REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa – Direttore responsabile – Omesso controllo sul contenuto della pubblicazione – Pubblicazione di una lettera pervenuta al giornale – Omessa verifica della fondatezza delle affermazioni denigratorie – Reato – Sussistenza. (Cp, articoli 57 e 595; legge 8 febbraio 1948 n. 47, articolo 13) Reati contro la persona – Delitti contro l’onore – Diffamazione – Col mezzo della stampa – Omesso controllo da parte del direttore responsabile – Determinazione della pena – Regole – Fattispecie. Reati contro la persona – Delitti contro l’onore – Diffamazione – Col mezzo della stampa – Indicazione nominativa del soggetto passiva – Necessità – Esclusione – Condizioni.

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa – Direttore responsabile – Omesso controllo sul contenuto della pubblicazione – Pubblicazione di una lettera pervenuta al giornale – Omessa verifica della fondatezza delle affermazioni denigratorie – Reato – Sussistenza. (Cp, articoli 57 e 595; legge 8 febbraio 1948 n. 47, articolo 13) Reati contro la persona – Delitti contro l’onore – Diffamazione – Col mezzo della stampa – Omesso controllo da parte del direttore responsabile – Determinazione della pena – Regole – Fattispecie. Reati contro la persona – Delitti contro l’onore – Diffamazione – Col mezzo della stampa – Indicazione nominativa del soggetto passiva – Necessità – Esclusione – Condizioni.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora l’espressione lesiva dell’altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 595 cod. pen.

L’art. 57 cod. pen., nel prevedere che l’omesso controllo da parte del direttore responsabile di un periodico a stampa sia punito con la pena “stabilita” per il reato eventualmente commesso con la pubblicazione, istituisce un criterio autonomo di determinazione di tale pena, ancorato a quella astrattamente prevista per il suddetto reato, così come eventualmente circostanziato, e non già a quella concretamente irrogata al colpevole, senza che però l’eventuale circostanza aggravante debba ritenersi riferibile anche al reato d’omesso controllo.

 

Integra l’ipotesi di reato di cui all’articolo 57 del Cp la condotta del direttore responsabile di un quotidiano il quale autorizzi la pubblicazione di una lettera dal contenuto denigratorio, omettendo di controllare se sia stata fatta una verifica non solo sulla fondatezza delle affermazioni in essa contenuta, ma sulla stessa esistenza del mittente e sulla riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico. 

la condotta di “pubblicazione mediante l’inserimento in una bacheca facebook”, ne’ alcuna effettiva ragione al riguardo sarebbe stata addotta dalla Corte di merito nel provvedimento impugnato.

Sul tema deve rammentarsi in proposito l’insegnamento di Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051 secondo cui, per aversi mutamento del fatto – rilevante ai fini della violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen. – occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche’, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e’ del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.

Nella scia di tale autorevole arresto, la giurisprudenza di legittimita’ successiva ha ulteriormente delineato l’ambito di operativita’ del difetto di correlazione tra accusa e sentenza, che rileva solo allorche’ si verifichi una trasformazione o sostituzione delle condizioni che rappresentano gli elementi costitutivi dell’addebito e non gia’ quando il mutamento riguardi profili marginali, non essenziali per l’integrazione del reato e sui quali l’imputato abbia avuto modo di difendersi nel corso del processo (Sez. 2, n. 17565 del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012, dep. 2013, Domizi, Rv. 254888), escludendo detta trasformazione o sostituzione quando la contestazione ricomprenda in se’ necessariamente, a livello fattuale, la condotta poi accertata in sentenza (Sez. 2, n. 34147 del 30/4/2015, Agostino, Rv. 264631, in tema di partecipazione ad associazione mafiosa in posizione verticistica o di mero associato; cfr. anche Sez. 5, n. 33878 del 3/5/2017, Vadacca, Rv. 271607, in tema di reati di bancarotta) ovvero quando le condotte coincidano quanto al nucleo essenziale dell’antigiuridicita’ (Sez. 3, n. 31849 del 16/4/2014, Bruzzese, Rv. 260331). Sicche’ la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e l’accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946).

Ebbene, nel caso di specie non si rileva alcuna reale discrasia, dal punto di vista anzitutto del significato fattuale, tra le due condotte che invece si ritengono dalla difesa non coincidenti. L’imputazione si riferisce ad una comunicazione (dei contenuti diffamatori contestati) con piu’ persone, sul social network denominato facebook, che non esclude affatto l’utilizzo di una “bacheca” per tale diffusione (e cioe’ di un “luogo virtuale”, collegato al profilo soda dell’utente, all’interno del quale e’ possibile inserire post, immagini, filmati, link che vengono visualizzati da tutti coloro che hanno accesso a detto profilo).

Anzi, nella indicazione lessicale utilizzata dalla contestazione, certamente dalla valenza generalizzante, deve ricomprendersi senza dubbio qualsiasi condotta di diffusione di contenuti diffamatori tramite facebook, sia con bacheca che con altra modalita’, sicche’ non puo’ dirsi che il ricorrente non fosse stato in grado di conoscere sin dall’inizio il nucleo essenziale della contestazione per potersi da questa difendere: la pubblicazione di contenuti su una “bacheca” facebook, infatti, costituisce una forma di comunicazione con piu’ persone utilizzando tale soda network e, quindi, corrisponde perfettamente alla contestazione.

Cosi’ delineato, in termini generali, il problema, poiche’, dunque, l’abnormita’ non inerisce a quei provvedimenti che, ancorche’ eventualmente adottati in violazione di specifiche norme, rientrano tra gli atti tipici dell’ufficio che li adotta (Sez. 2, n. 5180 del 05/11/1999 – dep. 15/12/1999, Saraceno, Rv. 21518401), l’ordinanza impugnata non puo’ essere qualificata come abnorme, costituendo, piuttosto, l’espressione del potere – attribuito al giudice dell’udienza preliminare – di controllo sulla qualificazione giuridica del fatto: potere che rimane legittimamente esercitato pur se in maniera non corretta in conseguenza dell’erronea interpretazione di una norma giuridica. Tale conclusione, cui il Collegio ritiene di prestare adesione, si appalesa, peraltro, in linea con quanto stabilito da questa Corte nella decisione di casi del tutto sovrapponibili, nei quali e’ stato formulato il principio di diritto secondo cui non e’ abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, ancorche’ sull’erroneo presupposto della qualificazione del fatto come reato procedibile a citazione diretta (Sez. 5, n. 30834 del 3/07/2014 – dep. 11/07/2014, P.M. Trib. Salerno, non mass.; Sez. 1, n. 47766 del 06/11/2008 -dep. 23/12/2008, Lungari, Rv. 242747): “tanto perche’ il giudice dell’udienza preliminare, come ogni altro giudice di fronte alla richiesta delle parti, ha il potere-dovere, quale espressione indefettibile del principio di legalita’ e della funzione di ius dicere, di dare al fatto contestato una diversa definizione o qualificazione giuridica, riconducendo cosi’ la fattispecie concreta allo schema legale che le e’ proprio. E cio’ in forza della valenza generale della regola contenuta nell’articolo 521 c.p.p., comma 1, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni unite di questa Corte di legittimita’” (Sez. 6, n. 41037 del 20/10/2009 – dep. 26/10/2009, Betti, Rv. 24503301).

  1. Nel merito della questione, stima, peraltro, questa Corte che il giudice dell’udienza preliminare non abbia neppure qualificato erroneamente il fatto contestato all’imputato. Infatti, se, come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimita’, anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595 c.p.,
  2. comma 3, poiche’ questa modalita’ di comunicazione di un contenuto informativo suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui, ha potenzialmente la capacita’ di raggiungere un numero indeterminato di persone, perche’ attraverso questa “piattaforma virtuale” gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015 – dep. 01/03/2016, Martinez, non massimata sul punto),
  3. tuttavia, proprio queste peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante, in una con la loro finalizzazione alla socializzazione, sono tali da suggerire l’inclusione della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca “facebook” nella tipologia di “qualsiasi altro mezzo di pubblicita’”, che, ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all’articolo 595 c.p., comma 3, il codificatore ha giustapposto a quella del “mezzo della stampa” (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015 – dep. 08/06/2015, Conflitto di competenza, Rv. 26400701).
  4. L’interpretazione proposta dal Collegio si pone, peraltro, in linea di continuita’ con la soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte, che, nella sentenza n. 31022 del 29/01/2015 – dep. 17/07/2015, Fazzo e altro, Rv. 26409001, dopo avere affermato la legittimita’ di una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa” – cosi’ da estendere alle testate giornalistica telematiche le guarentigie di rango costituzionale e di livello ordinario assicurate a quelle tradizionali in formato cartaceo – hanno ritenuto necessario chiarire che l’esito di tale operazione ermeneutica non puo’ riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook),
  5. ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso piu’ ampio. Il piu’ autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che: “Deve tenersi ben distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo”, ed ha concluso, quindi, con il precisare che: “Anche il social-network piu’ diffuso, denominato Facebook, non e’ inquadrabile nel concetto di “stampa””, essendo: “un servizio di rete sociale, basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama di relazioni tra piu’ persone all’interno dello stesso sistema”.

Originally posted 2019-01-11 09:13:41.