RIMINI RAVENNA MANCATA DIAGNOSI TUMORE RISARCIMENTO

 

RIMINI RAVENNA MANCATA DIAGNOSI TUMORE RISARCIMENTO

  • COME PUOI OTTENERE  RISARCIMENTO DANNI PER MANCATA DIAGNOSI DI UN TUMORE
  • La casistica più frequente di malasanità in oncologia riguardala diagnostica tardiva dei tumori. Le ragioni per cui il tumore non viene sempre diagnosticato in modo tempo
  • PERDITA DI CHANCE
  • Ed è bene chiarire in cosa consista questa chance. Non è, o non è necessariamente, una chance di sopravvivenza. Può darsi che per il povero paziente non ci sia davvero nulla da fare, e che nessun intervento, neanche tempestivo, avrebbe potuto salvargli la vita.
  • La Corte di Cassazione richiama espressamente il precedente, quasi analogo, di Cass. n. 23846/2008. In quel caso era stato accertato che la tardività della diagnosi e dei conseguenti interventi avevano pregiudicato le possibilità di sopravvivenza del paziente, oltre alla qualità della sua vita.
  • AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA CASSAZIONE PENALE
    AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA CASSAZIONE PENALE
  • n tema di responsabilità civile, si applicano i principi di cui agli articoli 40 e 41 del codice penale, per cui un evento è da considerare causato da un altro, se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo;
  • si applica inoltre il principio della cosiddetta “causalità adeguata” secondo cui, tra i vari eventi che possono verificarsi all’interno di una serie causale, vanno considerati solo quelli che – sulla base di una valutazione fatta ex ante – non appaiano del tutto inverosimili;
  • sempre in materia civile, sotto il profilo della prova vige la regola della “preponderanza dell’evidenza”, ovverosia del “più probabile che non”, mentre nel processo penale la prova deve essere raggiunta “oltre il ragionevole dubbio”.
  • Con atto di citazione regolarmente notificato, E.D.P. e S.G., in proprio e in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli G.C. e G.N., convenivano in giudizio l’A.U., il Dott. A.M. ed il Dott. G.M., al fine di veder riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni patiti dalla signora D.P. per responsabilità dei convenuti a causa di errate diagnosi mediche, le quali avrebbero ritardato di 15 mesi l’accertamento di un nodulo maligno al seno, impedendo l’esecuzione di intervento conservativo e, per contro, rendendo necessaria chemioterapia neoadiuvante, seguita da mastectomia radicale allargata e radioterapia post-operatoria. Parte attrice chiedeva altresì riconoscersi il risarcimento del danno morale per il dolore e l’afflizione patita dal marito e dai figli, in qualità di prossimi congiunti che si sono occupati della D.P. durante il decorso della malattia e la sottoposizione a cure medico – chirurgiche.
  • Si costituiva in giudizio il Dott. G.M., contestando in toto la ricostruzione di parte attrice siccome infondata in fatto ed in diritto ed eccependo l’assenza di qualsiasi forma di sua responsabilità.
  • Egli, in particolare, affermava che, svolgendo la professione di medico radiologo come libero professionista, al di fuori di una struttura ospedaliera e, pertanto, avendo a disposizione unicamente l’apparecchiatura ecografica, non avrebbe errato o ritardato alcuna diagnosi nei confronti della D.P.. Il M., in particolare, evidenziava che quest’ultima, dal punto di vista anatomico, avrebbe un seno cd. “fibroadenomatoso”, difficile all’esplorazione perché a volte molto congesto; dal punto di vista del rapporto medico – paziente, inoltre, riferiva che la D.P. sarebbe stata restia allo svolgimento di indagini ulteriori rispetto a quella ecografica. Osservava altresì che le relazioni medico – legali prodotte in giudizio dalla D.P. presentavano inesattezze e che dalle indagini ecografiche da lui svolte non era emerso nulla dal punto di vista patologico – oncologico. Peraltro, sottolineava che, già all’esito della visita svolta in data 17/08/2009 presso l’Ospedale di Riccione, alla paziente era stato indicato di sottoporsi ad una mammografia, che era stata eseguita solamente il 30 giugno 2010, con ulteriore indicazione di ripetere tale esame dopo 4 mesi. La paziente, tuttavia, si era presentata alla visita del 3 settembre 2010 senza alcuna documentazione utile che gli permettesse di effettuare una visita che non fosse di primo controllo. Il M. rilevava, peraltro, che in tal sede la paziente rifiutava di svolgere l’accertamento bioptico consigliatole e che le veniva raccomandato di tornare nel più breve tempo possibile con la documentazione clinica relativa ai precedenti esami svolti.
  • Nella visita gratuita del 10 Novembre 2010 il M., vista la documentazione pregressa, consigliava di eseguire un intervento chirurgico urgente, exeresi ed esame istologico.
  • Tuttavia, la paziente si sottoponeva a duplice biopsia, in precedenza rifiutata, il 20 Novembre 2010 ed il 29 Novembre 2010 presso gli Ospedali di Forlì e di Milano, per poi sottoporsi ad intervento chirurgico, nonostante l’urgenza riscontratale, solamente il 6 luglio 2011. Il M., pertanto, sottolineava come il presunto ritardo di 15 mesi, oltre alle successive conseguenze derivanti dal peggioramento del nodulo presentatesi nel contesto operatorio, erano stati causati unicamente dalla riluttanza della D.P. a sottoporsi a mammografia, già consigliatale all’esito della visita del 17/08/2009 (v. doc. 4 fascicolo parte attrice), nonché dall’esecuzione dell’intervento chirurgico solamente nel luglio 2011, nonostante l’urgenza manifestata alla paziente già all’esito della visita del 10 novembre 2010.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI

Sezione Unica CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zito

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4718/2015 promossa da:

E.D.P. (C.F. (…)), S.G. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CACIAGLI CLAUDIO, elettivamente domiciliato in VIA GARIBALDI 5 – RICCIONE presso il difensore avv. CACIAGLI CLAUDIO

ATTORE/I

contro

A.U., A.M., con il patrocinio dell’avv. DI PENTIMA MARIA GABRIELLA, elettivamente domiciliato in VIA GIORGIO REGNOLI 88 47121 FORLì presso il difensore avv. DI PENTIMA MARIA GABRIELLA

G.M., con il patrocinio dell’avv. MORANTE NICOLETTA, elettivamente domiciliato in VIA DELLE MATERNITÀ N. 6 61100 PESARO presso il difensore avv. MORANTE NICOLETTA

CONVENUTO/I

A.M. S.P.A. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. VILLANO ROSARIA e dell’avv. DE CASTRO DONATELLA ((…)) Indirizzo Telematico; PANNI FRANCESCO ((…)) Indirizzo Telematico;, elettivamente domiciliato in Via A. Volta n. 62 COMOpresso il difensore avv. VILLANO ROSARIA

TERZO CHIAMATO

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con atto di citazione regolarmente notificato, E.D.P. e S.G., in proprio e in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli G.C. e G.N., convenivano in giudizio l’A.U., il Dott. A.M. ed il Dott. G.M., al fine di veder riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni patiti dalla signora D.P. per responsabilità dei convenuti a causa di errate diagnosi mediche, le quali avrebbero ritardato di 15 mesi l’accertamento di un nodulo maligno al seno, impedendo l’esecuzione di intervento conservativo e, per contro, rendendo necessaria chemioterapia neoadiuvante, seguita da mastectomia radicale allargata e radioterapia post-operatoria. Parte attrice chiedeva altresì riconoscersi il risarcimento del danno morale per il dolore e l’afflizione patita dal marito e dai figli, in qualità di prossimi congiunti che si sono occupati della D.P. durante il decorso della malattia e la sottoposizione a cure medico – chirurgiche.

Si costituiva in giudizio il Dott. G.M., contestando in toto la ricostruzione di parte attrice siccome infondata in fatto ed in diritto ed eccependo l’assenza di qualsiasi forma di sua responsabilità.

Egli, in particolare, affermava che, svolgendo la professione di medico radiologo come libero professionista, al di fuori di una struttura ospedaliera e, pertanto, avendo a disposizione unicamente l’apparecchiatura ecografica, non avrebbe errato o ritardato alcuna diagnosi nei confronti della D.P.. Il M., in particolare, evidenziava che quest’ultima, dal punto di vista anatomico, avrebbe un seno cd. “fibroadenomatoso”, difficile all’esplorazione perché a volte molto congesto; dal punto di vista del rapporto medico – paziente, inoltre, riferiva che la D.P. sarebbe stata restia allo svolgimento di indagini ulteriori rispetto a quella ecografica. Osservava altresì che le relazioni medico – legali prodotte in giudizio dalla D.P. presentavano inesattezze e che dalle indagini ecografiche da lui svolte non era emerso nulla dal punto di vista patologico – oncologico. Peraltro, sottolineava che, già all’esito della visita svolta in data 17/08/2009 presso l’Ospedale di Riccione, alla paziente era stato indicato di sottoporsi ad una mammografia, che era stata eseguita solamente il 30 giugno 2010, con ulteriore indicazione di ripetere tale esame dopo 4 mesi. La paziente, tuttavia, si era presentata alla visita del 3 settembre 2010 senza alcuna documentazione utile che gli permettesse di effettuare una visita che non fosse di primo controllo. Il M. rilevava, peraltro, che in tal sede la paziente rifiutava di svolgere l’accertamento bioptico consigliatole e che le veniva raccomandato di tornare nel più breve tempo possibile con la documentazione clinica relativa ai precedenti esami svolti.

Nella visita gratuita del 10 Novembre 2010 il M., vista la documentazione pregressa, consigliava di eseguire un intervento chirurgico urgente, exeresi ed esame istologico.

Tuttavia, la paziente si sottoponeva a duplice biopsia, in precedenza rifiutata, il 20 Novembre 2010 ed il 29 Novembre 2010 presso gli Ospedali di Forlì e di Milano, per poi sottoporsi ad intervento chirurgico, nonostante l’urgenza riscontratale, solamente il 6 luglio 2011. Il M., pertanto, sottolineava come il presunto ritardo di 15 mesi, oltre alle successive conseguenze derivanti dal peggioramento del nodulo presentatesi nel contesto operatorio, erano stati causati unicamente dalla riluttanza della D.P. a sottoporsi a mammografia, già consigliatale all’esito della visita del 17/08/2009 (v. doc. 4 fascicolo parte attrice), nonché dall’esecuzione dell’intervento chirurgico solamente nel luglio 2011, nonostante l’urgenza manifestata alla paziente già all’esito della visita del 10 novembre 2010.

Il M. rilevava, peraltro, che la D.P. si sarebbe sottoposta ad un intervento fortemente demolitivo, ossia mastectomia radicale con linfoadenectomia ascellare, unitamente a 16 cicli totali di chemioterapia neoadiuvante pre-operatoria e 25 cicli post-operatori di radioterapia, nonostante l’esame istologico postchirurgico avesse confermato la possibilità di eseguire mastectomia conservativa. Notava, altresì, come con gli accertamenti ecografici effettuati non si sarebbe potuta rilevare la piccolissima lesione di mm 6, che era stata diagnosticata solo mediante esecuzione dell’esame anatomopatologico.

Per ultimo, il M. chiamava in causa la A.M. S.p.A. in virtù di polizza stipulata n. (…) a copertura della propria responsabilità professionale per l’esercizio della professione medica.

Si costituivano in giudizio l’A.U. ed il Dott. A.M., eccependo che dalla ricostruzione dei fatti e dalla documentazione prodotta da parte attrice non sarebbe stata provata in alcun modo la presenza del nesso di causalità tra gli interventi e i controlli terapeutici subiti dalla D.P. e l’evento pregiudizievole sofferto, nonché l’imperizia e/o negligenza che avrebbe caratterizzato l’operato dei medici. Rilevavano, inoltre, che, valutato l’iter clinico seguito dal Dott. M., non sarebbero evidenziabili elementi tali da desumere la violazione delle linee – guida e delle pratiche mediche avvalorate dalla comunità scientifica. Rilevavano, altresì, che il supposto “ritardo diagnostico” non avrebbe modificato il decorso del quadro clinico della D.P.; che quest’ultima sarebbe sempre stata informata di ogni rischio e/o conseguenza dei trattamenti e accertamenti ai quali si è sottoposta o avrebbe dovuto sottoporsi. Per ultimo, contestavano la pretesa risarcitoria avanzata dai familiari della D.P. siccome infondata in fatto ed in diritto, nonché prospettata solo genericamente.

Si costituiva in giudizio la terza chiamata in causa A.M. S.p.a., chiedendo di respingersi tutte le domande di parte attrice siccome infondate in fatto ed in diritto, contestando in toto la ricostruzione svolta, associandosi alle contestazioni sollevate dal Dott. M., assicurato presso la stessa per la responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione medica. Rilevava, in subordine, l’inapplicabilità al caso di specie della copertura assicurativa di cui alla polizza n. (…) per l’asserita violazione del combinato disposto tra gli artt. 1892 c.c. e 17 C.g.a. (Condizioni generali dell’assicurazione), dal momento che, alla stipula della menzionata polizza assicurativa in data 30/04/2015, il M. era già al corrente della pretesa risarcitoria, sottaciuta in sede di sottoscrizione, condizione questa che avrebbe determinato la non sottoscrizione della polizza da parte della Compagnia o, comunque, a condizioni differenti.

Rilevava l’applicabilità della clausola cd. “in secondo rischio” ex art. 16 C.g.a. in quanto la D.P. sarebbe stata visitata dal M. presso il Poliambulatorio Specialistico sito in R. – Viale S. M. n. 48 e, pertanto, con responsabilità riconducibile in primo rischio unicamente in capo al Poliambulatorio. Per ultimo, in subordine, rilevando che il M. avrebbe sottoscritto la polizza unicamente in qualità di libero professionista e non di titolare di Poliambulatorio Specialistico, circostanza peraltro non rappresentata in polizza né dichiarata, eccepiva l’operatività della polizza nei limiti della sola quota di responsabilità diretta e comunque entro il massimale garantito; oltre all’eventuale risarcibilità soltanto dei danni patiti dalla D.P. con esclusione dei presunti danni patiti dal marito e dai familiari.

Nella prima udienza davanti il Giudice Istruttore le parti, regolarmente costituite, si riportavano ai rispettivi atti, chiedendo concedersi i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c.

Le parti depositavano le memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c. contenenti le rispettive deduzioni, eccezioni e richieste istruttorie.

La causa veniva istruita tramite CTU, con nomina del Dott. Andrea Mancini, e la prova testimoniale, all’esito delle quali veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni.

Esaurita l’istruttoria, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

  1. Tanto premesso quanto allo svolgimento del processo, è necessario svolgere un inquadramento giuridico della disciplina in materia di responsabilità medico – sanitaria, materia interessata prima dall’intervento della L. n. 189 del 2012(cd. decreto B.) e più recentemente dalla L. n. 24 del 2017(cd. legge Gelli – Bianco).

  • Quest’ultimo intervento normativo ha introdotto significative novità circa la natura della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, lasciando immutata la responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera. L’art. 7, comma 3, della L. n. 24 del 2017 ha, infatti, espressamente previsto che, nei casi previsti dai commi 1 e 2 dello stesso art. 7 L. n. 24 del 2017 (riferibili ai medici dipendenti di strutture sanitarie pubbliche o private, ovvero che operino in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale), l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., tranne che nei casi in cui abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
  • Sulla base del principio generale, secondo il quale la legge non dispone che per l’avvenire (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), a tale disposizione non può tuttavia essere riconosciuta efficacia retroattiva, non trattandosi di norma di interpretazione autentica e non essendo stata prevista alcuna disposizione di diritto intertemporale (si vedano Cass., sez. III, 11.11.2019, n. 28994: “In tema di responsabilità sanitaria, le norme poste dagli artt. 3, comma 1, del D.L. n. 158 del 2012, convertito dalla L. n. 189 del 2012, e dall’art. 7, comma 3, della L. n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore”; nella giurisprudenza di merito Trib. Bologna Sentenza n. 2054/17, est. Arceri; Trib. Roma, sez. XIII, 04/10/2017).
  • Quanto alla disciplina previgente, l’articolo 3, comma 1, della L. n. 189 del 2012 prevedeva che “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
  • Al riguardo, l’odierno Giudice ritiene di aderire all’orientamento maggioritario, sostenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 19.02.2013 n. 4030Cass. 17.04.2014, n. 8940; interpretazione confermata, da ultimo, da Cass., sez. III, 11.11.2019, n. 28994), secondo il quale il riferimento all’art. 2043 c.c., contenuto nella norma sopra citata, non ha mutato i connotati salienti della responsabilità medica in ambito civile, che resta, sia per quanto riguarda il sanitario che ha operato, sia per ciò che riguarda la struttura sanitaria, di natura contrattuale (la tesi contraria è stata sostenuta da parte della giurisprudenza di merito: Trib. Varese, 26.11.2012, n. 1406; Trib. Enna 18.08.2013, n. 252; Trib. Milano 14320/2014).
  • Dall’identificazione della responsabilità oggetto di causa quale responsabilità contrattuale consegue che, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato potrà limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o del contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e ad allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (si vedano, ex multis, Cass., S.U., 11.01.2008, n. 577Cass., 16.01.2009, n. 975Cass., 12.12.2013, n. 27855Cass., 26.02.2013, n. 4792Cass., 20.10.2014 n. 22222Cass., 20.10.2015, n. 21177, Cass 13.10.2017 n. 24073).
  • L’attore danneggiato è, dunque, esonerato dal provare la negligenza del sanitario, potendosi limitare ad allegare condotte imperite attive od omissive del medico, quali species dell’inadempimento degli obblighi assunti con il contatto sociale ovvero con il contratto di spedalità (anche di recente Cass., sezione III, n. 26517 del 9.11.2017 ha ribadito che: “in tema di responsabilità medica non è onere dell’attore provare la colpa del medico, ma è onere di quest’ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente”).
  1. Svolto un primo inquadramento giuridico, oggetto principale del presente giudizio è l’accertamento della correttezza dell’operato del Dott. M. e del Dott. M., il quale ha avuto in visita la D.P. presso la struttura dell’Ospedale di Riccione, in relazione all’accertamento ed alla diagnosi di una patologia tumorale, vicenda in cui il ritardo diagnostico avrebbe determinato la necessità per la paziente di sottoporsi a trattamento chirurgico, radioterapico e chemioterapico particolarmente invasivo.

Tanto assunto, la storia clinica della sig.ra D.P. può essere sintetizzata come segue.

Il 14 luglio 2000 la D.P. eseguiva ecografia mammaria dal dott. M., che mostrava a destra la presenza di tre noduli a margini netti e regolari riferibili a fibroadenomi del diametro massimo di 18 millimetri. Si consigliavano controlli periodici.

Il 02 aprile 2008 eseguiva ecografia mammaria dal dott. M.: si osservavano mammelle molto congeste, bilateralmente erano presenti alcuni vecchi fibroadenomi. Non venivano riscontrate lesioni sospette per eteroplasie.

In data 04 febbraio 2009 si sottoponeva nuovamente ad ecografia mammaria dal dott. M., si evidenziava fibroadenomatosi multipla bilaterale più accentuata a sinistra con iniziali calcificazioni. Non v’erano lesioni sospette per eteroplasie. Il reperto appariva immodificato rispetto al precedente controllo.

Il 17 agosto 2009 si recava a visita senologica presso l’Ospedale di Riccione, dove il Dott. M. eseguiva ecografia che mostrava la presenza di due noduli a sinistra, con indicazione finale di eseguire mammografia.

In data 21 gennaio 2010 tornava dal dott. M., eseguiva ecografia mammaria, si osservava immodificata la fibroadenomatosi multipla più accentuata a sinistra e lieve mastopatia fibrocistica bilaterale. Non v’erano lesioni sospette per eteroplasie.

Il 05 maggio 2010 eseguiva visita senologica con ecografia presso il Dott. M., si rilevava un modico aumento dei noduli e si consigliava controllo a distanza di 6 mesi.

Il 30 giugno 2010 si sottoponeva a mammografia bilaterale che mostrava mammelle diffusamente e disomogeneamente radiopache, senza immagini sospette in senso eteroformativo. L’esame mostrava alcune microcalcificazioni a sinistra, verosimilmente di significato displasico che necessitavano controllo a distanza di 4 mesi.

In data 03 settembre 2010 eseguiva ecografia mammaria dal dott. M.: si osservava fibroadenomatosi multipla più accentuata a sinistra dove erano presenti alcuni noduli del diametro massimo di 2.7 centimetri con iniziale calcificazione, minime note di mastopatia fibrocistica, non lesioni sospette per eteroplasie.

Il 10 novembre eseguiva controllo ecografico dal dott. M., si evidenziava ulteriore aumento di volume del nodulo nel QSE sinistro che presentava numerose piccole calcificazioni. Il nodulo risultava mobile nei piani profondi, si consigliava esame istologico.

In data 19 novembre 2010, l’esame istologico rivelava la presenza di carcinoma duttale, poco differenziato, G3, infiltrante della mammella. Le cellule neoplastiche risultavano positive per citocheratina AE1-AE3, E-caderina, P53, estrogeni e progesterone. L’indice di proliferazione cellulare, valutato con Ki67 era pari all’85%. Si associavano un circoscritto focolaio di carcinoma duttale in situ di tipo comedoni con necrosi, G3 sec. Holland e focali aspetti di invasione vascolare bilateralmente, si consigliava di eseguire mammografia bilaterale.

In data 29 novembre 2010 si recava a visita senologica, si osservava quadro suscettibile di intervento chirurgico di mastectomia con dissezione ascellare; si consigliava valutazione oncologica per valutare un trattamento sistemico neoadiuvante con lo scopo di ridurre la neoplasia ed effettuare un trattamento conservativo.

Eseguiva visita oncologica, era prescritto esame PET total body ed ecografia addome superiore, rm mammaria; si proponeva trattamento chemioterapico neoadiuvante infusionale e terapia ormonale con LHRH analogo.

In data 03 dicembre 2010 eseguiva rm mammaria che rilevava nella mammella sinistra la presenza di una voluminosa area di enhancement disomogeneo, a contorni irregolari, occupante i QQEE con interessamento del muscolo pettorale, distante 30 millimetri dal capezzolo. Tale reperto misurava millimetri 70 x 44 e determinava irregolarità del profilo cutaneo (retrazione). Erano presenti altre aree con le medesime caratteristiche la maggiore delle quali nel QIE di millimetri 16 di asse massima e nel QSI di millimetri 9. Si rilevava inoltre un’area di enhancement omogeneo, a contorni regolari di millimetri 10 nel QIC.

Nella sede ascellare omolaterale si rilevavano alcuni linfonodi con aspetti dubbi il maggiore dei quali di millimetri 22 di asse massima.

L’indagine rivelava inoltre la presenza nel QSI della mammella destra di un’area disomogenea di millimetri 23×17 e di un’altra area nel QIE di millimetri 17 con aspetto duttulariforme. Si apprezzavano inoltre alcune aree di enhancement omogeneo, a contorni regolari, sparse nel parenchima, la maggiore delle quali nel QII di millimetri 9.

Il 06 dicembre 2010 si sottoponeva a PET total body che evidenziava due aree di aumentato metabolismo in corrispondenza della lesione del QIE della mammella sinistra e di un pacchetto adenopatico in sede ascellare omolaterale. Tali reperti erano riferibili a lesioni di natura eteroplastica.

Si segnalava la presenza di un diffuso accumulo a livello dell’utero di verosimile natura aspecifica.

Iniziava terapia antiblastica. Eseguiva regolarmente esami strumentali e visite specialistiche.

In data 05 luglio 2011 era ricoverata al reparto di senologia dell’ospedale di Forlì con diagnosi di neoplasia mammaria sinistra con adenopatia, era sottoposta ad intervento chirurgico di mastectomia semplice allargata monolaterale. Era dimessa il 13 luglio 2011 con prescrizione di terapia farmacologica.

Era eseguito esame istologico su laterale chirurgico con diagnosi di minimo focolaio residuo di CDI con aspetti micropapillari (6 millimetri) più focolai in DCIS G3, linfangite neoplastica, capezzolo indenne, linfonodi ascellari indenni. Si aggiornava la diagnosi di neoplasia della mammella sinistra chemiotrattata.

Il 15 novembre 2012 veniva ricoverata nel reparto di senologia dell’ospedale di Forlì con diagnosi di esiti di mastectomia sinistra allargata, era sottoposta ad intervento di lipofilling in regione mammaria sinistra, era dimessa il 17 novembre 2012 con prescrizione di terapia farmacologica; era prescritto riposo, contenzione teso-elastica sulla zona di prelievo per almeno un mese, prognosi di 15 giorni.

In data 03 aprile 2013 era ricoverata nel reparto di senologia dell’ospedale di Forlì con diagnosi di esiti di mastectomia sinistra, era sottoposta a lipofilling II trattamento; era dimessa il giorno successivo con prescrizione di terapia farmacologica, contenzione teso-elastica sulla zona di prelievo per almeno un mese, prognosi di 10 giorni.

In data 05 novembre 2013 era ricoverata nel reparto di senologia dell’ospedale di Forlì con diagnosi di esiti di mastectomia sinistra, era sottoposta a lipofilling III trattamento; era dimessa il 07 novembre 2013 con prescrizione di terapia farmacologica, contenzione teso-elastica sulla zona di prelievo per almeno un mese, prognosi di 15 giorni.

In data 30 aprile 2014 era ricoverata al reparto di senologia dell’ospedale di Forlì con diagnosi di esiti di mastectomia sinistra; il 02 maggio era sottoposta ad intervento di posizionamento di espansore tissutale in sede di mastectomia sinistra. Si osservava la presenza di ematoma nel post-operatorio, il 03 maggio eseguiva evacuazione di ematoma ed emostasi.

Era dimessa in data 08 maggio 2014 con prescrizione di terapia farmacologica, prognosi di 25 giorni.

  1. Dalla vicenda clinica così ricostruita, sostengono gli attori che emergerebbero differenti profili di colpa medica in relazione all’operato dei convenuti, che avrebbero ritardato di circa 15 mesi la diagnosi della patologia tumorale, così rendendo necessario un trattamento chirurgico particolarmente invasivo con conseguente danno alla salute, lunga degenza ospedaliera nonché trattamento chirurgico estetico ricostruttivo post – operatorio.

Occorre a questo punto dare atto delle conclusioni alle quali è pervenuta la CTU all’esito delle operazioni peritali. Il dott. Mancini, dopo aver richiamato le previsioni delle linee guida AIOM del 2008, del Gruppo Senologico Veronese del 2008 e FONCAM del 2005 per quanto attiene all’esecuzione della ecografia e averle confrontate con la storia clinica della sig.ra D.P., ha osservato che “non vi è mai, nei referti, la indicazione della sintomatologia della paziente né degli eventuali segni clinici (assenti o presenti non importa) derivanti dall’esame palpatorio del seno, la descrizione ecografica risulta sommaria senza specificazione delle sedi dei fibroadenomi descritti come “vecchi” nel 2008, si indica un reperto immodificato nel febbraio 2009 ma si rileva una fibroadenomatosi più accentuata a sinistra, nell’agosto del 2009 vengono rilevati due noduli a sinistra con indicazione a mammografia ma nel controllo ecografico del gennaio 2010 (circa 5 mesi dopo) pur in presenza di ulteriori segni clinici, seppure aspecifici a sinistra, e senza rilievo di aver eseguito la mammografia, non viene posta ulteriore indicazione alla mammografia stessa, nel maggio del 2010 non viene ancora una volta specificata la sede dei noduli né altri parametri sopra indicati come utili alla definizione ecografica. Si arriva alla mammografia del 30 giugno 2010 la quale rileva microcalcificazioni a sinistra con indicazione a controllo dopo 4 mesi. (…) Vi è stata una chiara sottostima dei segni semeiologici rilevati sia mediante ecografia sia mediante mammografia, vi è una chiara superficialità nella descrizione ecografia, vi è una assenza dei segni dell’esame clinico della paziente, vi è una attesa immotivata dopo esecuzione di mammografia in presenza dei precedenti referti ecografici (si ricorda che le calcificazioni sono presenti, dopo esame mammografico, tra il 20% ed il 40-50% della fase preclinica pur rilevandosi anche in lesioni benigne ma comunque meritevoli di approfondimento mediante biopsia). Il sottoscritto CTU, pertanto, trova ragionevole indicare che certamente dall’agosto del 2009 era altamente probabile la sussistenza della patologia neoplastica e che una mammografia avrebbe rilevato la sussistenza di una lesione dubbia e comunque meritevole di ulteriori accertamenti: di fatto il professionista ha indicato la necessità di eseguire la mammografia ma nei mesi seguenti nessuno degli altri professionisti ha verificato sia la evoluzione della/e lesione/i dubbia/e sia controllato che la paziente si fosse sottoposta a tale accertamento”.

A conclusione del proprio accertamento deduce in sintesi il CTU che “risulta chiara la sussistenza di un ritardo di diagnosi della patologia oncologica imputabile alla sottostima dei dati clinici, alla scarsa cura dei referti ecografici, alla assenza di rilievi di dati clinici, alla assenza di valutazione del rischio tumorale della paziente; tale ritardo deve essere fatto decorrere non già dall’agosto 2009 (momento di corretta indicazione all’esecuzione di mammografia) ma da un periodo successivo ovvero il teorico momento atteso di esecuzione di mammografia (verosimile un tempo di attesa di almeno 2-3 mesi). Si ha, a ben vedere, un ritardo diagnostico di circa 12 mesi (novembre 2010 – diagnosi istologica) in una patologia tumorale con alto indice di proliferazione. Tale ritardo diagnostico ha comportato la necessità di aggredire la forma tumorale in maniera drastica mediante trattamento chirurgico di mastectomia-chemioterapia-radioterapia. Si deve convenire che un trattamento anticipato della forma tumorale avrebbe comportato con ogni probabilità comunque un intervento di asportazione mammaria destra con associata chemioterapia; ciò che non era atteso è certamente l’evoluzione infausta sotto il profilo estetico in quanto una asportazione di massa limitata in assenza di radioterapia-svuotamento ascellare avrebbe consentito un ripristino mediante il decorso espansore-protesi con un alto grado di probabilità di avere un buon risultato estetico che, di fatto, è stato impedito sia dalla necessità di eseguire la radioterapia sia di adottare un trattamento ricostruttivo su terreno minato dalla stessa radioterapia”.

Le conclusioni del CTU devono essere condivise, in quanto rese all’esito di un esame completo della documentazione sanitaria, adeguatamente motivate e prive di vizi logici.

  1. Sulla base di tali conclusioni, deve essere affermata la responsabilità tanto del dott. M., quanto del dott. M. e della A.U., presso la quale tale ultimo medico lavora.

In particolare, quanto alla condotta del Dott. M., il CTU rileva che: “nei referti rilasciati dallo stesso è del tutto assente qualsiasi informazione anamnestica utile a definire individuare assenza presenza di eventuali fattori di rischio; neppure un minimo cenno alle precedenti asportazioni di noduli (fibroadenomi) avvenute in precedenza. Quand’anche si volesse sostenere che ciò sarebbe giustificato dal fatto che trattasi di referti ecografici, va sottolineato che è proprio in tali referti e nelle relative immagini, che non è reperibile alcun cenno all’esame clinico o alle caratteristiche cliniche ma neppure ecografiche dei noduli, né nelle immagini pare possibile comprendere sede e dimensioni dei noduli. Pertanto appare anche difficile comprendere come potesse essere attuato il confronto tra le ecografie successive, visti i limiti sopra detti”. Continua il CTU, sempre in riferimento alla refertazione emessa all’esito delle visite con il Dott. M., anche in risposta alle osservazioni del CTP Dott. Binotti, evidenziando come gli esami ecografici siano “ben poco e male decifrabili e dunque francamente non confrontabili con quelle degli esami ecografici precedenti (tanto più in ragione della mancata indicazione di sede), ma, nonostante tali limiti, concluse con giudizio di “immodificata la fibroadenomatosi multipla più accentuata a sinistra. Lieve mastopatia fibrositica bilaterale. IN PARTICOLARE NON LESIONI SOSPETTE PER ETEROPLASIE.” Dunque in gennaio venne rilasciato dal Dr M. alla P. un referto quanto mai tranquillizzante, né venne da questo professionista fatto mai un cenno alla opportunità della mammografia”.

In relazione agli accertamenti ecografici ed alle refertazioni eseguite dal Dott. M. a seguito della visita del 17/08/2009 presso il Dott. M., il CTU afferma che “l’accertamento eseguito era scarsamente riconducibile sul profilo strumentale a quello precedentemente eseguito per mancanza di indicazione di sede e con emissione di diagnosi non confortata da ulteriore indicazione di esecuzione di mammografia” …, evidenziando infine che “In buona sostanza, posto che l’indicazione del dott. M. ad eseguire la mammografia era corretta, il M. non ne dispose mai l’indicazione”.

Pertanto, concordando con quanto affermato dal CTU, si deve dichiarare la responsabilità del convenuto Dott. M.: egli, infatti, da un lato avrebbe dovuto prestare maggiore cura ed attenzione nello svolgimento degli esami ecografici e nella refertazione dei medesimi e, dall’altro, in presenza di un quadro clinico quanto meno dubbio, avrebbe dovuto prescrivere alla paziente ulteriori controlli, in primis l’esecuzione di una mammografia, che avrebbero verosimilmente consentito di anticipare la diagnosi tumorale.

Peraltro, le affermazioni del CTU circa i limiti dello strumento ecografico (dalla relazione integrativa depositata in data 09/10/2018: “l’ecografia è un esame operatore dipendente ovvero, come dice il termine stesso, dipende dalle scelte/tecnica/abilità del medico che esegue l’accertamento sia per quanto attiene la capacità di porre diagnosi sia per quanto riguarda l’inserimento dell’esame ecografico all’interno del processo diagnostico di natura prettamente clinica…l’ecografia rappresenta uno strumento diagnostico accessorio per il medico non potendo essere essa la sola ed unica fonte per porre/non porre diagnosi”) non valgono certamente ad escludere la responsabilità del M.: egli, infatti, quale medico specialista in radiologia, doveva essere ben a conoscenza delle caratteristiche dei vari esami diagnostici e, pertanto, qualora fossero residuati dei dubbi dopo l’esecuzione delle ecografie, avrebbe certamente dovuto prescrivere alla paziente ulteriori accertamenti, anche se non disponeva in studio della strumentazione per eseguirli.

Nello specifico, quanto all’esecuzione della mammografia, prescritta nell’agosto 2009 dal dott. M. ed eseguita solo a giugno 2010, il CTU ha rilevato che “vi sono, pertanto, due ipotesi: o i due professionisti non hanno mai visto i rispettivi referti (e allora non è opportuno sovrapporre le valutazioni eseguite dagli stessi in quanto uno non conosceva l’esistenza dell’altro ma, a questo punto, non conosceva neppure le valutazioni prognostiche dell’altro professionista quindi non è comprensibile come la mancata esecuzione della mammografia indicata dal M. sia stata totalmente misconosciuta dal M. nel successivo controllo. Come dice la Collega Binotti, la mammografia era esame corretto e da eseguire senza ulteriore perdita di tempo mentre il M. tale accertamento non lo ha mai messo neppure in considerazione) oppure entrambi conoscevano le rispettive certificazioni (e allora non si spiega come mai dalle varie refertazioni nessuno cita il controllo dell’altro sia quale elemento anamnestico sia quale elemento di differenza valutativa rispetto ai controlli eseguiti: si ripete, si vuole confidare nella corretta lettura del P. e proprio per questo se i professionisti erano a conoscenza delle rispettive diagnosi la ulteriore prudenza di fronte ad una paziente con noduli che compaiono e scompaiono era di sottoporre la paziente in tempi più precisi e precoci ad una mammografia). Nell’ipotesi in cui la paziente volontariamente non abbia mostrato i certificati all’uno e all’altro professionista, sulla cui responsabilità ovviamente ci si dovrà esprimere ma che non risulta di competenza di questo professionista, si ricade comunque nella preliminare ipotesi ovvero quella in cui il singolo professionista doveva ben adoperarsi per offrire in via autonoma la migliore prestazione, al momento, da lui esigibile, di cui si è già ampiamente detto” (pagg. 60 – 63 della relazione).

Dunque, considerando che, come affermato dal CTU, ad agosto 2009 (data di prima prescrizione della mammografia) la patologia neoplastica era verosimilmente già presente, sussiste la responsabilità del dott. M. quanto alle indicazioni date alla paziente alla visita del 21 gennaio 2010: qualora in tale occasione gli fosse stato mostrato il referto del dott. M., che individuava la presenza di due noduli a sinistra e prescriveva mammografia, egli avrebbe dovuto controllare che la paziente avesse eseguito l’esame e, dopo la sua risposta negativa, reiterare tale prescrizione. Se, invece, il M. non avesse avuto a disposizione i referti del collega, l’individuazione da parte sua di segni clinici a sinistra, seppure non ancora specifici per neoplasia, avrebbe comunque dovuto indurlo a prescrivere alla D.P. l’esecuzione della mammografia.

Da quanto sopra appare chiaro che al M. non viene contestato di non aver diagnosticato la neoplasia mediante gli strumenti a sua disposizione (l’ecografia), ma di aver colposamente sottovalutato la situazione della paziente, rilasciandole referti tranquillizzanti (a gennaio 2010: “non lesioni sospette per eteroplasie”), pur in presenza di un quadro clinico dubbio, che necessitava di un approfondimento diagnostico.

Nel presente giudizio, dunque, egli non ha subito alcuna lesione del contraddittorio per non avere il CTU “messo a disposizione delle parti e dei periti i reperti (fotografie) ecografici acquisiti in originale”, né per il fatto che il CTU abbia deciso di non avvalersi di un ausiliario radiologo, posto che la sua responsabilità è stata riscontrata sotto profili diversi, sui quali ha avuto la possibilità di difendersi pienamente.

Anche per quanto riguarda le prove orali richieste e non ammesse, la circostanza, riferita dal M., che la D.P. alla visita del 3/9/2010 si fosse presentata senza la documentazione medica precedente non appare rilevante ai fini dell’accertamento della colpa del medico. Se anche la paziente si fosse presentata all’appuntamento con la documentazione dei precedenti esami e avesse poi eseguito l’intervento chirurgico con biopsia consigliato dal M., infatti, la diagnosi non si sarebbe avuta prima del mese di ottobre 2010, data ormai prossima a quella della diagnosi effettiva. Evidente, invece, è la responsabilità del M. per quanto accaduto a gennaio del 2010, quando ha congedato la paziente senza alcuna ulteriore prescrizione, che avrebbe potuto consentire di anticipare la diagnosi di diversi mesi.

Del tutto inappropriate appaiono, infine, le considerazioni della difesa del M. circa il presunto ritardo con cui la D.P. si sarebbe sottoposta ad intervento chirurgico e sulla possibilità per la stessa di eseguire un trattamento conservativo, viste le dimensioni ridotte della lesione (6 mm).

Dalla storia clinica della paziente, sopra riassunta, emerge chiaramente che la D.P., dopo la diagnosi, è stata presa in cura presso il reparto di oncologia dell’Ospedale di Forlì, dove si è sottoposta a numerosi cicli di chemioterapia, che hanno ridotto le dimensioni della neoplasia, prima di eseguire la mastectomia nel luglio 2011. Al momento della diagnosi non si era, invece, in presenza di una lesione di dimensioni tanto ridotte, trattandosi al contrario di una forma tumorale aggressiva, che, secondo il giudizio del CTU, avrebbe comunque necessitato di asportazione mammaria con chemioterapia.

  1. Sulla base della relazione del CTU deve essere riconosciuta una responsabilità nella causazione dell’evento, seppur in misura minore, anche a carico del Dott. M. e dell’A.U..

Per quanto riguarda la condotta del dott. M., nulla gli si può imputare quanto alla visita dell’agosto 2009, quando ha correttamente prescritto l’esecuzione di una mammografia, poi non effettuata da parte della sig.ra D.P.. Egli ha poi rivisto la paziente nel maggio 2010, quando ha rilevato un modico aumento della dimensione dei noduli, prescrivendo un controllo dopo sei mesi.

Dal referto (doc. 6 di parte attrice), non risulta che in quell’occasione alla paziente sia stata nuovamente prescritta l’esecuzione di una mammografia, ma tale circostanza non appare di per sé rilevante, posto che l’esame in questione è stato eseguito dalla D.P. a distanza di poco tempo, il 30/06/2010.

La responsabilità del dott. M. deve essere, invece, riconosciuta laddove ha rinviato la paziente ad un controllo dopo altri sei mesi, quando era ben consapevole che alla stessa erano stati riscontrati dei noduli ad agosto del 2009, che non risultava eseguita la mammografia da lui prescritta e che a distanza di nove mesi i noduli risultavano ingranditi. La condotta corretta, che avrebbe consentito di anticipare di circa quattro mesi la diagnosi, sarebbe stata, invece, quella di non temporeggiare ulteriormente e di prescrivere alla D.P. una nuova visita immediatamente dopo l’esecuzione della mammografia.

La responsabilità del dott. M. sussiste, dunque, anche se parte attrice non ha raggiunto la prova dell’episodio del 4/7/2010, quando la D.P. afferma di essersi recata senza appuntamento in ospedale e di aver consegnato gli esiti della mammografia ad un’infermiera (non identificata), che li avrebbe mostrati al medico, riferendo poi alla paziente di ritornare dopo quattro mesi.

  1. Così individuate le responsabilità dei convenuti, occorre svolgere alcune considerazioni in tema di nesso di causalità: è noto che, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a più azioni od omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41, c.p. – norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità – in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l’esclusiva efficienza causale di una di esse (v. Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 18753 del 28/07/2017).

Dai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento (dei quali l’art. 2055 c.c. costituisce un’esplicitazione) discende che, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (v. Cass. civ. Sez. III, 30/03/2010, n. 7618). Dal principio di irrilevanza delle concause deriva altresì che, anche nella responsabilità contrattuale, tra i corresponsabili di un danno sussiste sempre responsabilità solidale (v. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7404 del 11/05/2012), sicché la graduazione delle responsabilità tra i diversi soggetti tenuti al risarcimento rileva unicamente nei rapporti interni, se viene esercitata l’azione di regresso.

Ebbene, nel caso di specie, le condotte dei convenuti hanno tutte concorso a cagionare lo stesso evento dannoso, rappresentato dal ritardo nella diagnosi di circa 12 mesi e dalle conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate.

Rispetto a tale ritardo, sul quale ha sicuramente inciso anche la mancata effettuazione della mammografia da parte della D.P., di cui si dirà in seguito, hanno avuto efficienza causale le condotte sia del dott. M. sia del dott. M..

Quanto al primo, infatti, deve ritenersi che, se avesse correttamente prescritto ulteriori accertamenti alla visita del 21/01/2010, la diagnosi si sarebbe potuta avere a marzo/aprile 2010, dunque con un anticipo di circa sette/otto mesi rispetto a quanto è avvenuto. Analogamente, se nel maggio 2010 il dott. M. avesse fissato il controllo successivo non dopo sei mesi, ma immediatamente dopo l’esecuzione della mammografia (in data 30/06/2010), la malattia avrebbe potuto essere diagnosticata alla fine di luglio/inizio di agosto 2010, con un anticipo di circa quattro mesi.

Tutti i convenuti devono, pertanto, essere tenuti in solido al risarcimento del danno.

Per quanto riguarda la ripartizione interna tra i convenuti condannati in solido, al dott. M. deve essere attribuita una percentuale di responsabilità del 70%, al dott. M. e all’A.U. del 30%, ciò in ragione della maggiore efficienza causale della condotta del primo medico (che, qualora avesse prescritto ulteriori accertamenti nel gennaio 2010, avrebbe potuto anticipare la diagnosi di sette-otto mesi), rispetto al dott. M., che ha rivisto la paziente solo a maggio 2010, dopo la prima visita nell’agosto 2009.

  1. Quanto alla condotta della D.P., dall’esame dei fatti di causa nonché dalle conclusioni espresse dal CTU risulta innegabilmente come la sua decisione di non eseguire la mammografia che il dott. M. le aveva prescritto nell’agosto 2009, ma di rivolgersi dopo qualche mese ad altro medico (il dott. M., nel gennaio 2010), evidentemente per ottenere un altro parere, abbia contribuito a determinare il ritardo nella diagnosi della neoplasia.

Tale comportamento appare alquanto incauto, in quanto la visita con ecografia del 17/08/2009 non aveva mostrato un reperto negativo, anzi aveva evidenziato la presenza di noduli, sicché le norme di comune prudenza consigliavano di non trascurare l’esecuzione della mammografia prescritta dal dott. M..

La circostanza, riferita dalla sig.ra D.P. in sede di operazioni peritali, di non avere avvertito l’urgenza di sottoporsi a tale esame non vale ad escludere la sussistenza del concorso ex art. 1227 c.c., dal momento che la mammografia rappresenta notoriamente, per una donna di 40 anni, un esame del tutto ordinario nello screening dei tumori del seno, che viene regolarmente prescritta proprio per individuare eventuali lesioni in fase iniziale e consentire la diagnosi precoce.

E’ verosimile, peraltro, che tali nozioni fossero note alla D.P., che svolgeva la professione di farmacista e aveva certamente un bagaglio formativo – culturale di base nell’ambito medico – sanitario. La decisione di non sottoporsi agli ulteriori controlli medici prescritti è inquadrabile nell’ambito della disciplina del concorso del fatto colposo del creditore di cui all’art. 1227, comma 1, c.c. ai sensi del quale “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”, norma che esclude che il creditore danneggiato possa ottenere la riparazione per quella parte di danno che ha causato con il proprio comportamento colposo.

Considerando che, nel caso di specie, all’omessa esecuzione della mammografia è stata attribuita una notevole rilevanza nella serie causale che ha portato alla produzione del danno (nella quale si sono inserite, senza interrompere il nesso di causalità, le condotte colpose dei due medici), l’apporto eziologico dei convenuti alla determinazione dell’evento può, in definitiva, quantificarsi nel 50% (percentuale nella quale, dunque, verranno liquidati i pregiudizi risarcibili a parte attrice).

  1. Una volta accertata la responsabilità dei convenuti, occorre ora individuare le conseguenze dannose che ad esso possono essere ricondotte.

Il CTU ha concluso che “considerando lo stato attuale valutabile nella misura del 20% (deformità del seno di sinistra con alterazione importante sotto il profilo estetico non emendabile – mastectomia monolaterale non protesizzata), considerando il miglior risultato atteso in ipotesi di corretta valutazione ed intervento chirurgico ricostruttivo ottimale come stimabile nella misura orientativa inferiore al 10% ovvero nella misura del 8%, si ha un maggior danno stimato in via orientativa nella misura del 12% con una valutazione risarcitoria estesa dal 8 al 20% quale differenza economica valutativa. (…) Sussiste un periodo di danno biologico temporaneo al 100% di 15 giorni (periodo dei ricoveri ospedalieri) e di 60 giorni al 50% (periodo indicato alla dimissione post ospedaliera)”.

La quantificazione del danno alla salute deve avvenire con un criterio differenziale, dal momento che, nella determinazione del grado di invalidità permanente, devono escludersi quei postumi che si sarebbero comunque manifestati, anche in assenza dell’errore medico.

Tale differenza dovrà essere calcolata non sul grado di invalidità permanente, ma sui relativi valori monetari, in particolare sottraendo, dal risarcimento dovuto per il danno effettivamente residuato in corpore, il valore monetario dell’invalidità che sarebbe comunque residuata in caso di tempestiva cura (in termini Cassazione civile sez. III, 31/05/2018, n.13765).

L’operazione sopra illustrata si giustifica in quanto il valore monetario del punto di invalidità cresce più che proporzionalmente rispetto al crescere dell’invalidità. Pertanto, se il calcolo del danno differenziale avvenisse sottraendo dal grado percentuale di invalidità permanente effettivamente residuato il grado percentuale di invalidità permanente che sarebbe residuato in assenza di colpa del medico, la conversione in termini monetari della lesione alla salute avverrebbe senza tenere conto che il surplus di invalidità ascrivibile all’intervento del medico si è innestato non su una situazione di validità preesistente, ma su una situazione già compromessa.

Nel caso di specie, il danno iatrogeno deve essere quantificato, sulla base delle conclusioni raggiunte dalla CTU, nella differenza tra il danno da invalidità permanente nella misura del 20%, pari al danno effettivamente residuato, e il danno da invalidità permanente nella misura del 8%, pari al danno che sarebbe comunque residuato in assenza di colpa dei medici.

  1. La liquidazione del danno biologico deve essere effettuata utilizzando i valori previsti dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, vista l’età della danneggiata al momento in cui la lesione si è stabilizzata, individuabile nel 2014, quando è stato eseguito l’ultimo intervento di ricostruzione del seno (45 anni).

Il danno da invalidità permanente deve essere quantificato nella somma di Euro 53.607,00, pari alla differenza tra il danno da invalidità permanente nella misura del 20% (Euro 68.594,00) e il danno da invalidità permanente nella misura del 8% (Euro 14.987,00).

Il danno non patrimoniale conseguente alla ritenuta invalidità temporanea va liquidato come segue:

Invalidità temporanea totale (15 giorni) Euro 1.830,00

Invalidità temporanea parziale al 50% (60 giorni) Euro 3.660,00

Totale danno biologico temporaneo Euro 5.490,00

L’utilizzo del valore intermedio di Euro 122,00 per il punto base di invalidità temporanea totale si giustifica in ragione dell’entità, della natura e della durata dell’invalidità temporanea accertata.

Nel caso di specie si ravvisano, inoltre, i presupposti per la personalizzazione della liquidazione, nella misura ritenuta equa del 30% sull’importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno biologico permanente, in considerazione delle ripercussioni subite dall’attrice in conseguenza e per effetto dell’evento dannoso.

Con le note sentenze dell’11/11/2008, le Sezioni Unite hanno, infatti, affermato che, nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, le formule “danno morale” e “danno esistenziale” non individuano autonome sottocategorie di danno, ma descrivono alcuni tipi di pregiudizio, costituiti, il primo, dalla sofferenza soggettiva e, il secondo, dalla compromissione della vita di relazione e delle attività quotidiane precedentemente praticate dal soggetto.

Nelle ipotesi di lesione del diritto alla salute, tuttavia, tali effetti dannosi costituiscono già una componente del danno biologico, sub species di danno da invalidità permanente e temporanea, con la conseguenza che deve essere considerata un’inammissibile duplicazione risarcitoria l’attribuzione automatica, per il medesimo pregiudizio, del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale.

Da tali affermazioni non discende che la sofferenza interiore e i danni alla sfera dinamico-relazionale causati dalla lesione alla salute non siano risarcibili, ma semplicemente che tali voci non possano essere liquidate più volte, utilizzando denominazioni diverse.

Spetta, pertanto, al Giudice procedere ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza tutte le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Nel caso di specie, la sig.ra D.P. ha certamente patito, oltre alla sofferenza dovuta alla malattia e all’invasività delle terapie (quali l’asportazione del seno, la perdita dei capelli e il dimagrimento), anche l’ulteriore dolore di vedere il proprio aspetto fisico segnato in modo permanente dai postumi della neoplasia, con inevitabili ripercussioni anche sul benessere psicologico e sulla vita di relazione, come confermato anche dal CTU (“sussiste una chiara incidenza sugli aspetti socio relazionali del dismorfismo mammario da valutarsi come rilevante rispetto, sempre, al quadro atteso in situazioni di corretto approccio medicochirurgico”).

Come accertato dal CTU, una diagnosi anticipata non avrebbe evitato la sottoposizione della paziente ad intervento di mastectomia e a chemioterapia, ma verosimilmente le avrebbe consentito di scongiurare la radioterapia successiva all’intervento e di ottenere poi, mediante intervento di ricostruzione, un risultato estetico molto più soddisfacente.

Da tali elementi può certamente desumersi una sofferenza interiore di grado elevato, con gravi ripercussioni anche nella vita di relazione per una persona ancora giovane, attualmente cinquantunenne, che giustificano il riconoscimento a suo favore di una ulteriore somma a titolo di personalizzazione, quantificata in Euro 16.082,00.

Il danno non patrimoniale deve essere, quindi, definitivamente quantificato in Euro 75.179,00, di cui il 50%, pari ad Euro 37.589,50, da porre a carico dei convenuti in ragione del riconosciuto concorso di colpa.

  1. Venendo al danno patrimoniale, non può essere riconosciuto il danno da lesione alla capacità lavorativa specifica richiesto dall’attrice.

Per orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, infatti, il danno alla capacità lavorativa specifica rappresenta un danno patrimoniale e, pertanto, “l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso” (Cass. 15238/2014).

Nel caso di specie, nulla è stato dimostrato da parte dell’attrice, la quale si è limitata ad allegare genericamente di aver dovuto abbandonare il proprio lavoro di farmacista, senza tuttavia fornire alcun elemento circa l’eventuale differenza tra i redditi precedenti alla malattia e quelli successivi.

Peraltro, quanto alla possibilità di tornare a svolgere la precedente occupazione, occorre osservare che il CTU ha concluso che “in merito ai riflessi sulla specifica attività di farmacista, non vi sono elementi nel fascicolo e nella tipologia di mansioni svolte dalla paziente che possano orientare per una incidenza specifica in tal senso”.

Quanto alle spese mediche e di assistenza, il CTU non ha individuato voci riconducibili al danno iatrogeno, senza che siano pervenute osservazioni in merito da parte dell’attrice.

  1. In riferimento alla richiesta di risarcimento del danno patito dal coniuge e dei figli della D.P., occorre premettere che il danno riflesso (o c.d. da rimbalzo), di elaborazione pretoria, può essere definito come quel danno, conseguente ad un evento dannoso, che si produce, non nella sfera della vittima diretta del fatto illecito, bensì dei suoi prossimi congiunti e che è risarcibile, iure proprio, in ragione della (possibile) natura plurioffensiva del fatto illecito (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 01/07/2002, n. 9556, Cass. civ., sez. III, 31/05/2003, n. 8827 e n. 8828).

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, il risarcimento del danno non patrimoniale può spettare anche ai prossimi congiunti della vittima di lesioni personali invalidanti, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso (Cass. SS. UU., n. 9556/2002; conformi ex multis, Cass. Civ., n. 8827/2003 e Cass. Civ. n. 11001/2003). E’ pacifico, altresì, che la prova del danno non patrimoniale, patito dai prossimi congiunti di persona resa invalida dall’altrui illecito, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni, sempre che l’esistenza del danno non patrimoniale sia stata debitamente allegata nell’atto introduttivo del giudizio (Cass. Civ. n. 2228/2012) e che il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d’ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti al giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato (Cass. Civ. n. 17058/2017Cass. Civ. n. 2788/2019; Cass. Civ. n. 11212/2019; Cass. Civ. Sez. III, n. 28220/2019).

Nel caso di specie, dalla disamina sopra svolta risulta chiaro che il marito e i figli della sig.ra D.P., questi ultimi ancora bambini al momento dei fatti, avrebbero comunque, anche in assenza degli errori medici, sofferto uno sconvolgimento della propria vita quotidiana a causa della grave malattia che ha colpito la propria moglie/madre. Anche in caso di diagnosi più tempestiva, infatti, la D.P. avrebbe dovuto subire un intervento invasivo e la chemioterapia, con inevitabile sofferenza, oltre che per sé, anche per i propri congiunti più stretti.

Al tempo stesso, però, deve ritenersi che la necessità per la D.P. di sottoporsi anche a radioterapia successiva all’intervento, nonché l’impossibilità per la stessa di conseguire un risultato estetico soddisfacente abbiano determinato, secondo l’id quod plerumque accidit, un danno anche per i suoi familiari, rappresentato dal dolore nell’assistere alle sofferenze della propria congiunta e nel vederla segnata così profondamente dalla malattia, sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista psicologico.

Quanto alla liquidazione del danno, essa dovrà avvenire in via equitativa, in considerazione anche del fatto che la tabelle in uso presso il Tribunale di Milano indicano, per la quantificazione del danno da grave lesione del rapporto parentale, solo dei limiti massimi, coincidenti con quelli previsti per la diversa ipotesi del danno da perdita del congiunto.

Nel caso di specie, nella liquidazione del danno a favore del marito e dei due figli può prendersi come parametro di riferimento l’importo riconosciuto alla D.P. a titolo di personalizzazione, pari ad Euro 16.082,00, che andrà ridotto al 50% in ragione del concorso ex art. 1227 c.c..

A favore di S.G., C.G. e N.G. andrà, pertanto, riconosciuto l’importo di Euro 8.041,00 per ciascuno.

  1. Sulle somme totali riconosciute a titolo di risarcimento del danno andranno corrisposti, previa devalutazione in ragione della stima fattane secondo criteri aggiornati, l’ulteriore rivalutazione, secondo gli indici ISTAT di categoria dalla data della definitiva stabilizzazione dei postumi (novembre 2014) alla presente pronuncia, e gli interessi legali, questi ultimi da calcolarsi sulle somme rivalutate anno per anno a decorrere dal sinistro (cfr. in termini Cass. SU 1712/95) fino alla presente decisione.

A seguito della liquidazione qui operata il debito di valore si converte in debito di valuta e su di esso dovranno computarsi gli interessi moratori ex lege fino al saldo effettivo.

  1. Esaurita la trattazione di quanto concernente la determinazione dell’an e del quantum della pretesa risarcitoria, occorre occuparsi delle eccezioni sollevate della terza chiamata in garanzia A.M. S.p.a. in relazione all’operatività della polizza n. (…), stipulata dal Dott. M. a copertura della propria responsabilità professionale per l’esercizio della professione medica.

La domanda svolta nei confronti della terza chiamata merita accoglimento, apparendo del tutto infondati i rilievi sollevati dalla compagnia assicuratrice nei confronti del Dott. M..

Innanzitutto, in riferimento alla presunta non operatività al caso di specie, occorre rilevare che la polizza n. (…) (doc. 2 fasc. M.), stipulata in regime “claims made”, aveva effetto dal 30-4-2013 al 30-4-2014. Orbene, in tale lasso temporale, e in particolare in data 13-3-2014, l’assicurato ha provato per documenti di aver inviato alla compagnia la denuncia di sinistro, inoltrandole via fax copia della raccomandata a/r, contenente richiesta di risarcimento del danno, pervenutagli dal difensore della D.P. (doc. 3 fasc. M.).

Prive di fondamento appaiono, inoltre, le eccezioni relative alla operatività della polizza in secondo rischio, posto che oggetto del giudizio è la responsabilità del dott. M. come medico, mentre un’eventuale responsabilità del poliambulatorio non è stata mai nemmeno prospettata.

La limitazione della copertura assicurativa “per la sola quota di responsabilità diretta dell’assicurato con esclusione di ogni responsabilità derivantegli in via solidale” può essere fatta valere esclusivamente nei rapporti interni tra condebitori solidali.

Merita accoglimento unicamente l’eccezione relativa all’esclusione dalla copertura assicurativa dei danni vantati dai congiunti della D.P., dal momento che oggetto dell’assicurazione è il risarcimento di “danni (…) involontariamente cagionati per negligenza, imprudenza o imperizia, lievi o gravi, nell’esercizio dell’attività dichiarata in polizza ai pazienti” (art. 16 delle condizioni di assicurazione).

In conclusione, pertanto, A.M. dovrà essere condannata a tenere indenne il dott. M. di ogni somma che questi sarà tenuto a corrispondere ad E.D.P..

  1. Le spese sono liquidate come da dispositivo e sono regolate come segue: i convenuti in solido tra loro sono tenuti a rifondere a parte attrice le spese di lite nella misura della metà, in ragione del riconosciuto concorso di colpa. Tra tali spese rientrano anche le spese di CTP documentate, pari ad Euro 2.440,00 per il dott. Vergari, Euro 400,00 per il dott. Grosso ed Euro 2.440,00 per il dott. Grassigli.

Le spese di CTU, liquidate come da separato decreto, devono essere poste a carico di parte attrice nella misura della metà e per l’altra metà a carico dei convenuti in solido tra loro.

Nel rapporto tra il Dott. M. e la A.M., le spese di chiamata in causa sostenute dall’assicurato per la domanda di manleva seguono la soccombenza della compagnia di assicurazione che dovrà tenere indenne il Dott. M. anche dalle somme dallo stesso dovute in favore dell’odierno attore a titolo di spese legali, senz’altro ricomprese nella garanzia assicurativa così come precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “Nell’assicurazione per la responsabilità civile le spese processuali che il responsabile assicurato deve rimborsare al terzo danneggiato costituiscono una componente del danno da risarcire e l’assicurato dev’esserne tenuto indenne dall’assicuratore” (cfr. Cass. n. 5063/87). A.M. è tenuta altresì a rifondere a favore del dott. M. le spese di resistenza, ovvero le spese sostenute dall’assicurato per resistere all’azione del danneggiato.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1- In parziale accoglimento della domanda, in ragione di quanto espresso in motivazione, accerta e dichiara la responsabilità dei convenuti nella misura del 50% per l’evento dannoso subito da parte attrice e, per l’effetto, li condanna in solido al risarcimento dei danni che si liquidano come segue:

  1. a) Euro 37.589,50 a favore di E.D.P., oltre rivalutazione monetaria e interessi legali come da motivazione;

  2. b) Euro 8.041,00 ciascuno a favore di S.G., C.G. e N.G. oltre rivalutazione monetaria e interessi legali come da motivazione;

2 – Dichiara che, nei rapporti interni tra i condebitori solidali, l’obbligazione risarcitoria debba essere ripartita per il 70% al M. e per il 30% al M. e all’A.U.;

3- Condanna i convenuti a rifondere alla parte attrice le spese di lite nella misura della metà, che si liquidano per tale parte in Euro 2.640,00 per CTP, Euro 545,00 per spese ed Euro 8.729,50 per compensi professionali, oltre a spese generali, I.v.a. e C.p.a. ai sensi di legge;

4 – Pone le spese per la CTU, liquidate come da separato decreto, a carico di parte attrice nella misura della metà e per l’altra metà a carico dei convenuti in solido tra loro;

5 -In accoglimento della domanda di garanzia proposta dal Dott. M.G., in ragione di quanto espresso in motivazione, condanna A.M. S.p.a. a tenere indenne l’assicurato dagli effetti delle statuizioni di cui ai punti 1 a), 3 e 4 del dispositivo;

6 – Condanna A.M. a rifondere al convenuto M. le spese di lite, che si liquidano in Euro 13.430,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, I.v.a. e C.p.a. ai sensi di legge.

Conclusione

Così deciso in Rimini, il 27 ottobre 2020.

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2020.

Originally posted 2021-08-12 08:18:26.