TRIBUNALE VICENZA BANCAROTTA AVVOCATO PENALISTA DIFENDE

TRIBUNALE VICENZA BANCAROTTA AVVOCATO PENALISTA DIFENDE

051 6447838

IL FATTO

R.L. e R.E. sono imputati del reato di cui agli art. 216 co. 1 n. 1 L.f. per avere, in concorso tra loro – R.L. quale liquidatore della E.S. s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Vicenza in data 9.10.2007, e R.E. quale addetta alla contabilità – distratto dal patrimonio della E.S. s.r.l. gli utili relativi all’esercizio 2004, per un importo complessivo di 109.613,00 Euro, gli utili relativi all’esercizio 2005, per un importo complessivo di 108.936,00 Euro, e i beni strumentali “di cui al capo E” (e, quindi, “computer, arredi, autoveicoli e macchine per la gestione di reti informatiche e servizi telematici”) ceduti alla E.S. s.r.l. dalla K.I. s.r.l. (società di cui lo stesso R. era legale rappresentante) con contratto di affitto di ramo di azienda.

Gli imputati sono accusati, inoltre, del delitto di cui all’art. 223 co. 2 n. 2 L.f. in quanto, ponendo in essere le predette “operazioni”, avrebbero cagionato dolosamente il fallimento della E.S. s.r.l. e, infine, del reato di cui all’art. 216 co. 1 n. 2 L.f. per aver omesso, allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori, di tenere le scritture contabili così da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

MOTIVAZIONE

che la sottrazione dei predetti beni integra distrazione atteso il pregiudizio che si riverbera sulla massa fallimentare che viene gravata dell’onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione dei beni o del loro corrispondente valore (cfr Cass. pen. Sez. V, 01.10.2015, n. 44898 con riguardo alla configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in caso di distrazione di beni oggetto di contratto di leasing cosiddetto di godimento).

Quanto alla prova dell’avvenuta distrazione, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari, a disposizione dell’amministratore, costituisce qualora da questi non giustificato, valida presunzione delle loro dolosa distrazione, probatoriamente rilevante al fine dell’affermazione della penale responsabilità dell’amministratore stesso.

Si impone, pertanto, l’affermazione della responsabilità dell’odierno imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale quanto alla distrazione dei beni ceduti alla E. dalla K.I. s.r.l. con il contratto di affitto di ramo di azienda.

Deve affermarsi, altresì, la responsabilità dell’imputato per il delitto di bancarotta documentale attesa la pacifica configurabilità del reato in capo al liquidatore che non riceva i libri contabili e che ometta ogni controllo sulla loro esistenza e sulla loro regolare tenuta (cfr. Cass. pen. Sez. V, 14.06.2011, n. 36435).

Invero, il mancato rinvenimento delle scritture contabili e la conseguente impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, cosi come testimoniata dal curatore, è sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo la fattispecie contestata.

Quanto all’elemento soggettivo, rappresentato – secondo l’espressa previsione normativa – dal dolo specifico, cioè dalla necessità che la condotta sia finalizzata allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, in previsione della possibilità del fallimento, (cfr. Cass., sez. V, 17.12.2008, n. 1137, V; Cass., sez. V, 13.10.1993, n. 11329), deve condividersi la statuizione della Suprema Corte (Cass. pen. Sez. V, Sent., 08.01.2013, n. 769) secondo cui “proprio il mancato deposito ed il mancato rinvenimento delle menzionate scritture contabili obbligatorie assumono valore pregnante per dimostrare l’esistenza del dolo specifico, cioè della volontà di arrecare un pregiudizio ai creditori in previsione del possibile fallimento” che, peraltro, emerge dalla concomitante indisponibilità manifestata da R. a fornire al curatore spiegazioni in merito alla sorte del patrimonio della fallita.

Rileva in definitiva la Suprema Corte che elementi sintomatici della direzione intenzionale della condotta di sottrazione documentale alla causazione di un pregiudizio ai creditori in previsione del possibile fallimento sono, per l’appunto, il mancato o incompleto deposito di libri e scritture contabili agli organi della procedura fallimentare nonché l’impossibilità di ricostruzione della situazione patrimoniale della ditta fallita, trattandosi di elementi senz’altro idonei a rivelare l’intenzione dell’imprenditore o legale rappresentante della società di pregiudicare il futuro soddisfacimento delle ragioni creditorie attraverso la sottrazione delle informazioni desumibili con carattere di certezza da quelle scritture.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI VICENZA – Sezione Penale –

composto dai Signori:

Dott. Lorenzo MIAZZI – Presidente

Dott. Camilla AMEDORO – Giudice est.

Dott. Filippo LAGRASTA – Giudice

alla pubblica udienza del 17/04/2018

ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

(art. 544 3 comma c.p.p.)

nel procedimento a carico di:

1) R.E. nata il (…) a S. residente a V. in via A. P. n.124 – domicilio dichiarato;

arresti domiciliari 22.04.08 – div. esp. 14.10.08 – rimessa in libertà 28.05.09

libera – contumace

con difensore di fiducia avv. Filippo Spellanzon del Foro di Vicenza;

2) R.L. nato il (…) a T. residente a V. in via A. P. n.124 – domicilio eletto c/o studio avv. Vincenzo Garzia del Foro di Vicenza;

arrestato 17.04.08 – arresti domiciliari 11.08.08 – div. esp. 14.10.08

libero – già presente

con difensore di fiducia avv. Vincenzo Garzia del Foro di Vicenza;

imputati

capo B) stralciato:

B) R.L., R.P. e R.P. del delitto di cui agli artt. 110 c.p., 219 co. 2 n. 2, 223 co. 1 e 2 n. 2 R.D. n. 267 del 1942 perché R.L. quale direttore generale, già dichiarato fallito il 17.12.1979 a Trento e il 6.10.1989 a Vicenza, R.P. quale presidente c.d.a., R.P. quale consigliere di P.T. spa dichiarata fallita ne cagionavano il fallimento per effetto delle seguenti operazioni dolose:

1) mancato versamento dei decimi residui di capitale sociale per Euro 630.000,00;

2) consegna al cliente/fornitore L. spa di assegni circolari per Euro 130.000,00 a parziale copertura di assegno bancario già protestato;

3) bonifico a K.I. srl, pure riferibile ai R., di Euro 435.000,00, non giustificato da alcun rapporto commerciale;

4) vendita dei beni di magazzino – già pignorati da H. di S.P. – per il controvalore di Euro 559.041,84;

5) versamento di Euro 57.000,00 a C.M. srl, pure riferibile ai R.;

6) prelievo, per totali Euro 102.500,00 dal c/c banco posta intestato a P.T. spa;

7) assunzione di debiti verso istituti di credito per totali Euro 1.920.000,00 Iva inclusa, apparentemente garantiti da fatture relative invece ad operazioni commerciali inesistenti;

8) mancata svalutazione e mancato azionamento del credito verso A. di S.G. con sede in M. (F.) per Euro 810.639,86 complessivi rispetto a fondo rischi appostato nel bilancio 2002 per soli Euro 150.000,00 ed essendo tra l’altro A. coinvolta nelle frodi fiscali di cui oltre;

9) pagamento di Euro 360.000,00 (on tre assegni bancari di Euro 120.000,00 l’uno) tratti su U. a favore di O. spa tra l’altro coinvolta attraverso R.I. spa nelle frodi fiscali di cui oltre;

10 ) trasferimento dell’avviamento aziendale ad E.S. srl – costituita subito dopo il fallimento di P.T. spa e pure riferibile ai R. – in assenza di qualsiasi corrispettivo;

11 ) distrazione di Euro 1.187.850,87 per apertura di credito a P.T. spa di R.B. poi U. spa;

12 ) attuazione di plurime condotte delittuose per frode fiscale alio Stato in materia di Iva e imposte diverse (proc. 13343/2005 e 7497/2003 AG di Verona, 5900/07 AG di Padova, 362/02 AG di Gorizia, 8792/04 AG di Brescia, 11530/05 AG di Santa Maria Capua Vetere, 1934/02 AG di Pesaro), specificamente volte al fallimento della società ai fine di evaderle;

a Vicenza, sent. dich. di fall. del 4.5.2004

capo E) stralciato:

E) R.L. dei delitti di cui agli artt. 216 co. 1 n. 1 e 2. 219 co. 2 n. 1 e 2 R.D. n. 267 del 1942 perché quale rappresentante legale di K.I. srl distraeva dal patrimonio sociale la somma di Euro 435.000,00 oggetto dell’operazione dolosa di cui sub B) n. 3 nonché la somma complessiva di Euro 283.600,00 prelevata in ripartite occasioni dal conto finanziamento soci della srl, nonché i beni strumentali di computer, arredi, autoveicoli e macchine per la gestione di reti informatiche e servizi telematici che cedeva in affitto di ramo d’azienda senza alcun corrispettivo a E.S. srl; nonché allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori non teneva la contabilità della srl così da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e movimento degli affari;

a Vicenza, sentenza dich. di fall. del 29.5.2006

Entrambi, in concorso con S.G. (giudicato separatamente):

I) R.L., S.G., R.E. del delitto di cui agli artt. 110 c.p., 216 co. 1 n. 1 e 2 219 co. 2 n. 2 e 223 co. 2 n. 2 R.D. n. 267 del 1942 perché in concorso tra loro S. quale rappresentante legale di E.S. srl dichiarata fallita, R.L. già liquidatore dichiarato fallito il 17.12.1979 a Trento e il 6.10.1989 a Vicenza, R.E. quale addetta alla contabilità distraendo dal patrimonio sociale utili relativi all’esercizio 2004 per Euro 109.613,00 e utili relativi all’esercizio 2005 per Euro 108.936,00 nonché i beni strumentali di cui al capo E) oggetto dell’affitto del ramo d’azienda di K.I. srl, cagionavano dolosamente il fallimento della società nonché allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori non tenevano la contabilità della srl così da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e movimento degli affari;

a Vicenza, sent. dich. di fall. del 9.10.2007

J) R.L., S.G., R.E. del delitto di cui agli artt. 110 c.p. 223 co. 2 n. 2 R.D. n. 267 del 1942 perché S. quale rappresentante legale di E.S. srl dichiarata fallita, R.L. già liquidatore dichiarato fallito il 17.12.1979 a Trento e il 6.10.1989 a Vicenza, R.E. quale addetta alla contabilità in concorso tra loro emettevano otto cambiali con il timbro della E.S. srl al fine di cagionarne il fallimento;

tempo e luogo come sub I)

K) R.L., S.G., R.E. del delitto di cui agli artt. 110 c.p. 223 co. 2 n. 2 R.D. n. 267 del 1942 perché S. quale rappresentante legale di E.S. srl dichiarata fallita, R.L. già liquidatore dichiarato fallito il 17.12.1979 a Trento e il 6.10.1989 a Vicenza, R.E. quale addetta alla contabilità in concorso tra loro e con le persone indicate sub B) concorrevano nell’operazione dolosa di cui sub B) n. 10;

tempo e luogo come sub I)

Svolgimento del processo

Con decreto dell’8 marzo 2012, il giudice dell’udienza preliminare ha disposto il rinvio a giudizio degli odierni imputati per i reati descritti in epigrafe.

Il processo ha subito numerosi rinvii a causa di ripetuti mutamenti della composizione del collegio.

All’udienza del 28 novembre 2017, il Tribunale ha disposto la separazione del procedimento avente ad oggetto i capi A), B), C), D), E), F), G), H), L) e B), trattandosi di reati già prescritti o destinati a prescriversi, al più tardi, nel mese di novembre del 2018. Pertanto, in ossequio alle linee guida dettate dalla Corte d’Appello di Venezia in materia di trattazione dei procedimenti prioritari e della circolare adottata dalla stessa Corte in data 19.12.2014, il procedimento avente ad oggetto i predetti reati è stato rinviato all’udienza del 15 gennaio 2019. E’ stata altresì disposta la separazione dei procedimenti a carico dell’imputato S.G., deceduto in data 18 aprile 2012.

Restano oggetto del presente procedimento, quindi, i reati di cui ai capi I), J) e K) che coinvolgono i soli imputati R.L., presente all’udienza del 14 ottobre 2014, e R.E., dichiarata contumace all’udienza del 19 giugno 2012.

All’udienza del 28 novembre 2017, il Tribunale ha rinnovato la dichiarazione di apertura del dibattimento e le parti hanno prestato il consenso all’utilizzabilità delle prove già assunte in precedenza.

Sentite le conclusioni delle parti, all’udienza del 17 aprile 2018, il Tribunale ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo.

RISULTATI DELL’ISTRUTTORIA DIBATTIMENTALE

Il capo I) dell’imputazione.

R.L. e R.E. sono imputati del reato di cui agli art. 216 co. 1 n. 1 L.f. per avere, in concorso tra loro – R.L. quale liquidatore della E.S. s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Vicenza in data 9.10.2007, e R.E. quale addetta alla contabilità – distratto dal patrimonio della E.S. s.r.l. gli utili relativi all’esercizio 2004, per un importo complessivo di 109.613,00 Euro, gli utili relativi all’esercizio 2005, per un importo complessivo di 108.936,00 Euro, e i beni strumentali “di cui al capo E” (e, quindi, “computer, arredi, autoveicoli e macchine per la gestione di reti informatiche e servizi telematici”) ceduti alla E.S. s.r.l. dalla K.I. s.r.l. (società di cui lo stesso R. era legale rappresentante) con contratto di affitto di ramo di azienda.

Gli imputati sono accusati, inoltre, del delitto di cui all’art. 223 co. 2 n. 2 L.f. in quanto, ponendo in essere le predette “operazioni”, avrebbero cagionato dolosamente il fallimento della E.S. s.r.l. e, infine, del reato di cui all’art. 216 co. 1 n. 2 L.f. per aver omesso, allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori, di tenere le scritture contabili così da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

La ricostruzione dei fatti descritti nell’imputazione si fonda principalmente sulla testimonianza resa dal curatore della società fallita, V.R., sentita all’udienza del 15 aprile 2014, e sulla relazione ex art. 33 L.f. e la successiva integrazione.

In mancanza della documentazione contabile, mai rinvenuta, e fallito qualunque tentativo di rintracciare l’imputato, il curatore ricostruì la storia della società solo sulla base delle visure camerali, dei documenti allegati alla richiesta di fallimento e delle informazioni fornite dagli ex dipendenti.

La E.S. s.r.l. (d’ora in avanti indicata come “E.”) fu costituita il 4 giugno 2004 con sede in V. (V.) in via dell’A. n. 2/a.

Il capitale sociale, dell’importo di 10.000,00 euro, fu sottoscritto per il 99% da S.G. e, per la restante parte, da Z.A..

Oggetto sociale della E. era “la gestione di reti informatiche, la realizzazione di programmi e sistemi informatici, l’assistenza e la realizzazione di sistemi informatici a favore di imprese di professionisti, società o enti la vendita al minuto e all’ingrosso si materiale informatico hardware e software”.

In data 25.10.2004, S.G. cedette la propria quota alla M.P. s.r.l., con sede in R., mentre Z. cedette la propria quota a S.L..

In data 23.12.2004, fu iscritto al Registro delle Imprese un aumento di capitale da 10.000,00 Euro a 100.000,00 Euro.

Il 21 aprile 2006, S.L. cedette la propria quota alla M.P. s.r.l. che restò, pertanto, socio unico della E. fino alla data del fallimento.

Nella carica di amministratore si succedettero S.G. (fino al 23 febbraio 2006), O.E. (fino al 15 maggio 2006) e, infine, F.F.P. (fino al 18 luglio 2006).

Il 23 maggio 2006, la società fu posta in liquidazione e fu nominato liquidatore R.L. che rivestì tale carica fino alla data della dichiarazione del fallimento, pronunciata dal Tribunale di Vicenza con sentenza del 9 ottobre 2007 (acquisita agli atti).

Il curatore accertò che la E. fu costituita per proseguire l’attività di altre società, tutte facenti capo a R. o ai suoi figli, R.P. e R.P., e tutte aventi la medesima sede legale e operativa in V., in via dell’A. n. 2:

– La P.T. s.p.a. i cui soci e amministratori erano i figli dell’imputato, R.P. e R.P., dichiarata fallita in data 27.04.2004 e, quindi, circa un mese e mezzo prima della costituzione della E.;

– La K.I. s.r.l., costituita dai figli dell’imputato il quale, in data 8.3.32004, ne divenne unico socio e amministratore. Il fallimento della società fu dichiarato in data 29.05.2006;

– La C.M. s.r.l., di cui R.L. era socio unico alla data del fallimento nonché amministratore unico dal 2003 fino al 28 marzo 2006, quando fu sostituito dal nuovo amministratore S.C. che, in data 1 giugno 2006, presentò istanza di fallimento, dichiarato dal Tribunale di Vicenza con sentenza del 9 giugno 2006, Quest’ultima società era proprietaria dell’immobile sito in via dell’A. dove, come si è detto, fu stabilita la sede di tutte le società riconducibili a R..

In particolare, dalle informazioni raccolte dal curatore, emerse che la E. e la K.I. s.r.l., erano, di fatto, “la stessa cosa” (pagina 484 della relazione del curatore) e che l’effettiva gestione di entrambe le società era seguita da R. e dai suoi famigliari.

Non a caso, Z., che si occupò della costituzione della E. per poi cedere le proprie quote, all’epoca, era uno dei consulenti di R..

A specifica domanda del pubblico ministero in merito all’amministrazione della società, il curatore ha risposto: “parlando con i dipendenti eccetera loro mi dicevano: possono esserci stati anche altri amministratori ma chi gestiva tutto era R.L.. Anche se davano le direttive, le cose che dovevano essere fatte, venivano sempre impartite da R.L. (pagina 73 delle trascrizioni del verbale dell’udienza del 15 aprile 2014).

Inoltre, con atto notarile sottoscritto in data 30 giugno 2004, la K.I. s.r.l. e la neocostituita E. stipularono un contratto di affitto di ramo di azienda in forza del quale la K.I. s.r.l. concesse in affitto alla E. i propri beni materiali quali “impianti, computer, arredi, autoveicoli e macchine d’ufficio… necessari per l’erogazione di reti informatiche ed erogazione di servizi telematici, assistenza direzionale, amministrativa e di organizzazione del lavoro” e la E. subentrò nei rapporti di lavoro subordinato di otto dipendenti della K.I. s.r.l.

Come si legge ai punti 2) e 3) del contratto, le parti rappresentarono che la K.I. s.r.l. si trovava “in una situazione di tensione finanziaria che potrebbe condizionare il corretto svolgimento della propria attività” e “che al fine di favorire la conservazione del patrimonio aziendale e la sua continuità il concedente si è determinato ad affittare il compendio di cui al punto 1.1.: gestione reti informatiche e servizi telematici”.

Quanto alle cause del dissesto, in assenza di documentazione contabile, il curatore fu in grado di accertare solo che, nel 2005 – “senza alcun motivo apparente” – il lavoro diminuì e il pagamento degli stipendi cominciò ad essere sistematicamente posticipato. Gli ultimi dipendenti furono licenziati il 10 aprile 2006 per chiusura attività, cui segui la messa in liquidazione della società.

Emerse, inoltre, che la contabilità della società era stata tenuta dalla figlia di R., R.E. ma non risultò depositato alcun bilancio né, come si è detto, fu rinvenuta alcuna documentazione.

Presso la sede dell’E., furono rinvenute solo le copie di alcune fatture relative al 2005 e al 2006 e alcune lettere di presentazione e pubblicizzazione della società.

Non fu rinvenuto alcun bene mobile o immobile né furono rinvenuti i beni della K. che, alla data del fallimento, risultavano ancora in possesso della E..

L’importo dei crediti ammessi al passivo risultò pari a 704.966,15 Euro.

Gli ex dipendenti della E. (e prima ancora della K.) – N.A., C.A. e T.A. – riferirono al curatore che R. stava continuando l’attività dell’E. con una nuova società, la K. s.r.l., con sede in C..

Il curatore accertò che la K. s.r.l., era amministrata da S.M.G., già collaboratore della E..

Scrive il curatore a pagina 485 della relazione ex art. 33 L.f.: “coincidenti vuole che, in data 10 aprile 2006, mentre la E.S. (E.) licenziava gli ultimi dipendenti per cessata attività, la società K. integrava l’attività di commercio all’ingrosso di materiali radio televisivi, telefonici e antifurto con commercio all’ingrosso di computer, apparecchiature informatiche e commercio all’ingrosso di software”. Risultò, inoltre, che nella K. s.r.l. furono impiegati due ex dipendenti della E. e che la società, per la gestione del proprio sito internet, utilizzava il dominio di proprietà del figlio dell’imputato, R.P..

Per quanto attiene alla sorte dei beni della K.I. s.r.l. e al ruolo giocato nella vicenda dall’odierno imputato, giova ripercorrere brevemente alcuni momenti della storia della K.I. s.r.l. e dei rapporti di quest’ultima con la E..

All’epoca della stipula del contratto di affitto, R. era ancora amministratore della K.I. s.r.l. Tuttavia, in conseguenza del fallimento della P.T. s.p.a. e dell’azione di responsabilità promossa dal curatore D.R. nei confronti dell’imputato, nel gennaio del 2006, l’intero capitale sociale della K.I. s.r.l. fu sottoposto a sequestro. In data 28 marzo 2006, l’assemblea rappresentata dal custode delle quote sociale, G.S., revocò l’imputato dalla carica di amministratore unico e nominò al suo posto P.A..

Nella relazione redatta in qualità di amministratore unico, P. ripercorse le alterne vicende del rapporto contrattuale tra la K.I. s.r.l. e la E. ponendo in evidenza il fatto che R. avesse di fatto gestito le due società come cosa propria.

In particolare, in data 29 settembre 2005, la E. aveva comunicato via fax il recesso dal contratto d’affitto di ramo d’azione a far data dal 31 marzo 2006. Seguì, in data 27 marzo 2006, un accordo siglato da R. – per la K.I. s.r.l. – e da O. – per la E. – con cui le parti concordarono la continuazione della gestione del ramo d’azienda da parte di E. per “ulteriori 2-3 mesi”, a condizioni nettamente svantaggiose per la K.I. s.r.l. Si stabilì, infatti, la riduzione del canone da 7.500,00 Euro mensili a soli 3.000,00 Euro mensili a fronte di una “contropartita” di 4.500,00 Euro mensili “quale corrispettivo per l’assistenza tecnica” fornita da E..

All’epoca, peraltro, le due società erano assistite dallo stesso legale, l’avv. Vincenzo Garzia.

Quando P. subentrò nella carica di amministratore, assunse un nuovo legale per la K.I. s.r.l., l’avvocato Riccardo Canilli il quale rilevò l’invalidità e, quindi, l’inefficacia del recesso esercitato a suo tempo dalla E.. A quel punto, P. diffidò formalmente la E. dall’intraprendere azioni in danno al ramo d’azienda affittato nonché dal compimento di qualunque attività che potesse avallare il recesso.

Per tutta risposta, in data 19 aprile 2006 – R. sarebbe stato nominato di lì a poco liquidatore della E. – la E. interruppe i servizi di connessione alla rete telematica dei clienti K.I. s.r.l., provocando a quest’ultima gravi disservizi e cospicui danni in termini di perdita di clientela e richieste di risarcimento dei danni.

Appare significativo quanto scrive P. a pagina 87 della sua relazione: “è opinione dello scrivente amministratore, maturata in base alla valutazione del comportamento e dell’atteggiamento dell’ex amministratore che E. sia in realtà un soggetto riconducibile allo stesso R.L., Infatti nella convulsa fase seguita al momentaneo disservizio è stato lo stesso R. a porsi in come interlocutore in nome e per conto della E. dimostrando ampia autonomia decisionale”.

Non a caso, il 23 maggio 2006, R. assunse la carica di liquidatore della E..

In sintesi, P. giunse alle medesime conclusioni cui giunse anche il curatore V. ossia che, al di là delle cariche formalmente assunte da terzi soggetti, R. fosse il vero dominus delle due società così come di tutte le altre società ubicate presso la sede di V. nonché della K. s.r.l. dove verosimilmente confluirono i beni di proprietà della K.I. s.r.l.

Capo J).

E’ contestato agli imputati il delitto di cui all’art. 223 co. 2 n. 2 L.f. per avere, in concorso tra loro, nelle medesime qualità indicate nel capo i), emesso otto cambiali con il timbro della E. al fine di cagionarne il fallimento.

Le cambiali indicate nell’imputazione non sono state acquisite agli atti del dibattimento né l’istruttoria svolta ha consentito di accertare l’effettiva emissione delle stesse.

Il pubblico ministero ha concluso chiedendo l’assoluzione degli imputati dal reato contestato per non essere emersa prova sufficiente dell’efficacia causale dell’emissione delle cambiali rispetto al dissesto della società che, peraltro, pare indicato nell’imputazione quale oggetto di dolo specifico quando, com’è noto, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 223 co. 2 n. 2 L.f. è necessario accertate il nesso eziologico tra l’operazione dolosa e il dissesto della società.

Deve prendersi atto, in ogni caso, dell’assenza di qualunque evidenza in merito alla stessa esistenza delle cambiali.

Capo K).

E’ contestato agli imputati il reato di cui all’art. 223 co. 2 n. 2 L.f. per avere, in concorso tra loro e nelle medesime qualità descritte al capo 1), concorso “nell’operazione dolosa si cui al capo B) n. 10”.

Al capo B), veniva contestato all’imputato e ai due figli, P. e P., il reato di cui 223 co. 2 n. 2 L.f. per aver posto in essere una serie di operazione dolose (indicate con numerazione da 1 a 12) che avrebbero cagionato il fallimento della P.T. s.p.a. (dichiarato dal Tribunale di Vicenza con sentenza del 4 maggio 2004, in atti), in cui l’odierno imputato rivestiva il ruolo di direttore generale.

Il numero 10 del capo B) concerne, in particolare, “il trasferimento dell’avviamento aziendale ad E.S. – costituita subito dopo il fallimento della P.T. s.p.a e pure riferibile a R. – in assenza di qualunque corrispettivo”.

Nonostante l’ambigua formulazione del capo K), l’espresso richiamo alle qualifiche rivestite dagli imputati nella E., induce a ritenere che gli imputati siano accusati di aver cagionato, mediante l’operazione descritta al capo B) n. 10, il fallimento della E..

Chiariti i termini dell’addebito, non è dato comprendere quale efficacia possa aver dispiegato sul fallimento della E. l’acquisizione gratuita da parte della stessa dell’avviamento della P.T., operazione, questa, che costituisce semmai un indebito arricchimento della E. a danno della P.T..

Motivi della decisione

Così ricostruiti i fatti, in accoglimento delle concordi conclusioni delle parti, si impone l’assoluzione degli imputati dai reati di cui ai capi J) e K) perché i fatti non sussistono.

Quanto al capo J), non è emersa alcuna prova dell’esistenza delle cambiali la cui emissione avrebbe cagionato il fallimento della E..

Per quanto riguarda il capo K), alla luce delle considerazioni svolte nel precedente paragrafo, la formulazione dell’imputazione pare il frutto di un errore materiale atteso che, da un punto di vista meramente logico, sarebbe difficilmente ipotizzabile un nesso eziologico tra il dissesto della E. e il presunto trasferimento a favore della stessa dell’avviamento della P.T. a titolo gratuito.

Passando ai fatti descritti nel capo I), quanto alla distrazione degli utili E., devono essere accolte le richieste delle parti che hanno concluso chiedendo l’assoluzione degli imputati per l’insussistenza del fatto.

Infatti, come ha osservato il pubblico ministero, l'”utile” in quale tale può essere il risultato di mere operazioni contabili e non costituire ricchezza effettiva della società.

Per vero, al di là delle considerazioni in merito al concetto di utile d’esercizio, l’istruttoria non ha consentito di individuare la fonte documentale da cui sono stati tratti gli importi indicati nell’imputazione, attesto che nulla è emerso a riguardo dalla deposizione del curatore né dalla relazione ex art. 33 L.F.

Gli imputati, pertanto, devono essere assolti dal reato di cui I), per quanto concerne la distrazione degli utili, perché il fatto non sussiste.

Deve affermarsi, invece, la responsabilità di R.L. per la distrazione dei beni oggetto del contratto d’affitto di ramo d’azienda nonché per l’omessa tenuta delle scritture contabili.

L’imputato è chiamato a rispondere dei predetti reati in qualità di liquidatore della E. sebbene, come è emerso incontrovertibilmente dall’istruttoria, egli rivestì la carica di amministratore di fatto in quanto unico vero dominus della gestione della società.

L’analisi delle vicende contrattuali intercorrenti tra la E. e la K.I. s.r.l. dimostra, in ogni caso, che i beni materiali di quest’ultima società erano ancora nella piena disponibilità della E. quando R. fu nominato liquidatore né la difesa ha fornito elementi di segno contrario idonei a contrastare tale evidenza.

Ne consegue che la sottrazione dei predetti beni integra distrazione atteso il pregiudizio che si riverbera sulla massa fallimentare che viene gravata dell’onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione dei beni o del loro corrispondente valore (cfr Cass. pen. Sez. V, 01.10.2015, n. 44898 con riguardo alla configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in caso di distrazione di beni oggetto di contratto di leasing cosiddetto di godimento).

Quanto alla prova dell’avvenuta distrazione, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari, a disposizione dell’amministratore, costituisce qualora da questi non giustificato, valida presunzione delle loro dolosa distrazione, probatoriamente rilevante al fine dell’affermazione della penale responsabilità dell’amministratore stesso.

Si impone, pertanto, l’affermazione della responsabilità dell’odierno imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale quanto alla distrazione dei beni ceduti alla E. dalla K.I. s.r.l. con il contratto di affitto di ramo di azienda.

Deve affermarsi, altresì, la responsabilità dell’imputato per il delitto di bancarotta documentale attesa la pacifica configurabilità del reato in capo al liquidatore che non riceva i libri contabili e che ometta ogni controllo sulla loro esistenza e sulla loro regolare tenuta (cfr. Cass. pen. Sez. V, 14.06.2011, n. 36435).

Invero, il mancato rinvenimento delle scritture contabili e la conseguente impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, cosi come testimoniata dal curatore, è sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo la fattispecie contestata.

Quanto all’elemento soggettivo, rappresentato – secondo l’espressa previsione normativa – dal dolo specifico, cioè dalla necessità che la condotta sia finalizzata allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, in previsione della possibilità del fallimento, (cfr. Cass., sez. V, 17.12.2008, n. 1137, V; Cass., sez. V, 13.10.1993, n. 11329), deve condividersi la statuizione della Suprema Corte (Cass. pen. Sez. V, Sent., 08.01.2013, n. 769) secondo cui “proprio il mancato deposito ed il mancato rinvenimento delle menzionate scritture contabili obbligatorie assumono valore pregnante per dimostrare l’esistenza del dolo specifico, cioè della volontà di arrecare un pregiudizio ai creditori in previsione del possibile fallimento” che, peraltro, emerge dalla concomitante indisponibilità manifestata da R. a fornire al curatore spiegazioni in merito alla sorte del patrimonio della fallita.

Rileva in definitiva la Suprema Corte che elementi sintomatici della direzione intenzionale della condotta di sottrazione documentale alla causazione di un pregiudizio ai creditori in previsione del possibile fallimento sono, per l’appunto, il mancato o incompleto deposito di libri e scritture contabili agli organi della procedura fallimentare nonché l’impossibilità di ricostruzione della situazione patrimoniale della ditta fallita, trattandosi di elementi senz’altro idonei a rivelare l’intenzione dell’imprenditore o legale rappresentante della società di pregiudicare il futuro soddisfacimento delle ragioni creditorie attraverso la sottrazione delle informazioni desumibili con carattere di certezza da quelle scritture.

Quanto alla posizione di R.E. in relazione alla distrazione dei beni oggetto del contratto di affitto e alla omessa tenuta delle scritture contabili, deve accogliersi la concorde richiesta delle parti di assoluzione dell’imputata, non essendo emersa prova sufficiente della sua personale responsabilità per i fatti a lei ascritti in concorso con il padre.

Invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori (ex multis Cass. pen. Sez. V, Sent., 03.08.2017, n. 38731).

Stesso principio vale in tema di concorso in bancarotta fraudolenta documentale laddove si afferma che il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, (Cass. pen. Sez. V Sent., 12.11.2013, n. 1706).

Ebbene, gli elementi emersi dall’istruttoria inducono a ritenere che l’unico dominus della società fosse l’imputato mentre è rimasto del tutto indimostrato il ruolo rivestito dalla figlia che peraltro, a differenza dei fratelli, non ha mai ricoperto alcuna carica nelle numerose società riconducibili al padre. In particolare, a fronte dell’accertata inesistenza delle scritture contabili della E., non sono emersi specifici elementi che consentano di definire l’esatto apporto che l’imputata avrebbe fornito alla gestione della contabilità della società fallita.

Anche in considerazione della giovane età della R. – che all’epoca dei fatti aveva appena 23 anni – è quindi verosimile che la stessa sia rimasta del tutto estranea alle vicende della fallita e alle operazioni poste in essere dall’imputato per depauperarne il patrimonio.

Alla luce delle considerazioni svolte, R.E. deve essere assolta dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con riguardo alla distrazione dei beni oggetto del contratto di affitto stipulato con la K.I. s.r.l., e dal reato di bancarotta fraudolenta documentale per non aver commesso il fatto.

Resta, infine, il delitto di cui all’art. 223 co. 2 n. 2 L.f. descritto al capo I) dell’imputazione in ordine al quale deve giungersi a una sentenza di assoluzione degli imputati per insussistenza del fatto.

Invero, i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e quello di bancarotta impropria di cui all’art. 223, co. 2, n. 2, L.f. hanno ambiti diversi. Il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto. Il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività – né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite scritture contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.f., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali, concretandosi in abuso od infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta od in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società, siano stati causa del fallimento (Cass. pen. Sez. I, 19-04-2018, n. 19789).

Ebbene, nel caso in esame, al di là della distrazione dei beni oggetto beni oggetto del contratto di affitto stipulato con la K.I. s.r.l., non sono state accertate – né, a ben vedere, risultano descritte nell’imputazione – “operazioni dolose” che si pongano in nesso eziologico con il fallimento.

Ne consegue l’insussistenza di fatti riconducibili alla fattispecie incriminatrice contestata.

IN ORDINE ALLA PENA.

Posto l’accertamento della responsabilità di R.L. per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, sussiste la circostanza aggravante di cui all’art. 219 co. 2 n. 1) L.f. atteso che l’imputato ha commesso più fatti di bancarotta fraudolenta.

Possono ritenersi sussistenti le circostanze attenuanti generiche in ragione del comportamento processuale dell’imputato che ha ripetutamente prestato il consenso all’utilizzabilità delle prove assunte davanti al Tribunale in diversa composizione.

Considerata l’età avanzata dell’imputato e il tempo trascorso dai fatti, tenuto conto altresì che, nel corso dei molti anni trascorsi dall’accaduto, R. non ha più commesso fatti analoghi, le predette circostanze possono essere riconosciute con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.

Pertanto, considerati i parametri di cui all’art. 133 c.p. deve applicarsi all’imputato la pena di due anni di reclusione, così determinata per effetto del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante di cui all’art. 219 co. 2 n. 1) L.f.

Segue, per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali.

Segue, altresì, la condanna dell’imputato alle pene accessorie previste dall’art. 216 ult. comma per la durata di legge.

Ostano alla concessione della sospensione condizionale della pena le sentenze di condanna a carico dell’imputato per reati di bancarotta fraudolenta e per reati tributati.

Deve essere disposto il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro.

Si indica in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara R.L. responsabile dei reati di cui al capo i) dell’imputazione, con riguardo alla distrazione dei beni oggetto del contratto di affitto stipulato con la K.I. s.r.l. e alla omessa tenuta delle scritture contabili, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, lo condanna alla pena di due anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 530 c.p.p., assolve R.E. dai reati di cui al capo i), con riguardo alla distrazione dei beni oggetto del contratto di affitto stipulato con la K.I. s.r.l. e alla omessa tenuta delle scritture contabili, per non aver commesso il fatto.

Visto l’art. 530 c.p.p., assolve R.L. e R.E. dai reati di cui capi j), k) e dai restanti reati di cui al capo i) perché i fatti non sussistono.

Visto l’art. 216 ult. comma L.fall., dichiara l’imputato inabilitato all’esercizio di un’impresa commerciale e incapace a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni.

Ordina il dissequestro e la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.

Motivi in novanta giorni.

Conclusione

Così deciso in Vicenza, il 17 aprile 2018.

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2018.

Originally posted 2021-08-09 06:48:16.