Avvocato per risarcimento incidente mortale-moto mortale moto statale

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VITTIMA DI GRAVE INCIDENTE IN MOTO?

UN TUO FAMIGLIARE E’ MORTO IN UN INCIDENTE IN MOTO?

Avvocato per risarcimento incidente mortale-moto mortale moto statale

RAVENNA ROMEA, BOLOGNA TANGENZIALE RIMINI FORLI CESENA VICENZA TREVISO PADOVA ROVIGO

Il danno da perdita della vita, per rappresentare danno risarcibile, è necessario che sia rapportato a un soggetto idoneo a far valere il relativo credito risarcitorio. Nel caso di morte verificatasi dopo pochissimo tempo dalle avvenute lesioni personali, l’irrisarcibilità e la conseguente ereditabilità del diritto di credito deriva dalla assenza stessa di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita, e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo diritto.

Ribadendo tali principi la Cassazione ha negato la risarcibilità del cosiddetto “danno tanatologico”, rigettando il ricorso degli eredi di un motociclista tragicamente deceduto a seguito d’incidente stradale, considerata la brevità del lasso temporale intercorso tra le gravissime lesioni e il decesso e tenuto conto inoltre della condizione di totale incoscienza in cui il motociclista ha trascorso il suddetto spazio temporale.

La determinazione del danno risarcibile va condotta tenendo anzitutto presente che,

ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento del danno (sia esso derivante da fatto illecito extracontrattuale, che da responsabilità contrattuale), ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo, con la sottesa esigenza, pertanto, che il risarcimento non si risolva in una fonte di lucro per il danneggiato.

 

Ma detta esigenza implica solo che la misura dello stesso risarcimento non superi quella del valore dello specifico bene leso (Cass. n. 15822 del 2005). È allora indubbio che costituisca base di calcolo, per verificare quale sia l’effettiva entità del danno economico da risarcire, il reddito della vittima; partendo quindi da questo imprescindibile dato, occorre poi calcolare quale parte di esso reddito potesse costituire il cd. reddito utile, a tale fine sottraendo la c.d. quota sibi, ovvero, la quota che il defunto avrebbe riservato a sé e per i propri bisogni (Cass. n. 10304 del 2009). Detta quota, ovviamente, varia in relazione alle variabili caratteristiche del nucleo familiare (numero dei suoi componenti, numero dei membri percettori di reddito, consistenza del singolo o dei plurimi redditi, tenore di vita).

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Per quanto, poi riguarda il danno patrimoniale futuro, risarcibile ai congiunti di chi sia deceduto a seguito di fatto illecito, esso può consistere o nella diminuzione di contributi o sovvenzioni; oppure nella perdita di utilità economiche che, per legge (ad es., ex art. 230 bis, 315, 433 c.c.) o per solidarietà familiare, sarebbero state conferite dal soggetto scomparso (Cass. n. 23 del 1988).

CIRCOLAZIONE STRADALEOMICIDIO COLPOSO-Irrilevante la malattia terminale se c’è il nesso morte-incidente Corte di cassazione – Sezione IV – Sentenza 2 dicembre 2010-24 gennaio 2011 n. 2302-Commento

Se l’incidente stradale è causato da una condotta colposa, il reato scatta anche se la vittima ha una malattia terminale. La Corte di cassazione, con la sentenza 2302, sottolinea l’irrilevanza delle condizioni disperate di salute di una giovane affetta da un’epatite fulminante che l’avrebbe comunque portata alla morte, probabilemnte poche ore dopo l’incidente che le è stato fatale. La ragazza era morta, infatti, in seguito alle complicazioni di un intervento che si era reso necessario dopo la sua caduta dal motorino dovuta alla condotta colposa del ricorrente. La Corte precisa che il rapporto di causalità tra l’azione e l’evento può escludersi solo quando si verifica una causa autonoma e successiva “che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico e imprevedibile”, circostanze che, nel caso esaminato dagli ermellini, non si sono verificate. I giudici della Cassazione, perizie alla mano, affermano che non è possibile ritenere che la morte si sarebbe comunque verificata, nei tempi accertati, in assenza della caduta.

CIRCOLAZIONE STRADALEOMICIDIO COLPOSO

Corte di Cassazione sez. V, pen. sentenza 26 marzo 2010, n. 11954

Reato – Causalità (Rapporto di) – Concorso di cause – Cause sopravvenuta o preesistenti da sole sufficienti a determinare l’evento – Nozione – Causa che operi in sinergia con la condotta dell’agente – Sussistenza – Esclusione

Sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l’evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell’imputato, sicchè non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l’evento in sinergia con la condotta dell’imputato, atteso che, venendo a mancare una delle due, l’evento non si sarebbe verificato.

Corte di Cassazione sez. IV, pen. sentenza 22  giugno 2009, n. 26020

Rapporto di causalitàConcorso di cause – Interruzione del nesso di causalità – Causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento – Nozione – Fattispecie. (C.p., articoli 40 e 41)

Ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (articolo 41, comma 2, del Cp), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacché, allora, la disposizione sarebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause (condicio sine qua non) di cui all’articolo 41, comma 1, del Cp. La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, nel senso che è l’agente, con la sua condotta (attiva od omissiva), ad avere posto in essere un fattore causale del risultato,

 

vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato, pur tuttavia non ne risponde se e in quanto la verificazione di questo risulti in concreto dovuto al concorso di fattori sopravvenuti eccezionali (cioè rarissimi).

 

Deve trattarsi, in altri termini, di fattori completamente atipici,

di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, che non si verificano se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. In proposito, dovendosi escludere che possa assumere tale rilievo eccezionale la condotta di un soggetto, pur negligente, la cui condotta inosservante trovi la sua origine e spiegazione nella condotta di chi abbia creato colposamente le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente. (Nella specie, relativa a una contestazione di omicidio colposo formalizzata a carico di alcuni soggetti che avevano, secondo la prospettazione accusatoria, compiuto alcuni interventi improvvidi nella realizzazione di un impianto elettrico, si è escluso che potesse assumere rilievo di causa interruttiva eccezionale l’intervento di altro soggetto che sull’impianto come in precedenza manipolato dagli imputati).

Corte di Cassazione sez. V, pen. sentenza 9 aprile 2002, n. 13530

Omicidio preterintenzionaleNesso di causalità tra l’aggressione e la morte – Interruzione – Patologie pregresse – Rilevanza – Esclusione. (Cp, articoli 41, comma 2, e 584)
 
In tema di omicidio preterintenzionale, non interrompe ex articolo 41 comma 2, del Cp il nesso di causalità tra la condotta aggressiva che ha determinato le percosse o le lesioni e l’evento morte l’aggravamento di precedenti malattie, dovuto ai colpi subiti dalla vittima o anche determinato dal particolare stress fisico o psichico cagionato dall’aggressione.

Corte di Cassazione sez. I, pen. sentenza 8 agosto 2000, n. 8866

Reato – Causalità (Rapporto di) – Concorso di cause – Equivalenza nella produzione dell’evento

In tema di rapporto di causalità, la legge penale accoglie il principio di equivalenza delle cause, riconoscendo il valore interruttivo della seriazione causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente, svincolate dal comportamento del soggetto agente e assolutamente autonome. Ne consegue che il decesso della vittima del reato, pur affetta da pregresse patologie, se dovuto a complicazioni susseguenti ad operazione chirurgica resa necessaria dalla condotta lesiva dell’agente, non esclude il nesso eziologico tra la condotta stessa e l’evento.

Corte di Cassazione sez. IV, pen. sentenza 28 aprile 1983, n. 3903

In tema di omicidio stradale, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., non ricorre nel caso in cui sia stato accertato un comportamento della vittima perfettamente lecito e completamente estraneo al decorso causale dell’evento colposo. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso l’attenuante in relazione ad un tamponamento violento che aveva causato la morte di una persona che, munita di cintura di sicurezza, si trovava alla guida di un’autovettura ferma al semaforo rosso, escludendo che potesse considerarsi fattore concausale, cui rapportare la minore gravità della condotta, il tipo di autovettura della vittima – d’epoca e priva di “air bag”, con telaio leggero e assetto estremamente basso – dotata, comunque, dei requisiti di sicurezza previsti dalla legge per circolare).

In tema di omicidio stradale, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., che fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole, ricorre non solo nelle ipotesi costituite dal contributo concorrente fornito dalla vittima nella determinazione dell’evento, ma anche in ogni altra ipotesi che sia dipesa dalla condotta di altri conducenti e da altri fattori esterni da individuarsi di volta in volta.

Il reato di omicidio stradale (art. 589 bis c.p.), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 23 marzo 2016 n. 41, costituisce una figura autonoma di reato e non una fattispecie circostanziata del comune reato di omicidio colposo, la cui applicabilità come norma sopravvenuta più favorevole nel caso di cui al comma VII, (che prevede la riduzione fino alla metà della pena ordinaria della reclusione da due a sette anni “qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole”) non potrebbe tuttavia aver luogo nell’ipotesi che siano state riconosciute al colpevole le attenuanti generiche, valutate come equivalenti all’aggravante di cui all’allora vigente terzo comma dell’art. 589 c.p., giacchè per effetto di tali attenuanti la pena minima applicabile sarebbe quella di mesi sei di reclusione, prevista per il reato non aggravato dal primo comma di detto ultimo articolo, mentre quella applicabile ai sensi del comma VII dell’art. 589 bis sarebbe quella di mesi otto.

Le fattispecie tipizzate negli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen. (omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime), introdotti dall’art. 1 della legge 23 marzo 2016, n. 41, costituiscono fattispecie autonome e non ipotesi aggravate dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose

Danno non patrimoniale per la morte del congiunto

Tabelle Milano 2021daa
A favore di ciascun genitore per la morte di un figlio 168.250,00 336.500,00
A favore del figlio per morte di un genitore168.250,00336.500,00
A favore del coniuge (non-separato) o del convivente sopravvissuto168.250,00336.500,00
A favore del fratello per morte di un fratello 24.350,00 146.120,00
A favore del nonno per morte di un nipote 24.350,00 146.120,00

Tabelle Milano 2013

daa
A favore di ciascun genitore per la morte di un figlio 163.080,00 326.150,00
A favore del figlio per morte di un genitore  163.080,00 326.150,00
A favore del coniuge (non-separato) o del convivente sopravvissuto  163.080,00 326.150,00
A favore del fratello per morte di un fratello 23.600,00 141.620,00
A favore del nonno per morte di un nipote 23.600,00 141.620,00

Tabelle Milano 2014daa
A favore di ciascun genitore per la morte di un figlio 163.990,00 327.990,00
A favore del figlio per morte di un genitore  163.990,00 327.990,00
A favore del coniuge (non-separato) o del convivente sopravvissuto  163.990,00 327.990,00
A favore del fratello per morte di un fratello 23.740,00 142.420,00
A favore del nonno per morte di un nipote23.740,00 142.420,00

Tabelle Milano 2018daa
A favore di ciascun genitore per la morte di un figlio 165.960,00 331.920,00
A favore del figlio per morte di un genitore  165.960,00331.920,00
A favore del coniuge (non-separato) o del convivente sopravvissuto  165.960,00331.920,00
A favore del fratello per morte di un fratello 24.020,00 144.130,00
A favore del nonno per morte di un nipote24.020,00 144.130,00


Inoltre, stante il richiamo al principio dell’affidamento contenuto nel secondo motivo di ricorso, va pure ribadito che, in tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale

 

, esso trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. sez. n. 5691 del 02/02/0216, Tettamanti, Rv. 265981; n. 12260 del 09/012/2015, Rv. 263010; n. 8090 del 15/11/2013 Ud. (dep. 20/02/2014), Rv. 259277 (in fattispecie relativa alla collisione tra l’autovettura condotta dall’imputato e la motocicletta occupata dalla vittima, un carabiniere in servizio, che percorreva contro mano e a sirene spiegate la strada ove si era verificato l’impatto); n. 32202 del 15/07/2010, Rv. 248354; n. 32202 del 15/07/2010, Rv. 248354).

Si è pure precisato che il principio di affidamento – che costituisce applicazione di quello del rischio consentito (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 12260 del 09/01/2015, Moccia) – è inteso ad evitare ‘… l’effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze’ e viene meno ‘… allorché l’agente sia gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere…… che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività’ (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 25552 del 27/04/2017, Luciano).

Peraltro, come rilevabile dall’analisi della giurisprudenza sopra citata e come puntualmente osservato nella sopra richiamata sentenza n. 25552/2017, esiste, con riferimento all’ambito della circolazione stradale, una tendenza a escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza, tale condivisibile orientamento più rigorista essendo giustificato, nella materia de qua, dalla circostanza che il contesto della circolazione stradale è meno definito rispetto, per esempio, a quello di èquipe proprio della responsabilità derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie, ma anche dal rilievo che alcune norme del Codice della Strada sembrano estendere al massimo l’obbligo di attenzione e prudenza, sino a ricomprendervi il dovere dell’agente di prospettarsi le altrui condotte irregolari.

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. IV PENALE – SENTENZA 3 dicembre 2018, n.54001

 Pres. Montagni – est. Cappelli


Ritenuto in fatto

 1. La corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del tribunale di quella città, appellata dall’imputato S.M. , con la quale il predetto era stato condannato per il reato di omicidio colposo aggravato, perché – alla guida di un’autovettura – per negligenza e imprudenza, nonché per colpa specifica, consistita nella violazione dell’art. 154 co. 1, 2 e 3 C.d.S., cagionava il decesso del motociclista G.G. .

In particolare, si è contestato al S. di avere effettuato repentinamente e senza utilizzare l’indicatore di direzione, una manovra di svolta a destra, entrando così in collisione con il ciclomotore condotto dalla vittima che procedeva nel medesimo senso di marcia e che, a seguito dell’urto, cadeva a terra procurandosi un trauma cranico con esito letale (in (omissis) ).

La dinamica dell’incidente è stata ricostruita nei termini che seguono nella sentenza impugnata.

I mezzi stavano percorrendo la stessa corsia di marcia,

in buone condizioni di visibilità e della strada. All’altezza di un’intersezione, si verificava la collisione tra la parte posteriore destra della autovettura e la parte anteriore sinistra del motociclo, entrambi procedenti a velocità limitata.

Secondo quanto riferito dal teste oculare V.F. – che viaggiava a distanza di 50 metri circa dietro i veicoli – questi stavano viaggiando sostanzialmente appaiati allorché l’autovettura aveva intrapreso una svolta a destra senza decelerare significativamente e senza attivare l’indicatore di direzione; subito dopo, la parte frontale del ciclomotore entrava in collisione con quella laterale posteriore destra dell’autovettura. Sia il motociclo che il suo conducente cadevano in avanti, il primo, subito soccorso dal V. , impossibilitato a parlare e sanguinante in prossimità del capo.

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo di difensore, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione, anche per travisamento della prova ‘regina’ del processo e erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla valutazione del compendio probatorio (tre consulenze tecniche e testimonianza V. ).

Con il secondo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale con riferimento all’elemento dell’affidamento, avuto riguardo alla posizione illecita assunta dalla vittima (mancata distanza di sicurezza).

3. Con memoria depositata il 27 marzo 2018, la difesa dell’imputato ha sviluppato le argomentazioni esposte in ricorso, sia con riferimento alla valutazione del compendio probatorio, anche per quanto attiene alla dinamica dei fatti, che avuto riguardo al comportamento della vittima, alla luce del principio di affidamento sul comportamento corretto degli altri utenti della strada. 

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La Corte torinese, richiamate le doglianze difensive, le ha disattese, ritenendo che la testimonianza V. fosse del tutto attendibile, oltre che pienamente riscontrata dagli esiti delle consulenze del P.M. e della difesa di parte civile.

In particolare, il primo consulente aveva ritenuto che il S. , dopo aver superato di stretta misura sulla sinistra il ciclomotore, aveva messo in atto una svolta a destra, senza accorgersi che detta manovra interferiva con la traiettoria del ciclomotore che era a ridosso del suo spigolo posteriore destro; pertanto, l’incidente si era verificato per preponderante e grave imprudenza dell’imputato, il quale non si era previamente assicurato di poter effettuare detta manovra in sicurezza. Il casco indossato dal motociclista non era omologato.

Analoghe conclusioni aveva rassegnato anche il consulente di parte civile, che però aveva escluso rilevanza concausale alle caratteristiche del casco indossato dalla vittima, poiché la lesione mortale non era stata quella subita dall’apparato scheletrico, bensì dalla massa encefalica, a causa del suo scuotimento contro la scatola cranica, conclusione condivisa, peraltro, dallo stesso consulente della difesa.

Quest’ultimo, dal canto suo, aveva sostenuto che il motociclo aveva urtato l’auto prima che questa fosse impegnata nella manovra di svolta, deducendolo dalla posizione di quiete assunta dal mezzo a due ruote (abbattuto cioè sul fianco sinistro). Il punto d’impatto, inoltre, si sarebbe collocato all’interno del cono d’ombra, cosicché il motociclo non sarebbe stato neppure visibile utilizzando lo specchietto retrovisore.

L’imputato, con una memoria scritta,

aveva dichiarato di non essersi accorto del ciclomotore e di non averlo superato, avendo solo udito un rumore sordo e, effettuata la svolta, visto dallo specchietto retrovisore un motociclista a terra in mezzo all’incrocio.

Tale ricostruzione, tuttavia, era stata smentita dall’apporto dichiarativo del testimone oculare, sovrapponibile, invece, alle conclusioni dei primi due tecnici. In particolare, la Corte torinese, sempre attingendo alla consulenza del P.M., ha ritenuto, con riferimento alla posizione di quiete del motociclo, che essa fosse giustificata dal movimento rotatorio per la spinta eccentrica di senso orario con andamento da sinistra a destra, che aveva interessato la parte anteriore di quel mezzo; quanto, invece, alla visuale coperta, che essa fosse rimasta una mera allegazione indimostrata, smentita dalle dichiarazioni del teste V. , neppure il S. avendo affermato che lo scooter stesse effettuando un tentativo di sorpasso, avendo anzi riferito di non essersi nemmeno accorto del mezzo a due ruote.

La Corte d’appello ha dato ampia risposta alle perplessità opposte dalla difesa in ordine alla ricostruzione degli eventi.

In primo luogo, ha evidenziato l’indifferenza del teste V. ; ha inoltre escluso che egli avesse dimostrato incertezza nel rispondere, avendo invece espressamente affermato che in un primo momento i due mezzi gli erano sembrati sostanzialmente appaiati, ribadendo il concetto anche nel prosieguo con crescente certezza; quanto, poi, alle condizioni della vittima, la Corte ha dato rilievo – al fine di giustificare la rilevata, non perfetta corrispondenza tra il riferito del teste V. e quello dell’organo accertatore – che il contatto tra i due dichiaranti e il motociclista era avvenuto in momenti diversi (il primo essendosi avvicinato subito dopo l’impatto che aveva determinato lo scuotimento della massa encefalica; il secondo dopo almeno venti minuti dal fatto, ciò che poteva anche giustificare un temporaneo recupero delle capacità del ferito di interloquire).

Neppure le valutazioni del consulente della difesa dell’imputato

erano idonee a incrinare la ricostruzione così operata, avendo il giudice del gravame di merito rilevato la contraddittorietà tra due assunti difensivi (accostamento del S. al margine destro della carreggiata per effettuare la manovra di svolta e impatto dello scooter contro la macchina), già smentiti dalla testimonianza V. e dalla stessa conformazione delle tracce dell’impatto rinvenute sui mezzi (sull’auto erano state infatti trovate tracce gommose lasciate dalla moto nel momento in cui i due mezzi avevano gli assi longitudinali non paralleli, ma tra loro leggermente deviati: il motociclo dritto, l’auto invece inclinato a destra). Quanto all’avvistabilità della moto, la Corte, sempre richiamando le consulenze del P.M. e della parte civile, acquisite al processo, ha ritenuto smentito l’assunto difensivo poiché l’auto aveva l’asse inclinato leggermente a destra, ove si trovava per l’appunto il motociclo.

3. I motivi sono entrambi manifestamente infondati e la loro trattazione unitaria è ampiamente giustificata dall’approccio di metodo che li accomuna: trattasi, invero, di doglianze in punto di fatto, con le quali il ricorrente ha proposto una diversa lettura del dato probatorio, dissonante cioè rispetto a quella che la Corte di merito ha offerto, sulla scorta di un ragionamento del tutto lineare, congruo, logico e non contraddittorio. Rispetto ad esso, il deducente, senza operare un previo, necessario confronto con il ragionamento probatorio condotto nella sentenza, si è limitato a riproporre in questa sede le stesse censure, debitamente esaminate dalla Corte d’appello.

Sul punto, è sufficiente un mero richiamo al costante insegnamento di questa Corte,

 

in ordine ai connotati del sindacato di legittimità e ai requisiti di ammissibilità del ricorso con il quale esso sia sollecitato, non dovendo dimenticarsi che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).

Inoltre, stante il richiamo al principio dell’affidamento contenuto nel secondo motivo di ricorso, va pure ribadito che, in tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale, esso trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. sez. n. 5691 del 02/02/0216, Tettamanti, Rv. 265981; n. 12260 del 09/012/2015, Rv. 263010; n. 8090 del 15/11/2013 Ud. (dep. 20/02/2014), Rv. 259277 (in fattispecie relativa alla collisione tra l’autovettura condotta dall’imputato e la motocicletta occupata dalla vittima, un carabiniere in servizio, che percorreva contro mano e a sirene spiegate la strada ove si era verificato l’impatto); n. 32202 del 15/07/2010, Rv. 248354; n. 32202 del 15/07/2010, Rv. 248354).

Si è pure precisato che il principio di affidamento – che costituisce applicazione di quello del rischio consentito (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 12260 del 09/01/2015, Moccia) – è inteso ad evitare ‘… l’effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze’ e viene meno ‘… allorché l’agente sia gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere…… che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività’ (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 25552 del 27/04/2017, Luciano).

Peraltro, come rilevabile dall’analisi della giurisprudenza sopra citata e come puntualmente osservato nella sopra richiamata sentenza n. 25552/2017, esiste, con riferimento all’ambito della circolazione stradale, una tendenza a escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza, tale condivisibile orientamento più rigorista essendo giustificato, nella materia de qua, dalla circostanza che il contesto della circolazione stradale è meno definito rispetto, per esempio, a quello di èquipe proprio della responsabilità derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie, ma anche dal rilievo che alcune norme del Codice della Strada sembrano estendere al massimo l’obbligo di attenzione e prudenza, sino a ricomprendervi il dovere dell’agente di prospettarsi le altrui condotte irregolari.

7. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000), nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in Euro tremila con accessori come per legge.

P.Q.M.

 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili D.M.S. e G.D. che liquida in Euro tremila oltre accessori come per legge.

Originally posted 2021-04-26 09:04:14.