STALKING MESSAGGI E INVIO FOTO

STALKING MESSAGGI E INVIO FOTO

offesa di aver mal giudicato, nella relazione di consulenza tecnica, il Ku., aggiungeva che quest’ultimo conosceva la famiglia della dottoressa e la città nella quale viveva, insistendo per un incontro di persona.

CYBERSTALKING.
CYBERSTALKING.
, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che l’elemento soggettivo richiesto per la sussistenza dell’illecito consiste, nel caso dell’occultamento delle scritture contabili, nel dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori e, nella diversa ipotesi della fraudolenta tenuta di tali scritture, nel dolo generico.
, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che l’elemento soggettivo richiesto per la sussistenza dell’illecito consiste, nel caso dell’occultamento delle scritture contabili, nel dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori e, nella diversa ipotesi della fraudolenta tenuta di tali scritture, nel dolo generico.

Vi sono poi i vari sms

concentrati nel tempo, in particolare ben dodici dalle 15,38 alle 17,07, del 24/05/2016, con sei fotografie e tre video, mentre la dottoressa si trovava presso i carabinieri per formalizzare la querela.

E l’intensità di sviluppo dell’azione criminosa rende del tutto ragionevole il giudizio di attendibilità espresso dai giudici di merito, quanto alle dichiarazioni della persona offesa, la quale ha riferito di avere provvisoriamente pernottato in altra abitazione, sospendendo la propria attività professionale, nel timore che Ku. potesse raggiungerla in studio.

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 novembre 2018 – 2 gennaio 2019, n. 61
Presidente Palla – Relatore De Marzo

In particolare, vengono in questione, in primo luogo due telefonate: una da parte dell’utenza dell’imputato, rimasta senza risposta, cui aveva fatto seguito la telefonata della persona offesa per capire chi fosse il suo interlocutore; un’altra effettuata da parte di soggetto rimasto non identificato, ma, secondo quanto accertato in termini che il ricorso non contesta, certamente su ispirazione dello stesso Ku. (il quale ha ammesso di essere stato presente durante la conversazione), nella quale il chiamante, oltre ad accusare la persona offesa di aver mal giudicato, nella relazione di consulenza tecnica, il Ku., aggiungeva che quest’ultimo conosceva la famiglia della dottoressa e la città nella quale viveva, insistendo per un incontro di persona.

Vi sono poi i vari sms

concentrati nel tempo, in particolare ben dodici dalle 15,38 alle 17,07, del 24/05/2016, con sei fotografie e tre video, mentre la dottoressa si trovava presso i carabinieri per formalizzare la querela.

denunce querela bologna
denunce querela bologna

Sono queste le gravi intrusioni alle quali la sentenza di primo grado – ma non quella impugnata – aggiunge l’attributo di fisicità, per sottolinearne la penetrante invasione della sfera intima della persona offesa e non certo per attribuire al ricorrente condotte di carattere fisico.

E l’intensità di sviluppo dell’azione criminosa rende del tutto ragionevole il giudizio di attendibilità espresso dai giudici di merito, quanto alle dichiarazioni della persona offesa, la quale ha riferito di avere provvisoriamente pernottato in altra abitazione, sospendendo la propria attività professionale, nel timore che Ku. potesse raggiungerla in studio.

Ciò integra con sicurezza l’evento di danno richiesto dalla norma.

BANCAROTTA FRAUDOLENTA AVVOCATO ESPERTO DIFENDE  BOLOGNA MILANO ROMA PERUGIA VICENZA E  TUTTA ITALIA

Infine, va osservato che nel delitto di atti persecutori, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice; esso, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C, Rv. 260411).

Nella specie, il tenore delle frasi (“ti faccio vedere io”) e il riferimento alla famiglia e alla città nella quale la donna viveva (come, in generale, l’intensità dei contatti non autorizzati e del tutto privi di giustificazione) non potevano avere altro significato se non quello di intimidire il destinatario, nella piena consapevolezza degli effetti che tali espressioni erano idonee a provocare.

Le superiori considerazioni, nell’illustrare i motivi della ritenuta configurazione del reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. rappresentano, in termini privi di equivocità, anche la ragione della mancata, auspicata riqualificazione dei fatti nei termini di mere minacce o molestie.

MESSAGGI IN UNO STESSO GIORNO : STALKING

MOTIVI DI CASSAZIONE NEL RICORSO DELL’IMPUTATO

alla insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, con riferimento sia alla reiterazione delle condotte persecutorie, posto che tali condotte nel caso in esame sono costituite dall’inoltro di una pluralità di messaggi telefonici dal contenuto minatorio, effettuato nella medesima notte, sia al mancato verificarsi di uno degli eventi ai quali la menzionata disposizione normativa condiziona la configurabilità della fattispecie criminosa di cui si discute, come si evince anche dalle dichiarazioni della stessa persona offesa; 2) alla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio la cui eccessiva entità aveva formato oggetto di specifica censura alla quale la corte di appello non ha fornito risposta.

IL RAGIONAMENTO DELLA SUPREMA CORTE:

Da un lato, infatti, la corte territoriale ha sottolineato come i reiterati messaggi minatori di particolare intensità sono stati inviati, per mezzo del telefono, dall’imputato alla persona offesa nell’arco di tre giorni (cfr. p. 1 e p. 3 dell’impugnata sentenza). Dall’altro, va ribadito che il delitto previsto dell’art. 612 bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, Rv. 275381). Appare, pertanto, evidente che i singoli segmenti di una condotta unitaria possono essere realizzati anche in una medesima giornata o in una medesima notte.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE Sentenza 13 novembre 2020 – 21 gennaio 2021, n. 2496 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PALLA Stefano – Presidente – Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere – Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere – Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere – Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: D.M.G., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/09/2019 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo udito il difensore. Svolgimento del processo – Motivi della decisione 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il tribunale di Velletri, in data 13.3.2009 aveva condannato D.M.G. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex art. 612 bis c.p., commesso in danno di C.R., in rubrica ascrittogli. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine: 1) alla insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, con riferimento sia alla reiterazione delle condotte persecutorie, posto che tali condotte nel caso in esame sono costituite dall’inoltro di una pluralità di messaggi telefonici dal contenuto minatorio, effettuato nella medesima notte, sia al mancato verificarsi di uno degli eventi ai quali la menzionata disposizione normativa condiziona la configurabilità della fattispecie criminosa di cui si discute, come si evince anche dalle dichiarazioni della stessa persona offesa; 2) alla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio la cui eccessiva entità aveva formato oggetto di specifica censura alla quale la corte di appello non ha fornito risposta. 2.1. Con requisitoria scritta, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. 3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni. Il ricorrente non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482). Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal menzionato ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica, a partire dalla puntuale valutazione della credibilità personale della persona offesa e dell’attendibilità delle sue dichiarazioni accusatorie, che, come è noto possono anche da sole essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità (cfr., ex plurimis, cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, rv. 253214). La corte territoriale, inoltre, ha evidenziato, sempre con logico argomentare, come, in conseguenza delle reiterate condotte minatorie dell’imputato, era sorto nella persona offesa un perdurante stato di paura per la propria incolumità fisica, tale da determinare anche un mutamento rilevante delle sue abitudini di vita, costringendola ad evitare “di uscire di casa se non per le incombenze strettamente necessarie, nel timore che il D.M. potesse raggiungerla in (OMISSIS) e passare dalle parole ai fatti”, stato di paura e mutamento delle abitudini di vita, che, come è noto, sono ricompresi tra gli eventi alternativamente previsti dal precetto penale, al cui verificarsi dipende la consumazione del delitto ex art. 612 bis, c.p. (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 22/06/2010, n. 34015; Cass., sez. V, 28/02/2012, n. 14391). Con particolare riferimento alle modalità della condotta criminosa contestata all’imputato, il rilievo difensivo appare anche manifestamente infondato. Da un lato, infatti, la corte territoriale ha sottolineato come i reiterati messaggi minatori di particolare intensità sono stati inviati, per mezzo del telefono, dall’imputato alla persona offesa nell’arco di tre giorni (cfr. p. 1 e p. 3 dell’impugnata sentenza). Dall’altro, va ribadito che il delitto previsto dell’art. 612 bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, Rv. 275381). Appare, pertanto, evidente che i singoli segmenti di una condotta unitaria possono essere realizzati anche in una medesima giornata o in una medesima notte. Generico, infine, ed attinente a profili di merito sull’entità del trattamento sanzionatorio, non scrutinabili in questa sede di legittimità, deve ritenersi l’ultimo motivo di ricorso, a fronte di una motivazione specifica, affatto contraddittoria o manifestamente illogica sul punto della corte di appello (cfr. pp. 4-5). 4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). Va, infine, disposta l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 5. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 13 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021.

Originally posted 2020-03-20 17:51:15.