., comma 3- PENALISTA DIFENDE BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA TREVISO

Violenza sessuale fatto di minor gravità 609-bis c.p., comma 3

 

Dispositivo dell’art. 609 bis Codice Penale

Violenza sessuale fatto di minor gravità 609-bis c.p., comma 3- PENALISTA DIFENDE BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA TREVISO
Violenza sessuale fatto di minor gravità 609-bis c.p., comma 3- PENALISTA DIFENDE BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA TREVISO

(1)Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità(2) costringe taluno a compiere o subire atti sessuali(3) è punito con la reclusione da sei a dodici anni(4).

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali(5):

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto(6);

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona(7).

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi(8).

 

Violenza sessuale fatto di minor gravità 609-bis c.p., comma 3- PENALISTA DIFENDE BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA TREVISO
Violenza sessuale fatto di minor gravità 609-bis c.p., comma 3- PENALISTA DIFENDE BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA TREVISO

Viene annullata una sentenza per mancata considerazione dell’attenuante art 609 bis comma ter

Sulla attenuante art 609 bis comme 4

E’ evidente, inoltre, come la Corte territoriale abbia disatteso i principi giurisprudenziali affermati in materia di riconoscimento dell’attenuante in parola. In particolare, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, Rv. 277615; Sez. 3, n. 16122 del 12/10/2016 – dep. 2017, Rv. 269600; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 dep. 2016, Rv. 266272). Inoltre, l’attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo perchè tale reiterazione, ove non sia del tutto occasionale, approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, sicchè non è compatibile con la “minore gravità” del fatto (Sez. 3, n. 17177 del 03/03/2020; Sez. 3, n. 42738 del 07/07/2016, Rv. 268063). D’altra parte, l’attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., non può essere di per sè esclusa per la sussistenza di una o più circostanze aggravanti, occorrendo in tal caso valutare se queste ultime, in relazione al bene giuridico tutelato, incidano sui parametri che rilevano ai fini dell’accertamento della minore gravità del fatto, costituiti dal grado di compromissione della libertà sessuale subito dalla vittima e dalla consistenza del danno arrecabile (Sez. 7, n. 6502 del 29/11/2018 – dep. 2019). Infine di è affermato che, per l’applicazione dell’attenuante speciale dei casi di minore gravità, di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., la circostanza che il fatto incriminato sia stato commesso da un insegnante all’interno di una istituzione scolastica in danno degli allievi non assume necessaria e automatica valenza ostativa, perchè tale circostanza è già stata considerata dal legislatore allorquando ha considerato l’abuso di autorità come elemento integrativo della fattispecie incriminatrice nonchè ai fini della procedibilità d’ufficio della condotta incriminata ex art. 609-septies c.p., comma 4, n. 2, (Sez. 3, 22/09/2015, n. 25434). Alla luce delle considerazioni che precedono si rende necessario un nuovo giudizio della Corte d’appello sul punto, che dovrà svolgersi – con libertà di esito – tenendo conto, da un lato, dell’entità dei fatti, nella loro materialità e nella loro reiterazione, e dall’altro degli elementi già evidenziati nella sentenza impugnata al fine di apprezzare il grado di compromissione della libertà sessuale della persona offesa, quali: a) l’età della vittima; b) il compimento dei fatti all’interno dell’istituto scolastico; c) il grado di percezione del disvalore dei toccamenti subiti, da parte del minore e i sentimenti da questo manifestati nei confronti del ricorrente; d) l’accertamento della presenza nella persona offesa di sintomi di disagio concomitanti e successivi all’epoca dei fatti e compatibili con la risposta ad eventi psicotraumatici, come postumi negativi. 1.4. L’accoglimento del terzo motivo di ricorso, che determina la necessità di rivalutare la complessiva gravità dei fatti, comporta l’assorbimento della censura proposta con il motivo sub 2.4. e con il connesso motivo aggiunto. 2. Per le suesposte ragioni, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla statuizione circa la circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., comma 3,

 

 

 

Alla luce di una valutazione globale dell’episodio contestato, omessa dalla Corte d’appello, il quale si caratterizzerebbe per mancata consumazione di un rapporto sessuale completo, minima invasività degli atti, occasionalità e brevità del lasso temporale in cui si sono consumate le condotte, sarebbe illegittima l’esclusione dell’attenuante de qua. I giudici di merito avrebbero, in particolare, valorizzato illegittimamente la circostanza che l’imputato aveva sfruttato lo stato di soggezione del minore avvalendosi del ruolo ricoperto all’interno dell’istituto, così valutando doppiamente – in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale – l’elemento dell’abuso di autorità, sia quale elemento costitutivo della fattispecie di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, sia quale circostanza aggravante. 2.4. Infine, si deducono la violazione di legge e il vizio della motivazione per la mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. I giudici di merito avrebbero erroneamente negato tale prevalenza in base al solo rilievo della condotta processuale dell’imputato, la quale non sarebbe stata tale da giustificarla; così affermando illegittimamente che l’esercizio del diritto di difesa può costituire motivo ostativo alla massima estensione delle circostanze attenuanti generiche

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Sentenza 10 novembre 2021, n. 40559 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca – Presidente – Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere – Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere – Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere – Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: M.F., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/12/2020 della Corte d’appello di Napoli; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Alessandro Maria Andronio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cocomello Assunta, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito il difensore dell’imputato, avv. Mario Mangazzo. Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 17 dicembre 2020, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del 12 novembre 2019 del Tribunale di Napoli Nord, con la quale l’imputato era stato condannato – previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti – alla pena di anni cinque e mesi dieci di reclusione, oltre alle pene accessorie e alle misure di sicurezza di cui all’art. 609-novies c.p., per il reato di cui all’art. 61 c.p., n. 9), art. 81 c.p., comma 2, art. 609-bis c.p., art. 609-ter c.p., comma 2, art. 609-septies c.p., per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, commesse anche in tempi diversi, costretto con violenza e minaccia A.L., nato il (OMISSIS), che, al momento dei fatti, era minore degli anni dieci, a compiere e subire atti sessuali, consistiti in palpeggiamenti dei genitali e del fondoschiena denudati, con l’aggravante di avere commesso il fatto con abuso di poteri e in violazione di doveri inerenti il pubblico servizio da lui espletato, quello di collaboratore scolastico presso l’istituto scolastico frequentato dal minore. 2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione dell’art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, nonchè il vizio della motivazione, in relazione al diniego della richiesta di assoluzione dell’imputato con la formula “perchè il fatto non sussiste”. Richiamando i motivi formulati in sede di appello, la difesa rappresenta, in primo luogo, che la descrizione fisica dell’imputato operata dalla madre del minore ai carabinieri sarebbe differente da quella resa dal bambino alla stessa (persona bassa, senza capelli, in carne e con occhi azzurri), in particolare, con riferimento alla mancanza di due falangi della mano destra – dettaglio che non le sarebbe stato riferito dal figlio, ma che la donna avrebbe notato di persona accompagnando l’altra figlia presso l’istituto scolastico – e, in generale, non corrisponderebbe alle fattezze del ricorrente (persona dagli occhi castani, di corporatura normale e non calvo); in secondo luogo, come emerso nel corso di diversi esami testimoniali di componenti del personale scolastico, i collaboratori scolastici non avrebbero, avuto alcun accesso ai servizi igienici frequentati dagli alunni, i quali sono del tutto autosufficienti, e, in ogni caso, il percorso che l’imputato avrebbe dovuto fare insieme al bambino per raggiungere i bagni non sarebbe passato inosservato alla teste M.A. la quale, avendo il compito di sorvegliare i bambini che si trovavano fuori dalle loro aule, ha riferito di non aver notato spostamenti del ricorrente dalla sua postazione di servizio (vale a dire, nelle vicinanze della porta di ingresso e di uscita dalla scuola, ben lontano dalle aule). Inoltre, il minore avrebbe detto ad un’insegnante del nuovo plesso scolastico, in modo del tutto spontaneo, di essersi trasferito dal precedente istituto in quanto “il bidello mi accompagnava in bagno e mi accarezzava la pancia”, senza fare riferimento a palpeggiamenti dei genitali, come invece riferito alla madre. Per la difesa, contrariamente a quanto asserito nella consulenza psicologica, il bambino ha dimostrato, in sede di incidente probatorio, di non avere capacità di narrazione precisa e di corretta collocazione temporale dei fatti. Infine, vi sarebbe contraddizione tra quanto riferito dalla psicologa circa l’atteggiamento di sofferenza verso la scuola, indice di una esperienza traumatica, mostrato dalla persona offesa e la testimonianza della maestra del bambino, la quale ha riferito che, negli ultimi giorni di scuola presso il vecchio istituto, il minore non aveva manifestato un cambiamento di atteggiamento, apparendo tranquillo e sereno, tanto da ritornare, dopo il trasferimento, presso la vecchia scuola per trovare le maestre. Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente omesso di rilevare la totale discrepanza, nelle descrizioni, fornite dalla persona offesa e dalla madre di costui, riguardo alle fattezze fisiche dell’imputato, soprattutto con riguardo al segno, assolutamente distintivo, delle falangi mancanti, che non sarebbe stato riferito dal bambino nè alla madre nè durante l’incidente probatorio, come si desume dallo stralcio del verbale riportato nel ricorso. Inoltre, come si evince dalla testimonianza della collega dell’imputato, la stessa dinamica dei fatti descritta dal bambino non sarebbe plausibile, non solo perchè tutti gli alunni dovevano passare dalla stessa prima di recarsi in bagno, al fine di farsi consegnare la carta igienica, ma soprattutto perchè l’accesso ai bagni da parte dell’imputato, addetto a mansioni di relazioni con i genitori all’ingresso della scuola, avveniva su esplicita richiesta della teste, che si assicurava di impedire l’accesso ai servizi igienici da parte degli alunni nel periodo in cui l’imputato svolgeva lavori di manutenzione. Del resto, non sarebbe plausibile, come pretenderebbe la Corte distrettuale, che in diverse occasioni il bambino sia riuscito ad eludere i controlli dei due collaboratori scolastici addetti alla sorveglianza dei corridoi, per arrivare fino alla postazione dell’imputato e che questo si sia diretto verso i bagni senza destare alcun sospetto nei suoi colleghi. Quanto ai rilievi della perizia grafologica sui disegni del bambino, che avrebbero descritto le condotte di abuso, i giudici di merito avrebbero totalmente omesso di considerare l’affermazione del consulente secondo cui sulle rappresentazioni sarebbe intervenuto un adulto, sia direttamente attraverso la scrittura e il disegno, sia indirettamente tramite suggerimenti sulle date dei presunti abusi. Circostanze che farebbero seriamente dubitare dell’autentica provenienza dei disegni dalla persona offesa e che, comunque, non possono essere sostenute con sufficiente certezza unicamente perchè il perito non aveva a disposizione alcun diretto supporto materiale, ma unicamente le foto dei disegni effettuati su una lavagna. Da questo elemento, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe desunto automaticamente l’inaffidabilità delle risultanze peritali, non ponendole pertanto a fondamento della propria decisione di conferma della pronuncia di primo grado, laddove, al contrario, avrebbe dovuto desumere unitamente alle circostanze suesposte – ulteriore prova a sostegno della inaffidabilità e inattendibilità del racconto fornito dal minore. 2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in particolare quanto alla perizia psicologica sull’idoneità del minore a rendere testimonianza. Il rifiuto della Corte d’appello di disporre una nuova perizia psicologica sul minore, in precedenza espletata unicamente su disposizione del pubblico ministero nelle forme non garantite di cui all’art. 359 c.p.p., sarebbe illegittimo alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione che la reputa necessaria laddove il minore vittima di abusi sessuali all”epoca dei fatti fosse in tenera età nel caso di specie, sei anni – e laddove siano emersi elementi tali da far ritenere sussistente il rischio di elaborazioni fantasiose da parte della persona offesa – nel caso in esame, le circostanze analiticamente descritte nel primo motivo. 2.3. In terzo luogo, si prospettano la violazione dell’art. 609-bis c.p., comma 3, oltre al difetto di motivazione, relativamente al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale della minore gravità. Alla luce di una valutazione globale dell’episodio contestato, omessa dalla Corte d’appello, il quale si caratterizzerebbe per mancata consumazione di un rapporto sessuale completo, minima invasività degli atti, occasionalità e brevità del lasso temporale in cui si sono consumate le condotte, sarebbe illegittima l’esclusione dell’attenuante de qua. I giudici di merito avrebbero, in particolare, valorizzato illegittimamente la circostanza che l’imputato aveva sfruttato lo stato di soggezione del minore avvalendosi del ruolo ricoperto all’interno dell’istituto, così valutando doppiamente – in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale – l’elemento dell’abuso di autorità, sia quale elemento costitutivo della fattispecie di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, sia quale circostanza aggravante. 2.4. Infine, si deducono la violazione di legge e il vizio della motivazione per la mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. I giudici di merito avrebbero erroneamente negato tale prevalenza in base al solo rilievo della condotta processuale dell’imputato, la quale non sarebbe stata tale da giustificarla; così affermando illegittimamente che l’esercizio del diritto di difesa può costituire motivo ostativo alla massima estensione delle circostanze attenuanti generiche. 3. Con atto del 6 settembre 2021, la difesa dell’imputato ha presentato, ex art. 584 c.p.p., comma 4, motivi nuovi che si pongono in relazione con il terzo e il quarto motivo di ricorso. In particolare, si insiste sul ridotto grado di compromissione della libertà sessuale della vittima ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale della minore gravità, richiamando, a tal fine, le circostanze del caso concreto dettagliatamente riportate nei motivi di ricorso. Inoltre, si evidenzia l’assenza di un danno psichico patito dal minore a seguito delle condotte contestate, come sarebbe dimostrato dalle testimonianze delle insegnanti, dalla descrizione dei suoi comportamenti, tanto a casa quanto a scuola, nonchè dall’atteggiamento tenuto nel corso dell’incidente probatorio. La Corte d’appello avrebbe errato anche nel fondare il rigetto dell’attenuante speciale, non sul grado di compromissione del bene tutelato dall’art. 609-bis c.p., ma sul riconoscimento della circostanza aggravante dell’abuso di poteri di cui all’art. 61 c.p., n. 9). Quanto alla mancata estensione delle circostanze attenuanti generiche, si ribadisce che la Corte distrettuale non avrebbe fatto corretto uso dei criteri di commisurazione della pena rappresentati, in particolare, dalla gravità e dalle modalità della condotta, nonchè dal profilo e dal comportamento processuale dell’imputato, il quale è soggetto incensurato e non ha mai adottato condotte sprezzanti nel corso delle indagini, nè nei confronti dell’autorità giudiziaria nè della vittima. A nulla varrebbe, in questo contesto, il fatto che il ricorrente non abbia reso dichiarazioni confessorie o non abbia mostrato alcun segno di resipiscenza, dal momento che questi elementi, di per sè, non rappresentano motivi ostativi. Motivi della decisione 1. Il ricorso è solo parzialmente fondato. 1.1. Il primo motivo di doglianza – con cui si censura il mancato accoglimento della richiesta di assoluzione dell’imputato con la formula “perchè il fatto non sussiste” – è inammissibile, perchè diretto a sollecitare una sostanziale valutazione di merito, preclusa alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p.. Invero, tale censura richiede, in sede di legittimità, una diversa interpretazione del quadro probatorio già adeguatamente analizzato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni. Occorre, in primo luogo, evidenziare che la sentenza di appello deve essere considerata a tutti gli effetti una c.d. “doppia conforme” in punto di affermazione della penale responsabilità della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i seguenti parametri: a) la sentenza di appello ripetutamente si richiama alla decisione del Tribunale; b) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (ex multis, Sez. 3, n. 4270 del 18/12/2020 – dep. 2021; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Nel rammentare che la Corte di cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va ribadito che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà (ex plurimis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019). La Corte d’appello ha correttamente analizzato gli elementi probatori che portano a ritenere fondata l’accusa di violenza sessuale, rappresentati: dalle dichiarazioni testimoniali, rese in modo assolutamente spontaneo, del minore, nonchè da quelle provenienti dai genitori della persona offesa, i quali non avevano mai avuto contatti pregressi con l’imputato, tanto da doversi escludere qualsivoglia intento calunniatorio o ritorsivo; dalle dichiarazioni di collaboratori scolastici e insegnanti che prestavano servizio presso il medesimo istituto dell’imputato, le quali hanno contribuito a ricostruire, in modo del tutto plausibile, la dinamica con cui si sono svolti gli episodi di violenza sessuale all’interno dei bagni della scuola, oltre a rivelare l’atteggiamento assunto dal minore sia prima che dopo il trasferimento presso un diverso istituto; dall’esame della Dott.ssa L., la quale ha fornito sostegno psicologico al minore a seguito dell’iscrizione presso la nuova scuola. A fronte dell’articolato compendio esaminato dai giudici di merito, gli argomenti di prova introdotti dalla difesa non sono stati ritenuti tali da disarticolare il giudizio di penale responsabilità del ricorrente. In particolare, la situazione emersa dal compendio istruttorio appare pienamente compatibile con la dinamica dei fatti descritta dal minore, quanto alla struttura dell’istituto e alla logistica dell’uso dei servizi da parte deglii alunni; mentre il riconoscimento dell’imputato quale autore dei fatti risulta sicuro, nonostante la parziale omissione di particolari, del tutto secondari relativi, alla sua descrizione fisica (pagg. 13-15 della sentenza d’appello). In relazione, poi, alle conclusioni del perito grafologo – su cui la difesa ha particolarmente insistito – deve rilevarsi che la Corte distrettuale ha specificamente affermato che la premessa da cui muove il ragionamento del consulente – l’esame del materiale scrittorio, semplicemente riprodotto in foto, non poteva compiersi correttamente – si poneva in irrimediabile contrasto con le conclusioni cui egli è pervenuto, vale a dire la possibilità di ravvisare nei movimenti dell’impulso grafico i segni della “mano guidata”. Contraddizione logica evidente, che ha portato i giudici di merito, in modo del tutto legittimo, a ritenere inaffidabile il risultato di prova a sostegno della tesi difensiva. 1.2. Il secondo motivo di ricorso – con cui si censura la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale finalizzata ad ottenere una perizia psicologica sul minore – è anch’esso inammissibile, perchè basato su una sostanziale riproposizione di rilievi di merito già esaminati e motivatamente disattesi dalla sentenza impugnata. Deve osservarsi che la Cortè territoriale ha correttamente rigettato la questione inerente alla richiesta difensiva di espletamento di perizia sul minore, ritenendola non necessaria. Può richiamarsi sul punto la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui, nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620). Inoltre, va osservato che, in tema di violenza sessuale nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non determina l’inattendibilità della testimonianza della persona offesa, poichè tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non costituisce un presupposto indispensabile per la valutazione di attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (Sez. 3, n. 8541 del 18/10/2017 – dep. 2018, Rv. 272299; Sez. 3, n. 25800 del 01/07/2015 – dep. 2016, Rv. 267323; Sez. 3, n. 38211 del 07/07/2011, Rv. 251381; Sez. 3, n. 27742 del 06/05/2008, Rv. 240695). Del resto, in relazione alla dichiarazioni rese dal teste minore vittima di reati sessuali, la valutazione dell’attendibilità è compito esclusivo del giudice, che deve procedere direttamente all’analisi della condotta del dichiarante, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni allo stesso, non potendo limitarsi a richiamare il giudizio al riguardo espresso da periti e consulenti tecnici, cui non è delegabile tale verifica, ma solo l’accertamento dell’idoneità mentale del teste, diretto ad appurare se questi sia stato capace di rendersi conto dei comportamenti subiti, e se sia attualmente in grado di riferirne senza influenze dovute ad alterazioni psichiche (ex plurimis, Sez. 3, n. 47033 del 18/09/2015, Rv. 265528; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251662). Tanto premesso, nel caso di specie, la motivazione del provvedimento censurato risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove la Corte d’appello evidenzia l’inutilità di ulteriori accertamenti peritali, in quanto la capacità a testimoniare del minore era stata ampiamente valutata ed accertata all’esito della consulenza psicologica condotta dalla Dott.ssa L.. La sentenza evidenzia la circostanza che, sia dal punto di vista metodologico che da quello relativo alla rappresentazione dei risultati, la consulenza effettuata su incarico della pubblica accusa appare pienamente conforme agli standards scientifici vigenti, ragion per cui non vi è motivo legittimo che imponga di effettuare una perizia psicologica, non essendo emersi elementi che conducano ad una valutazione di inattendibilità del lavoro effettuato dal consulente di parte nè, più in generale, indici di incapacità del minore a testimoniare. 1.3. Il terzo motivo – riferito al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 609-bis c.p., comma 3, – è, invece, fondato e deve essere trattato congiuntamente al motivo aggiunto relativo alla predetta circostanza. La difesa, nel ritenere integrata l’ipotesi di minore gravità ex art. 609-bis c.p., comma 3, per la lieve compromissione della libertà sessuale del minore, nonchè per la lieve entità della vicenda delittuosa, connotata da mancata consumazione di un rapporto sessuale completo – essendo consistita la violenza sessuale in fugaci toccamenti del fondoschiena e dei genitali – occasionalità e limitato numero degli episodi, pone l’accento sull’effettiva consistenza lesiva delle condotte, che deve essere ridimensionata rispetto a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale. Quest’ultima, nel definire “turpe” la condotta del ricorrente, non ha esplicitato gli elementi in cui tale connotazione si sarebbe sostanziata, facendo esclusivo riferimento alla tipologia di atti sessuali posti in essere dall’imputato “l’azione sessuale si è direttamente rivolta agli organi sessuali del minore” (pagg. 15-16) – ed omettendo qualunque considerazione sugli effetti che tali condotte avrebbero in concreto prodotto sulla sfera psicologica ed emotiva del minore. Quanto alla “prospettazione della soggezione come “dovuta” in ragione del proprio ruolo di controllo gerarchico”, la quale dovrebbe evocare l’abuso di autorità come modalità attraverso cui si è realizzata la violenza sessuale, essa non può costituire elemento ostativo alla concessione della circostanza attenuante speciale de qua, perchè costituisce elemento costitutivo sia del reato di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, sia della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9). E la sua valutazione anche ai fini della esclusione della circostanza della minore gravità integra una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. E’ evidente, inoltre, come la Corte territoriale abbia disatteso i principi giurisprudenziali affermati in materia di riconoscimento dell’attenuante in parola. In particolare, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, Rv. 277615; Sez. 3, n. 16122 del 12/10/2016 – dep. 2017, Rv. 269600; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 dep. 2016, Rv. 266272). Inoltre, l’attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo perchè tale reiterazione, ove non sia del tutto occasionale, approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, sicchè non è compatibile con la “minore gravità” del fatto (Sez. 3, n. 17177 del 03/03/2020; Sez. 3, n. 42738 del 07/07/2016, Rv. 268063). D’altra parte, l’attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., non può essere di per sè esclusa per la sussistenza di una o più circostanze aggravanti, occorrendo in tal caso valutare se queste ultime, in relazione al bene giuridico tutelato, incidano sui parametri che rilevano ai fini dell’accertamento della minore gravità del fatto, costituiti dal grado di compromissione della libertà sessuale subito dalla vittima e dalla consistenza del danno arrecabile (Sez. 7, n. 6502 del 29/11/2018 – dep. 2019). Infine di è affermato che, per l’applicazione dell’attenuante speciale dei casi di minore gravità, di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., la circostanza che il fatto incriminato sia stato commesso da un insegnante all’interno di una istituzione scolastica in danno degli allievi non assume necessaria e automatica valenza ostativa, perchè tale circostanza è già stata considerata dal legislatore allorquando ha considerato l’abuso di autorità come elemento integrativo della fattispecie incriminatrice nonchè ai fini della procedibilità d’ufficio della condotta incriminata ex art. 609-septies c.p., comma 4, n. 2, (Sez. 3, 22/09/2015, n. 25434). Alla luce delle considerazioni che precedono si rende necessario un nuovo giudizio della Corte d’appello sul punto, che dovrà svolgersi – con libertà di esito – tenendo conto, da un lato, dell’entità dei fatti, nella loro materialità e nella loro reiterazione, e dall’altro degli elementi già evidenziati nella sentenza impugnata al fine di apprezzare il grado di compromissione della libertà sessuale della persona offesa, quali: a) l’età della vittima; b) il compimento dei fatti all’interno dell’istituto scolastico; c) il grado di percezione del disvalore dei toccamenti subiti, da parte del minore e i sentimenti da questo manifestati nei confronti del ricorrente; d) l’accertamento della presenza nella persona offesa di sintomi di disagio concomitanti e successivi all’epoca dei fatti e compatibili con la risposta ad eventi psicotraumatici, come postumi negativi. 1.4. L’accoglimento del terzo motivo di ricorso, che determina la necessità di rivalutare la complessiva gravità dei fatti, comporta l’assorbimento della censura proposta con il motivo sub 2.4. e con il connesso motivo aggiunto. 2. Per le suesposte ragioni, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla statuizione circa la circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., comma 3, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli. Il ricorso deve essere rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’applicabilità dell’ipotesi di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 24 settembre 2021. Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

 

Originally posted 2022-05-27 09:06:56.