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SPACCIO Cass. Pen., Sez. IV, n. 15458 del 18 aprile 2025


SPACCIO sentenza Cass. Pen., Sez. IV, n. 15458 del 18 aprile 2025

La sentenza affronta due profili centrali nel diritto penale degli stupefacenti:

  1. il valore probatorio del narcotest in assenza di perizia tossicologica;

  2. i criteri di distinzione tra detenzione a uso personale e detenzione a fini di spaccio.


1. Il valore del narcotest

La difesa contestava la condanna sostenendo che il solo narcotest non fosse idoneo a dimostrare la natura e l’offensività della sostanza. La Corte di Cassazione, invece, conferma l’orientamento consolidato secondo cui:

  • non è necessario, ai fini della configurabilità del reato ex art. 73 DPR 309/1990, l’espletamento di una perizia tossicologica completa;

  • è sufficiente il narcotest, purché il giudice motivi in modo congruo sul perché ritenga attendibili i risultati e sulla univocità degli elementi probatori;

  • la quantificazione del principio attivo diventa irrilevante se si è già in presenza della fattispecie di lieve entità (comma 5) e non vi sono aggravanti legate al peso della sostanza.

👉 Principio ribadito: il narcotest, se sorretto da motivazione, è prova sufficiente della natura drogante della sostanza, senza necessità di perizia sul principio attivo (cfr. Sez. 6, n. 40044/2022; Sez. 4, n. 22238/2014).


2. Uso personale vs. spaccio

Il secondo motivo di ricorso riguardava la presunta destinazione della sostanza all’uso personale, collegata alla condizione di tossicodipendenza dell’imputato. La Cassazione ribadisce alcuni principi:

  • la destinazione allo spaccio non è una causa di esclusione della punibilità, bensì elemento costitutivo del reato; spetta dunque al pubblico ministero dimostrarla;

  • il giudice di merito deve valutare la finalità della detenzione considerando tutti gli elementi oggettivi e soggettivi: quantità, confezionamento, luogo del rinvenimento, condizione personale dell’imputato;

  • nel caso di specie, la presenza di plurime bustine già confezionate, il luogo notoriamente teatro di spaccio e l’assenza di prove certe sullo stato di tossicodipendenza nel 2016 hanno legittimato la qualificazione della condotta come finalizzata alla cessione a terzi.

👉 Principio ribadito: la valutazione sulla destinazione della sostanza è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, sindacabile in Cassazione solo per manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione (cfr. Sez. 4, n. 7191/2018; Sez. 6, n. 26738/2020).


3. Profili difensivi

La sentenza ha conseguenze pratiche importanti per la difesa:

  • Non è sufficiente limitarsi a eccepire l’assenza di perizia: serve dimostrare in concreto l’interesse a tale accertamento, ad esempio per ridimensionare il fatto fuori dall’art. 73.

  • La tossicodipendenza deve essere provata con documentazione coeva ai fatti: certificazioni successive, come nel caso di specie (2023 rispetto a fatti del 2016), non hanno valore probatorio.

  • Il confezionamento in dosi plurime e il contesto in cui avviene la detenzione sono indizi ritenuti forti di spaccio: occorre quindi contrastarli con elementi concreti (ad esempio, acquisto per scorta personale, capacità economica, programma terapeutico attivo all’epoca).


4. Valore della pronuncia

La sentenza conferma e rafforza due indirizzi giurisprudenziali:

  • Elasticità probatoria sulla natura della sostanza: il narcotest, se motivato, basta; la difesa non può pretendere la perizia come automatismo.

  • Valutazione rigorosa della finalità della detenzione: pluralità di dosi e contesto ambientale prevalgono sulla mera affermazione di uso personale, salvo prova documentata contraria.


Conclusione

La Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, riafferma una linea restrittiva:

  • riduce gli spazi per contestare la validità del narcotest;

  • impone al difensore un onere probatorio forte per dimostrare l’uso personale, soprattutto quanto alla tossicodipendenza al momento del fatto.

È dunque una sentenza che rafforza l’indirizzo repressivo, sottolineando come la discrezionalità del giudice di merito sia difficilmente scalfibile in Cassazione se sorretta da motivazione logica e coerente.


👉 Il narcotest, pur essendo un esame rapido e non scientificamente approfondito come la perizia tossicologica, può essere considerato prova sufficiente della natura drogante della sostanza, a condizione che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione.

Cosa significa in concreto

  • Non è sempre necessaria una perizia chimico-tossicologica: la Cassazione esclude che ci sia un obbligo assoluto di determinare scientificamente qualità e quantità della sostanza sequestrata.

  • Il narcotest può bastare, ma solo se integrato da una motivazione che dia conto della sua attendibilità e della coerenza con altri elementi del caso (quantità, confezionamento, circostanze del sequestro).

  • La quantità di principio attivo non è rilevante se si procede per l’ipotesi di lieve entità (art. 73, co. 5), poiché in tale contesto non è in discussione la gravità ponderale del fatto.

Perché la Cassazione ragiona così

  • La Corte privilegia l’efficienza del sistema: imporre la perizia in ogni caso rallenterebbe i procedimenti e appesantirebbe la macchina giudiziaria.

  • Si tutela comunque il diritto di difesa, imponendo al giudice di fornire una motivazione adeguata e non stereotipata: il narcotest da solo, senza spiegazioni ulteriori, non basterebbe.

Rischi e critiche

  • Dal punto di vista difensivo, questo approccio riduce lo spazio per eccepire la mancanza di perizia come vizio procedurale.

  • Alcuni studiosi sottolineano che il narcotest è orientativo e fallibile, e quindi non dovrebbe mai sostituire un’analisi tossicologica completa, soprattutto quando l’imputazione dipende dal tipo di sostanza o dal suo grado di purezza.

Principio di diritto ribadito

In sintesi, la Cassazione riafferma che:

  • Narcotest = prova sufficiente,

  • Perizia tossicologica = non necessaria,

  • Motivazione del giudice = imprescindibile per garantire la legittimità della decisione.