STALKING VICINI LITI CoNDOMINI BOLOGNA:STALKING CONDOMINIALE

VICINI LITI CoNDOMINI BOLOGNA : STALKING CONDOMINIALE

MOLTO MOLTO DIFFUSO

CHIAMA ADESSO SUBITO 051 6447838 

dell'effetto intimidatorio dei ripetuti danneggiamenti sulla persona offesa e della loro idoneità a produrre in capo alla vittima uno degli eventi contemplati dall'art. 612-bis c.p.
dell’effetto intimidatorio dei ripetuti danneggiamenti sulla persona offesa e della loro idoneità a produrre in capo alla vittima uno degli eventi contemplati dall’art. 612-bis c.p.

LA FRASE:

“SEI UN COGLIONE … TESTA DI CAZZO … VAFFANCULO”; – il 25 gennaio 2012, uscendo sul pianerottolo, si avvicinava al G.V. e gli metteva le mani al collo spingendolo e bloccandolo contro un muro finché lo stesso non si riusciva a divincolarsi. Quindi, insultava e minacciava G.V e D.S. con frasi del tipo “COGLIONI ROTTI IN CULO … VOI DEL —– PIANO SIETE MORTI … SE VI INCONTRO SULLE SCALE VI AMMAZZO … HO LA PISTOLA IO”

VICINI LITI CoNDOMINI BOLOGNA:STALKING CONDOMINIALE

TRIBUNALE DI MILANO Ufficio del giudice per le indagini preliminari ORDINANZA APPICATIVA DI MISURA CAUTELARE – art. 282 bis c.p.p. – Il Giudice per le indagini preliminari. Dott.ssa Stefania Donadeo Letti gli atti del presente procedimento, nei confronti di: XY, nata a Milano il ————, residente in Milano, via —————; – difesa di ufficio dall’avv. —————, del Foro di Milano, con studio in Milano, ————–; INDAGATA: a) del reato di cui all’art. 612 bis c.p. per aver cagionato ai condomini G.V. e D.S., un perdurante e grave stato di ansia e di paura tale da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità, inducendoli a modificare le abitudini di vita. In particolare: – quasi ogni notte (talvolta unitamente a JK, soggetto che spesso soggiorna e pernotta nella sua abitazione), procurava rumori molesti, urlando, in abitazione e sul pianerottolo, colpendo con il martello qualsiasi superficie dell’abitazione, spostando mobili e spesso gettando oggetti di ogni genere dalla finestra; – il 5 aprile 2011, nei pressi dell’ascensore condominiale ed alla presenza di G.V., offendeva l’onore ed il decoro di D.S. proferendo le seguenti parole “SEI UN COGLIONE … TESTA DI CAZZO … VAFFANCULO”; – il 25 gennaio 2012, uscendo sul pianerottolo, si avvicinava al G.V. e gli metteva le mani al collo spingendolo e bloccandolo contro un muro finché lo stesso non si riusciva a divincolarsi. Quindi, insultava e minacciava G.V e D.S. con frasi del tipo “COGLIONI ROTTI IN CULO … VOI DEL —– PIANO SIETE MORTI … SE VI INCONTRO SULLE SCALE VI AMMAZZO … HO LA PISTOLA IO”. Proseguiva con gli insulti e le minacce urlando anche dall’interno della propria abitazione fino alle quattro del mattino, sferrando anche violenti colpi contro la parete di casa; – nella notte fra il 25/26 gennaio 2012, appostandosi sul pianerottolo, li insultava e li minacciava ad alta voce, cantando ad altissima voce tra un impropero e l’altro all’evidente scopo di non farli dormire; – Il 25.1.2012 sull’avviso di convocazione condominiale appeso alla bacheca condominiale aggiungeva a penna la frase: “VIETATO: INVASIONE DI PROPRIETA’ PRIVATA (USCENDONE VIVO) X G.V.”; Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | Telefono: 0289283000 | Fax: 0289283026 | redazione@penalecontemporaneo.it | Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò | Copyright © 2010 Diritto Penale Contemporaneo 2 – il giorno successivo affiggeva un primo biglietto sulla porta dell’appartamento di G.V. e D.S. recante la frase: “MANCA CIRCOLARE KE TU G.V. NON POTEVI TOCCARE SULLA RIUNIONE CONDOMINIALE. RIMETTILA AL SUO POSTO (concludendo con un disegno raffigurante una Croce)”, e poi un secondo con scritto: “MANCA CIRCOLARE SU RIUNIONE CONDOMINIALE DI DOMANI DOVE HO SPECIFICATO CHE G.V. SI E’ INTRODOTTO IN MUTANDE E MAGLIETTA FINO ALLA MIA CUCINA NON USANDO UN MINIMO ACCORGIMENTO. CIRCOLARE ?!!!”; – inviava all’amministratore del condominio un messaggio telefonico SMS con cui screditava il G.V. e lo minacciava con la frase “… MA TI GIURO CHE LO FACCIO CIECO! NON E’ UNA MINACCIA”, costringendoli così: ž ad insonorizzare la camera da letto per attutire le continue urla, insulti e rumori molesti in genere (nel dicembre 2011); ž a prestare la massima attenzione ogni qualvolta debbano entrare od uscire dall’abitazione per evitare di incontrarla ovvero per evitare gli insulti, le minacce e finanche gli sputi; ž ad intraprendere un percorso terapeutico/psicologico, con assunzione di farmaci specifici, in ragione degli stati di ansia ed attacchi di panico manifestatisi; ž valutare la possibilità di trasferirsi in altra abitazione. In Milano, almeno fino all’ ottobre 2012. Indagata inoltre per il connesso reato: b) di cui all’ art. 594 c.p. per aver offeso l’ onere e il decoro di D.S. dicendogli: ” sei un coglione, testa di cazzo … vaffanculo” In Milano il 5.4.2011 evidenziate le parti offese in: – D.S., nato a———–, residente in Milano, ———–, elettivamente domiciliato ex art.33 cpp Disp. Att. in Milano, ————, presso lo studio avv. ———-; – G.V., nato a ———–, residente in Milano, ———-, elettivamente domiciliato ex art.33 cpp Disp. Att. in Milano, ———–, presso lo studio avv. ————-; Esaminata la richiesta avanzata dal P.M. in data 5.12.’12 di applicazione della misura cautelare del divieto di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa OSSERVA: INDIZI DI COLPEVOLEZZA Fonti di prova del presente procedimento sono: la comunicazione notizia di reato datata 23.05.2011 del Commissariato P.S. Milano “Mecenate”; la denuncia/querela presentata in data 3.3.2011 da M.M., amministratrice 3 del condominio nei confronti dell’ indagata; l’annotazione relativa all’intervento effettuato in data 20.01.2011 presso il condominio sito in Milano, ———-, nei confronti dell’ indagata a richiesta di G.V.; la denuncia/querela presentata in data 1.7.2011 da D.S., nei confronti dell’ indagata; la denuncia/querela presentata in data 24.2.2012 da D.S. e G.V., nei confronti dell’ indagata; la comunicazione datata 3.10.2012 del Commissariato P.S. Milano “Mecenate” comprendente; i verbali di sit. rese in data 29.9.2012 da D.S., in data 29.9.2012 da G. V., in data 2.10.2012 da M.M.; la comunicazione datata 25.10.2012 del Commissariato P.S. Milano “Mecenate” comprendente verbale s.i. rese in data 23.10.2012 da D.S.; il verbali di s.i. allegati alla denuncia sporta da M.M. – amministratrice del condominio – il 25.2.2011; i verbali di sit rese in data 29.9.2011 da D.S., in data 29.9.2011 da G.V., in data 11.2.2011 da E.B., in data 18.11.2011 da A.M. Tali fonti di prova hanno consentito una chiara ricostruzione dei fatti oggetto dell’imputazione provvisoria nei termini che seguono:hanno denunciato di essere state costantemente oggetto di molestie da parte dell’indagata XY che li ingiuriava e li minacciava ogni qualvolta li incontrava nel plesso condominiale e senza alcuna ragione. Inoltre, l’indagata talvolta assieme a JK (soggetto a lei legata sentimentalmente che spesso soggiorna e pernotta nella sua abitazione) procurava rumori molesti, principalmente nelle ore notturne, urlando in abitazione e sul pianerottolo, colpendo con uno strumento pesante e rumoroso, tipo un martello, qualsiasi superficie dell’abitazione, spostando/rovesciando il mobilio col chiaro intento di non consentire il riposo dei vicini (denuncianti). Comportamenti aventi la principale finalità di recare disturbo ai vicini impedendo loro di vivere serenamente in casa loro. Azioni che col tempo andavano progressivamente ad aumentare di gravità fino a giungere al 25 gennaio 2012, giorno in cui, sul pianerottolo, la donna aggrediva G.V., mettendogli le mani al collo, come per strangolarlo, e lo bloccava per un breve lasso di tempo al muro finché l’uomo non riusciva a divincolarsi. Nella stessa circostanza, offendeva pesantemente i due vicini di casa e li minacciava di morte, dicendo loro di essere in possesso di una pistola. Nella notte che seguiva, dopo essersi appostata sul pianerottolo, provvedeva ad insultarli e minacciarli ad alta voce e cantava ad altissima voce, tra un improperio e l’altro, allo scopo di non farli riposare. Il rancore serbato dall’indagata nei confronti dei denunciati si evidenzia anche nei bigliettini con tono minaccioso che la stessa donna apponeva in corrispondenza della bacheca condominiale o sulla porta dell’appartamento di G.V. e D.S.. Il tenore minaccioso che la donna usava viene evidenziato anche in un messaggio telefonico SMS che la stessa indagata risulta aver inviato all’amministratore condominiale, M.M., con il quale oltre a screditare il G.V. inviava minacce nei suoi confronti con la frase “”… MA TI GIURO CHE LO FACCIO CIECO! NON E’ UNA MINACCIA”. Il fatto che la donna unitamente al convivente JK disturbasse da tempo con rumori molesti i diversi condomini è evidenziato anche nella denuncia/querela che M.M., amministratrice del condominio, ha presentato in data 3.3.2011 presso il Commissariato P.S. di Milano “Mecenate”. Dunque le dichiarazioni delle persone offese ricevono puntuale conferma dalle dichiarazioni dei condomini – nonché dell’amministratrice del condominio – che sono 4 anch’essi vittime dei perduranti, costanti, continui comportamenti irrispettosi dell’altrui libertà di vivere una vita dignitosa. Le condotte contestate integrano certamente il reato di cui all’art 612-bis c.p., configurabile, come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, anche con riferimento agli atti persecutori ai danni di più persone coabitanti nello stesso condominio e anche quando gli atti persecutori siano diretti singolarmente a persone diverse ma provochino uno o più degli eventi descritti dalla norma (ansia, paura, modifica delle condizioni di vita) a tutte le altre. (Cass. Pen. Sez V n. 20895/2011). I condomini hanno dichiarato di temere di uscire di casa e di imbattersi nella signora XY o nel di lei convivente. La reiterazione costante delle condotte minacciose, ingiuriose, offensive dell’ altrui reputazione, moleste in quanto invadenti la sfera personale, violente in quanto lesive dell’integrità fisica oltre che psichica, hanno dato origine ad un vero e proprio stillicidio persecutorio, che ha determinato, ovviamente, un disequilibrio psicologico nelle persone offese. L’abitualità nella condotta persecutoria consente di ritenere correttamente qualificato il reato. Infatti in data 29 settembre 2012 sono stati di nuovo esaminate le persone offese. Entrambi hanno dichiarato che gli atteggiamenti vessatori da parte della XY e del compagno non sono affatto terminati ma continuano sia le moleste continue sia le minacce rivolte a qualsiasi condomino intervenga al sol fine di riportare la calma. Tanto che alcuni di loro, oltre ai denuncianti, prima di uscire di casa o di far ingresso nella propria abitazione prestano attenzione per non imbattersi nella XY. ESIGENZE CAUTELARI e scelta della misura Ricorrono esigenze cautelari ed in particolare quelle di cui all’art. 274 c.p.p. lettera c) in quanto sussiste un concreto pericolo che l’indagata possa commettere altri delitti della specie di quelli per cui si procede come si desume:  dalla sistematicità con cui l’indagata – pone in essere gli atteggiamenti vessatori nei confronti dei condomini G.V. e D.S., la cui aggressività è sfociata in aggressione fisica e minacce di morte, soprattutto nei confronti di G.V.; dalla personalità di XY cui è stato diagnosticato uno “stato depressivo reattivo in disturbo di personalità bordeline” ( cfr. relazione a firma della dott. ——–ospedale San Paolo), ma che si è sistematicamente rifiutata di attuare un programma terapeutico specifico –  dalle dichiarazioni acquisite, nel tempo, dalle due parti offese, G.V. e D.S., che hanno confermato anche recentemente l’attualità e la pervasività delle condotte vessatorie dell’indagata che li hanno indotti a sottoporsi a percorsi terapeutici/psicologici, con assunzione di farmaci specifici, per curare gli stati di ansia e gli attacchi di panico manifestatisi e a modificare, almeno in parte, le proprie abitudini di vita; Adeguata e proporzionata alle esigenze cautelari del caso concreto pare essere una misura che allontani XY dall’ abitazione ove attualmente dimora (art 282 bis cpp) – che risulta essere di proprietà del padre di JK, uomo con il quale l’ indagata convive 5 saltuariamente – e dai luoghi solitamente frequentati dalle parti offese, G.V. e D.S., ossia dall’ appartamento di loro proprietà ove sono domiciliati, sito nel condominio —- ——, in Milano, ——————. La misura richiesta appare essere la più idonea a garantire le esigenze cautelari nel caso di specie, poiché solo l’allontanamento dell’ indagata dalla casa da lei occupata può interrompere il protrarsi delle condotte moleste che la donna pone in essere, all’ interno dell’ abitazione o nelle parti comuni del condominio (rumori molesti, lancio di oggetti, urla con insulti e minacce, aggressioni fisiche e verbali) nei confronti dei condomini G.V. e D.S. abitanti nell’ appartamento adiacente al suo. Né appare più adeguata e proporzionata al caso di specie la ancor più grave misura del divieto di dimora prevista dall’ art. 283 cpp peraltro applicabile, secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, per vietare la dimora dell’ indagato “nel territorio del Comune di dimora abituale” e non per vietare all’ indagato di accedere in specifici edifici, divieto per il quale il legislatore ha espressamente introdotto la misura prevista dall’ art.282 bis cpp. (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 19565 del 09/03/2010. In tema di misure cautelari, la prescrizione (art. 283 cod. proc. pen.) di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l’autorizzazione è preordinata a vietare all’indagato di dimorare in un determinato luogo, inteso come territorio del comune di dimora abituale al fine di assicurare un controllo più efficace nel territorio di una frazione del comune o nel territorio di un comune viciniore. Ne deriva che è illegittimo il provvedimento che applichi la misura di cui all’art. 283 cod. proc. pen. al fine di vietare all’indagato di accedere in alcuni specifici edifici. Precisa in motivazione la Corte che:”… Insomma si vuol dire che l’art. 283 c.p.p. è stato concepito per imporre all’indagato, o per vietare allo stesso, di dimorare in un luogo determinato, inteso questo sempre come territorio del comune di dimora abituale, e non può essere utilizzato per vietare all’indagato di accedere in alcune strade o addirittura in alcuni e specifici edifici. Se cosi non fosse, non si capirebbe per quale ragione il legislatore ha introdotto l’art. 282 bis c.p.p. che consente al giudice di disporre l’allontanamento dalla casa familiare e non avvicinarsi ad alcuni luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Proprio la introduzione della nuova normativa legittima, quindi, la restrittiva interpretazione proposta dell’art. 283 c.p.p., non solo opportuna ma necessaria, peraltro, quando si tratta, come nel caso di specie, di applicazione di misure cautelari personali …”. Tale misura cautelare, deve ritenersi applicabile in via generale senza alcuna limitazione ai reati commessi in ambito familiare o all’ interno dell’ abitazione familiare, considerata la collocazione sistematica che ne consente un’estensione a qualsiasi tipologia di reato e quindi anche per tutelare persone non coabitanti nella stessa casa. L’interpretazione estensiva di allontanamento dalla casa anche per i reati che non sono commessi ai danni dei membri della famiglia coabitanti è consentita proprio perché trattasi di un interpretazione favorevole all’indagato, giacché un’interpretazione 6 restrittiva imporrebbe il ricorso a misure cautelare più gravose quale il divieto di dimora in un determinato territorio. Dagli atti non emergono cause di giustificazione, di non punibilità, o di estinzione del reato o della pena e, allo stato non sono sicuramente ravvisabili condizioni e presupposti per concedere in caso di condanna il beneficio della sospensione condizionale della pena. La prognosi di condotte recidivanti è, infatti, logicamente e, soprattutto, giuridicamente incompatibile, ex art. 164 comma 1 c.p., con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. Visti gli artt. 273, 274, 275, 282-bis c. p. p., APPLICA Nei confronti di XY sopra generalizzato,la misura cautelare dell’obbligo di allontanamento dalla casa familiare sita in ————-. ORDINA a XY di lasciare immediatamente la casa e di non farvi rientro e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. PRESCRIVE all’indagata di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa G.V. e D.S., in particolare alla loro abitazione sita in Milano ——–. DISPONE che la presente ordinanza cautelare sia comunicata d’urgenza all’autorità di pubblica sicurezza ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. che sia altresì comunicata alla persona offesa G.V. e S.D. nonché ai servizi socioassistenziali del territorio. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti, ivi inclusa la trasmissione del presente provvedimento al P.M. richiedente per l’esecuzione. Milano, 10/12/12 Il GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI dott.ssa Stefania DONADEO

Con ordinanza in data 19 ottobre 2018 il Tribunale del riesame di Taranto, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte – Sez. 1, n. 44636 del 2018 – della ordinanza del medesimo Tribunale del 11 maggio 2018, ha confermato l’ordinanza del 21 aprile 2018, con la quale il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Taranto ha applicato la misura della custodia in carcere a C.M. e L.N.C. per i reati descritti al solo capo F) dell’imputazione provvisoria della medesima ordinanza, ossia i reati di cui agli artt. 81, 110, 612-bis c.p. e art. 56 c.p. e art. 629 c.p., commi 1 e 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 1, n. 1, perchè, in esecuzione di in medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro e con gli altri indagati S.P. e St.Sa., con reiterate e ripetute minacce e insulti quotidianamente rivolti alla famiglia N. negli spazi comuni del condominio ove abitano sia lo S. che i N., minacciavano e molestavano N.D. e i suoi familiari, in modo tale da cagionar loro un grave stato di paura e da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria e dei prossimi congiunti e/o da costringerli a modificare le loro abitudini di vita;

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Sentenza 28 giugno 2019, n. 28340 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente – Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere – Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere – Dott. BORRELLI Paola – Consigliere – Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. C.M., nato a (OMISSIS); 2. L.N.C., nato a (OMISSIS); avverso l’ordinanza del 19/10/2018 del Tribunale di Taranto; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROMANO Michele; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi i difensori di C.M., avv.ti ESPOSITO Luigi e CAGNETTA Giuseppe, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso; udito il difensore di L.N.C., avv. CAGNETTA Giuseppe, in sostituzione degli avv.ti PESARE Franz e SILVESTRE Andrea, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo 1. Con ordinanza in data 19 ottobre 2018 il Tribunale del riesame di Taranto, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte – Sez. 1, n. 44636 del 2018 – della ordinanza del medesimo Tribunale del 11 maggio 2018, ha confermato l’ordinanza del 21 aprile 2018, con la quale il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Taranto ha applicato la misura della custodia in carcere a C.M. e L.N.C. per i reati descritti al solo capo F) dell’imputazione provvisoria della medesima ordinanza, ossia i reati di cui agli artt. 81, 110, 612-bis c.p. e art. 56 c.p. e art. 629 c.p., commi 1 e 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 1, n. 1, perchè, in esecuzione di in medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro e con gli altri indagati S.P. e St.Sa., con reiterate e ripetute minacce e insulti quotidianamente rivolti alla famiglia N. negli spazi comuni del condominio ove abitano sia lo S. che i N., minacciavano e molestavano N.D. e i suoi familiari, in modo tale da cagionar loro un grave stato di paura e da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria e dei prossimi congiunti e/o da costringerli a modificare le loro abitudini di vita; inoltre, posto che già in passato lo S. aveva preteso e ottenuto da N.D. con ripetuti atti vandalici in suo danno e con gravi minacce, paventando amicizie malavitose calabresi, diverse somme di denaro (tanto che in data 18 maggio 2015 lo S. era stato arrestato per estorsione), ponendo in essere tali ulteriori condotte criminose, suscitavano nel N. un grave stato di prostrazione e dando vita ad un clima di intimidazione, rafforzato dalla circostanza della coabitazione nello stesso condominio delle famiglie S. e N. e dai continui atti incendiari e di danneggiamento subiti, compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a coartare e piegare la volontà di N.D. per costringerlo a rivolgersi allo S. e versare denaro per far cessare tali condotte delittuose e/o costringerlo a cambiare abitazione abbandonando il proprio appartamento, così tentando di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno, senza riuscirci perchè il N. denunciava i delitti commessi ai suoi danni. 2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione, a mezzo dei suoi difensori, C.M., per due motivi. 2.1 Con il primo motivo lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente ai reati di atti persecutori e tentata estorsione, nonchè travisamento della prova. In particolare evidenzia che la Corte di Cassazione, nell’annullare la precedente ordinanza del Tribunale del riesame, ha motivato la sua decisione affermando che dal tenore del capo di imputazione e dal contenuto dell’ordinanza annullata risulta che le condotte illecite dei ricorrenti appaiono dirette sia a costringere il N. a rivolgersi allo S. per versare a quest’ultimo denaro per far cessare i danneggiamenti, sia a costringere il N. a cambiare abitazione e pertanto non si comprende sulla base di quali indizi si sia affermata la coesistenza dei due diversi scopi illeciti della condotta; peraltro le incertezze, afferma la Corte di Cassazione, sono accentuate dalla circostanza che la estorsione è contestata nella forma del tentativo con una formulazione che sembra non considerare che l’univocità degli atti, da accertare sulla base delle modalità di estrinsecazione concreta della condotta, è un requisito indispensabile del delitto tentato. Sostiene il ricorrente che, nell’emettere l’ordinanza impugnata in questa sede, il Tribunale non ha colmato tale lacuna motivazionale, affermando, al contrario, che “la individuazione certa dello scopo ultimo che lo S. vuole perseguire con la sua condotta non può dirsi elemento essenziale al fine di considerare come inesistente la gravità indiziaria dei suoi correi nel delitto di tentata estorsione.”; in tal modo il Tribunale è andato in una direzione opposta a quella indicata dalla Corte di Cassazione e ha omesso di spiegare perchè il C. avrebbe dovuto sapere che lo S., attraverso i ripetuti danneggiamenti, intendeva conseguire un ingiusto profitto. Il Tribunale avrebbe dovuto dapprima spiegare quale era lo scopo avuto di mira dallo S. e da quali indizi esso emergeva e poi gli elementi dai quali risultava che il C. era al corrente di detto scopo. Il Tribunale ha anche confuso l’ingiusto profitto del reato di estorsione con la ipotizzata ricompensa ricevuta dal C. per i danneggiamenti, ossia le colombe che lo S. aveva dato al L.N. e che quest’ultimo aveva distribuito tra il C. ed altre persone, rivelatesi estranee ai delitti. Soprattutto, lo scopo estorsivo non emerge in modo chiaro dagli atti di danneggiamento posti in essere ai danni del N., in quanto a quest’ultimo non sono state rivolte richieste di denaro o di altre utilità e non possono escludersi altre finalità, come quella di subornazione, essendo lo S. imputato in altro procedimento penale per estorsione ai danni del N., chiamato a deporre in quel processo, o di vendetta, per avere il N. deposto contro lo S. in quel processo; anche la polizia giudiziaria aveva segnalato il pericolo che lo S., con le sue condotte, inducesse il N. a testimoniare il falso. In ogni caso, non risulta che il C. fosse a conoscenza degli scopi avuti di mira dallo S., da lui neppure conosciuto, come emerge dalle stesse dichiarazioni rese dallo S. alla moglie all’interno del carcere, che hanno costituito oggetto di intercettazione, prodotte innanzi al Tribunale del riesame e riportate nel testo del ricorso in cassazione. La Suprema Corte, con la sentenza di annullamento con rinvio, ha pure indicato al Tribunale del riesame la necessità di chiarire i collegamenti tra lo S. ed il C. e a quale epoca essi risalgano, se esistenti, ma il Tribunale non ha fornito alcun chiarimento in proposito. 2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 274 c.p.p. nonchè carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla sussistenza delle esigenze cautelari. Non è ipotizzabile il pericolo di inquinamento probatorio, avendo il C. avanzato richiesta di giudizio abbreviato non condizionato. Anche il pericolo di recidiva non sussiste, perchè il C. è incensurato; dalle intercettazioni emerge che egli si è allontanato dai suoi coimputati. Non emerge, quindi, la concretezza ed attualità delle esigenze cautelari. 3. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ricorre anche L.N.C., per mezzo dei suoi difensori, affidandosi a due motivi. 3.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 612-bis e 56 e 629 c.p.. In primo luogo egli denuncia che il Tribunale del riesame non si è attenuto ai principi di diritto affermati dalla Suprema Corte nella sentenza di annullamento con rinvio. Inoltre, evidenzia che gli è stato contestato il delitto di atti persecutori come commesso solo a decorrere dal 8 marzo 2017 e dagli atti non emerge la sua partecipazione ad episodi successivi al 4 aprile 2018. Nell’ordinanza applicativa della misura cautelare vengono menzionati, quali condotte utili alla contestazione dei reati di cui al capo F), solo gli episodi descritti ai capi D), ossia l’incendio dell’esercizio commerciale del N. in data 19 marzo 2018, e E), ossia il danneggiamento del furgone del N. con conseguente pericolo di incendio in data 4 aprile 2018, cosicchè manca la reiterazione delle condotte che è elemento essenziale del delitto di atti persecutori; è invece irrilevante la circostanza che il L.N. ed i coimputati si siano incontrati numerose volte per pianificare nel dettaglio gli attentati, così come è irrilevante che il L.N. abbia consegnato alcune colombe pasquali a due soggetti estranei ai delitti e ad una persona rimasta non identificata. Neppure l’ordinanza impugnata ha dato una risposta ai profili di criticità già evidenziati nella precedente sentenza di annullamento con rinvio della Suprema Corte. In particolare, non emerge che il L.N. avesse conoscenza delle finalità di natura economica che lo S. si proponeva di conseguire dalle condotte poste in essere ai danni del N.. Il Tribunale in modo illogico aveva ritenuto sussistente tale finalità e la sua conoscenza da parte del L.N. sulla base di un’intercettazione di una conversazione tra lo S. ed il L.N. in cui il secondo riferiva al primo che gli investigatori, dopo l’incendio dell’esercizio commerciale del N., avevano ipotizzato un’attività estorsiva, e dall’episodio relativo alla dazione delle colombe, che secondo il Tribunale, rendeva evidente lo scopo economico dell’attività delittuosa. 3.2 Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 275 c.p.p. e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. Evidenzia che il Tribunale ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, affermando che il L.N. era inserito in contesti criminali – mentre tale circostanza era indimostrata – e che egli con facilità aveva messo a disposizione dello St. e del C. un’arma – ma anche questa circostanza era sfornita di prova, tanto che l’arma non era mai stata rinvenuta -; i precedenti penali del L.N. erano risalenti a decenni fa. Inoltre il Tribunale aveva asserito che la custodia cautelare in carcere era l’unica misura idonea a soddisfare le esigenze cautelari con una motivazione apodittica, senza indicare le ragioni per le quali egli non avrebbe rispettato le prescrizioni inerenti a misure cautelari personali meno gravi. Motivi della decisione 1. Il ricorso di C.M. è fondato nei limiti di seguito indicati. 1.1 Il Tribunale del riesame, affermando, che “la individuazione certa dello scopo ultimo che lo S. vuole perseguire con la sua condotta non può dirsi elemento essenziale al fine di considerare come inesistente la gravità indiziaria dei suoi correi nel delitto di tentata estorsione.”, non ha applicato il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nella sentenza di annullamento con rinvio, in cui si indicava che la univocità degli atti – e quindi la possibilità di stabilire con certezza dalle modalità di estrinsecazione concreta della condotta criminale quale fosse lo scopo dell’agente e quindi quale fosse lo specifico bene giuridico aggredito e posto in pericolo – era un elemento essenziale del delitto tentato. Neppure il Tribunale ha adeguatamente chiarito perchè il C. avrebbe dovuto sapere quale era lo scopo avuto di mira dallo S., non sussistendo collegamenti diretti tra lo S. ed il ricorrente. Nè lo scopo estorsivo può farsi discendere dall’avere lo S. consegnato al L.N. alcune colombe pasquali ed il L.N. consegnato una di esse al C.. Anche volendo considerare i dolci o altre regalie pervenute al C. una ricompensa per l’attività delittuosa da questi compiuta, dalla suddetta circostanza non può logicamente desumersi la conoscenza della finalità estorsiva dei danneggiamenti, poichè non è una massima di esperienza quella per cui laddove l’esecutore materiale di un delitto percepisca dal mandante un prezzo per il delitto compiuto, il mandante si prefigga sempre e comunque uno scopo estorsivo ai danni della vittima. Ne consegue che deve essere annullato il provvedimento impugnato limitatamente al delitto di tentata estorsione contestato al capo F) dell’imputazione provvisoria. 1.2. Il ricorso risulta invece infondato in relazione al reato di atti persecutori. Come esattamente osservato dal Tribunale del riesame, per la sussistenza del reato di atti persecutori è sufficiente il dolo generico. Nel delitto di atti persecutori, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C, Rv. 26041101). Il Tribunale ha quindi evidenziato che il C. ha partecipato alla esecuzione di più atti di danneggiamento ai danni del N. e che egli sapeva che i vari attentati avevano come unico obiettivo il N.. Egli è a conoscenza, spiega il Tribunale, dell’effetto intimidatorio dei ripetuti danneggiamenti sulla persona offesa e della loro idoneità a produrre in capo alla vittima uno degli eventi contemplati dall’art. 612-bis c.p.. Tale sua conoscenza non è esclusa dall’assenza di collegamenti tra il C. e lo S. e anzi proprio l’assenza di collegamenti rende privo di rilievo, ai limitati fini del reato di atti persecutori, l’eventuale diverso scopo avuto di mira dallo S.. In ogni caso, del tutto correttamente e logicamente il Tribunale ha escluso in capo allo S. il dolo del reato di cui all’art. 377 c.p., sottolineando che gli episodi di danneggiamento ai danni del N. erano proseguiti anche dopo che egli aveva deposto come testimone nel processo a carico dello S.. Peraltro, lo scopo di ritorsione non esclude il dolo del reato di atti persecutori. 1.3 Il terzo motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari, è invece inammissibile. Il Tribunale del riesame ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari a carico del C., facendo riferimento ai suoi carichi pendenti ed all’utilizzo di un’arma; inoltre, al fine di affermare che la custodia cautelare in carcere è l’unica idonea a soddisfare dette esigenze, ha fatto riferimento al proposito dell’indagato, emerso a seguito dell’intercettazione di una conversazione da lui intrattenuta con il fratello all’interno del carcere ove si trova ristretto, di simulare una situazione di incompatibilità con il regime carcerario; da tale conversazione il Tribunale ha desunto che il C. non rispetterebbe le prescrizioni inerenti ad una misura meno grave. Il ricorrente si è limitato a ribadire nel ricorso gli elementi che, secondo la sua tesi difensiva, dovrebbero far ritenere insussistenti le esigenze cautelari o comunque le stesse salvaguardabili attraverso una misura cautelare meno grave, senza confrontarsi con le ragioni poste dal Tribunale a fondamento della propria decisione, le quali non vengono attaccate con una critica argomentata. E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità. (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 – dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157; da ultimo: Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). 2. E’ parzialmente fondato anche il ricorso proposto da L.N.C.. 2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, quanto ai gravi indizi di colpevolezza per il reato di atti persecutori. La circostanza che il ricorrente abbia partecipato soltanto a due degli atti di danneggiamento ai danni del N., commessi in un ristretto periodo di tempo, non vale ad escludere la sussistenza del delitto di cui all’art. 612-bis c.p.. Integrano il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, P, Rv. 27362201; Sez. 5, n. 38306 del 13/06/2016, C, Rv. 26795401; Sez. 5, n. 46331 del 05/06/2013, D. V., Rv. 25756001; Sez. 5, n. 6417 del 21/01/2010, Oliviero, Rv. 24588101). 2.2. Il ricorso è, invece, fondato nella parte in cui si censura l’ordinanza del Tribunale del riesame laddove afferma la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, a carico del L.N., per il delitto di tentata estorsione. Anche il L.N. ha denunciato che il Tribunale del riesame non si è attenuto ai principi di diritto contenuti nella sentenza di annullamento con rinvio; egli ha anche lamentato la illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha desunto la conoscenza da parte del ricorrente della finalità estorsiva in capo allo S. dalla intercettazione di una conversazione tra lo S. ed il L.N., in cui il secondo evidenzia al primo che la polizia giudiziaria, indagando sui delitti di danneggiamento, ha ipotizzato una estorsione ai danni del N., e dall’episodio relativo alle colombe pasquali. Possono, quindi, richiamarsi in questa sede le argomentazioni già svolte in relazione alla posizione del coindagato C.. Inoltre, appare illogico il ragionamento del Tribunale laddove ricava la conoscenza da parte del L.N. della finalità estorsiva dello S. dall’avere il primo appreso e poi comunicato al secondo quella che era una mera ipotesi investigativa degli inquirenti. Dal tenore della conversazione non risulta che lo S., a fronte della comunicazione del L.N., abbia poi rivelato a quest’ultimo le finalità ultime della sua condotta. Quanto alla illogicità del ragionamento fondato sulla dazione delle colombe, già si è detto sopra in relazione alla posizione del C.. 2.3 I terzo motivo del ricorso del L.N., relativo alle esigenze cautelari, è infondato. Il Tribunale del riesame ha motivato in ordine alla sussistenza a carico del L.N. delle esigenze cautelari del pericolo di reiterazione dei reati in modo assolutamente adeguato e logico; ha asserito che le esigenze cautelari appaiono sussistenti non solo in virtù dei suoi precedenti penali, ma anche perchè egli risulta inserito in contesti criminali più ampi; in particolare, ha logicamente desunto tale inserimento dalla circostanza che lo S. si è a lui rivolto affinchè organizzasse i vari danneggiamenti avvalendosi di altre persone, nonchè dalla circostanza che egli ha messo a disposizione del C. e dello St., esecutori materiali dei danneggiamenti, una pistola. Proprio in virtù di tale inserimento, il Tribunale ha ritenuto particolarmente spiccate le esigenze cautelari e quindi ha considerato la custodia in carcere l’unica idonea a soddisfarle, affermando che il L.N., per la sua propensione a violare le norme, non rispetterebbe le prescrizioni inerenti a misure cautelari meno gravi. Deve pure ribadirsi in questa sede che non è affetta da vizio di motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma in tutto o in parte il provvedimento impugnato, recependone le argomentazioni, perchè in tal caso i due atti si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze di motivazione dell’uno possono essere sanate con le argomentazioni utilizzate dall’altro (Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015 – dep. 2016, Berlingeri, Rv. 26676501). Nel caso di specie il Giudice per le indagini preliminari ha ampiamente motivato sulla inidoneità di misure meno gravi rispetto alle esigenze cautelari segnalando che il L.N., oltre ad essere stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., è gravato da ben cinque condanne per violazione delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione e che da tale circostanza può desumersi che egli neppure rispetterebbe le prescrizioni inerenti a misure meno gravi di quella attualmente applicata. 3. In relazione all’ipotesi di tentata estorsione, il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio. In tema di ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame confermativa della misura cautelare in carcere, qualora la motivazione del provvedimento de libertate si appalesi totalmente carente e non utilmente integrabile – come nel caso di specie -, l’annullamento va disposto senza rinvio, in conformità al principio della ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Cost., in quanto, l’ulteriore sacrificio della libertà individuale, implicito in un annullamento con rinvio del provvedimento cautelare, sarebbe ingiustificato alla luce dei principi sanciti dall’art. 13 Cost. (Sez. 4, n. 46976 del 22/09/2011, Mane, Rv. 25143001). 4. Concludendo, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al delitto di tentata estorsione. I ricorsi devono, invece, essere rigettati nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato, limitatamente all’ipotesi di tentata estorsione. Rigetta nel resto i ricorsi. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti ex art. 626 c.p.p.. Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2019. Depositato in Cancelleria il 28 giugno 201