

Corte Suprema di Cassazione

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Sez. 1, Sentenza 16.06.2005 – 02.08.2005 n.29211

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FAZZIOLI Edoardo – Presidente –
Dott. CHIEFFI Severo – Consigliere –
Dott. SILVESTRI Giovanni – Consigliere –
Dott. GRANERO Francantonio – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) —————-;
avverso SENTENZA del 01/02/2005 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GARINO Vittorio che ha concluso per l’annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Udito il difensore avv. ROMEO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 3.12.2003 il Tribunale Militare di Padova dichiarò il Maresciallo dei Carabinieri —————– responsabile del reato di diffamazione militare aggravata, ai sensi degli artt. 227, commi 1 e 2, e 47 n. 2 del codice penale militare di pace, perché, nel redigere il rapporto informativo relativo al militare dipendente ——————-, addetto al ————–, per il periodo dall’11 febbraio al 27 aprile 2000, scriveva che lo stesso era “partigiano, aggressivo, fiacco, con scarsa fiducia in se stesso, ambiguo, con scarsa iniziativa, indeciso non convincente, ossequioso verso i superiori….. altezzoso con gli inferiori“, con le aggravanti di essere militare rivestito di un grado e di avere commesso il fatto in atto pubblico e, concesse le attenuanti generiche, lo condannò alla pena di quattro mesi di reclusione militare con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione.
Il Tribunale Militare ritenne che il Maresciallo ——–, nel redigere la scheda valutativa del —–, pur avendo il diritto di elencare i dati, da lui ritenuti negativi, della personalità del sottoposto, fosse peraltro nel caso specifico venuto meno ai propri doveri, volendo dare del Maresciallo —– una immagine strumentalmente falsa, in totale dispregio dei dati in suo possesso che avrebbero dovuto condurre a diverso risultato, posto che il Maresciallo —– aveva sempre avuto la qualifica di eccellente, anche da parte del maresciallo —– per periodi precedenti, senza che nulla fosse allo stesso addebitabile con riguardo al periodo in contestazione, tanto che il primo revisore, Colonnello —–, aveva respinto la valutazione del —– restituendo al —– la qualifica di eccellente.
Il Tribunale Militare respinse nel contempo la tesi difensiva per cui il giudizio negativo sul —– fosse addebitabile ad un calo di rendimento dello stesso e degli altri militari addetti al —–nel periodo in contestazione, con particolare riguardo ad un sequestro eseguito presso la ditta —–, che, ad avviso dei superiori, era stato al contrario gestito con alta professionalità, seguendo le direttive del proprio superiore e della autorità giudiziaria, mentre invece addebitò il rapporto negativo nei confronti del —– alla situazione che si era creata, proprio in quel periodo, all’interno del NAS di Treviso a causa dei comportamenti “pressanti” del —– che, a seguito di una segnalazione da parte dei Marescialli —–, —–e —–, era stato oggetto di una sanzione disciplinare per omessa segnalazione di un incidente stradale occorso con un mezzo della amministrazione e di una denuncia penale per avere dato uno schiaffo al Maresciallo —–. Quanto all’elemento materiale del reato di diffamazione militare, il Tribunale Militare lo individuò nella comunicazione lesiva dell’altrui reputazione insita nel rapporto informativo, che, essendo sottoposto ad una serie di adempimenti formali, doveva essere conosciuto da più persone, mentre, in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico, valorizzò la coscienza e la volontà con cui l’imputato aveva redatto il rapporto destinato ad essere conosciuto da altri con piena consapevolezza dell’attitudine offensiva delle valutazioni contenute nella scheda, senza che nel contempo rilevassero, non essendo previsto il dolo specifico, le ragioni di rivalsa o diverse per cui l’imputato aveva espresso la valutazione negativa sulla scheda del —–.
La Corte Militare di Appello, investita dall’appello dell’imputato che aveva dedotto la mancanza degli elementi costitutivi del reato contestato ed in via subordinata aveva chiesto la esclusione della aggravante dell’atto pubblico, con conseguente declaratoria di non doversi procedere per difetto di richiesta, con sentenza in data 1.2.2005 ha confermato il giudizio di responsabilità dell’imputato in ordine al reato così come contestato, rilevando in particolare che le note caratteristiche avevano natura pacifica di atto pubblico in quanto atto preparatorio di un atto complesso destinato ad essere conosciuto da più persone e da diversi enti, nel cui ambito tutti gli atti preparatori avevano la stessa rilevanza, ai fini penali e potevano essere conosciuti anche dall’interessato, essendo venuta meno la antica riservatezza di cui erano dotati tali atti, ma ha ridotto la pena a due mesi di reclusione militare sostituita con la pena pecuniaria di 3.000 euro.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato lamentando, con tre distinti motivi:
– violazione di legge e difetto di motivazione per avere la Corte d’Appello Militare ritenuto che il giudizio valutativo fosse destinato ad essere comunicato a più persone mentre invece era stato diretto in busta chiusa al solo primo revisore, a norma degli artt. 12, 1 comma e 6, 1 comma, del D.P.R. n. 1431 del 1965 e difettando comunque la volontà da parte dell’imputato della diffusione dello scritto di carattere diffamatorio;
– difetto di motivazione e travisamento dei fatti per avere l’imputato usato esclusivamente la fraseologia prevista dal regolamento;
– erronea interpretazione di legge e difetto di motivazione per avere la Corte di merito ritenuto che le note caratteristiche fossero un atto pubblico benché nella specie fossero state modificate dal primo revisore Colonnello —– con la conseguenza che l’unico atto che poteva avere rilevanza giuridica e valore probatorio all’interno della Amministrazione era quello del primo revisore. Il Procuratore Generale Militare presso questa Corte ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, essendo i termini usati nel rapporto previsti dal regolamento per la valutazione delle qualità dei militari e quindi non offensivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, che attiene alla pretesa mancanza del requisito della divulgazione dell’offesa, almeno alla stregua della volontà dell’imputato che avrebbe diretto le note caratteristiche del Maresciallo —– al Primo Revisore perché restassero nella esclusiva disponibilità di costui, occorre rilevare che, in tema di diffamazione, sussiste il requisito della divulgazione dell’offesa, integrato dalla comunicazione con più persone, non solo quando l’agente prenda direttamente contatto con una pluralità di persone, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata ad essere riferita almeno ad un’altra persona (v. per tutte Cass. 15.3.1993 n. 2432).
Diverso è ovviamente il caso in cui la comunicazione diretta ad una sola persona sia confidenziale e destinata a rimanere segreta nelle intenzioni dell’autore del fatto, non essendo prevista la ipotesi di diffamazione colposa (v. Cass. 12.2.1999 n. 1794), però nel caso in esame le note caratteristiche non erano certamente una notizia confidenziale, in quanto erano destinate ad essere prese in esame dai revisori, ad essere inserite nel fascicolo personale dell’interessato e ad essere utilizzate anche in futuro da tutti i superiori nelle valutazioni successive, che necessariamente dovevano partire da quelle pregresse ed anche per altri fini di ufficio. L’imputato aveva quindi piena coscienza della propalazione dell’offesa poiché la comunicazione a più persone era in re ipsa nel caso di note caratteristiche redatte dal superiore gerarchico e destinate ad essere comunicate, oltre che all’interessato, a numerose persone e cioè, oltre che immediatamente ai revisori, a tutti coloro che avevano l’accesso al fascicolo della persona offesa. Anche il secondo motivo è infondato.
In tema di reato di diffamazione la sfera morale altrui può essere lesa sia con modalità direttamente ed oggettivamente aggressive del diritto all’apprezzamento e alla opinione altrui, sia con modalità che, oggettivamente non lesive, diventino tali per le forme in cui vengono estrinsecate (v. Cass. 25.6.1985 n. 6383 proprio in relazione al reato di diffamazione militare commesso mediante una opposizione ad un trasferimento deciso dal comando superiore nei confronti di un sottufficiale dei Carabinieri).
A tale proposito non rilevano quindi le parole usate e non interessa neppure che siano state utilizzate espressioni non scurrili, contenute nel quadro dei termini da utilizzare per la valutazione delle singole qualità dei militari, poiché non sono soltanto le espressioni scurrili ad essere diffamatorie, mentre invece possono esserle anche altre espressioni oggettivamente non vere e non obiettive che aggrediscono la sfera del decoro professionale ed addirittura anche mere allusioni subdole, poiché ciò che interessa non sono le parole bensì le forme con cui le offese vengono estrinsecate. E ciò è quanto, appunto, è avvenuto nel caso in esame in cui l’imputato ha gravemente offeso la reputazione del Maresciallo —– attribuendogli, con espressioni inaccettabili, caratteristiche professionali lesive del suo onore e decoro e completamente false, sia in relazione alla “storia” professionale dell’interessato, sia con riguardo ad un preteso comportamento erroneo che il —– avrebbe tenuto nel periodo in considerazione, essendo rimasto escluso in tutte le sedi che ciò fosse avvenuto, tanto è vero che al —– è stata restituita la qualifica di eccellente che aveva avuto in precedenza e che meritava anche nel periodo in considerazione.
Quanto infine al terzo motivo è appena il caso di rilevare che le note caratteristiche attraverso cui è avvenuta la diffamazione militare sono certamente atti pubblici, tali essendo, agli effetti della tutela penale, in cui il concetto di atto pubblico è più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., non solo gli atti redatti da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (quale era certamente l’imputato) ma anche addirittura gli atti interni e quelli preparatori di una fattispecie documentale complessa ed addirittura le dichiarazioni del privato al pubblico ufficiale (v. Cass. 13.8.1998 n. 9358). Nè rileva in proposito che successivamente le note caratteristiche del Maresciallo —– siano state modificate dal Revisore Colonnello —– poiché l’atto pubblico resta tale anche se successivamente modificato o abrogato o revocato, dovendosi altrimenti escludere che esista la diffamazione militare commessa in atto pubblico tutte le volte in cui, a seguito della impugnativa del diffamato, l’atto venga riformato o revocato, il che non pare seriamente sostenibile.
Il ricorso deve essere pertanto respinto perché infondato sotto tutti i profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2005

 

 

 

 

Originally posted 2018-08-14 08:39:01.