ART 282 BIS CPP ALLONTANAMENTO CASA FAMIGLIARE

ART 282 BIS CPP ALLONTANAMENTO CASA FAMIGLIARE, AVVOCATO PENALISTA ESPERTO

CYBERSTALKING.
CYBERSTALKING.

la prescrizione del divieto di avvicinamento ai “luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa” non può prescindere dalla chiara indicazione di quali siano tali luoghi.

La individuazione di tali spazi serve a garantire che la persona offesa sia libera nei suoi contesti quotidiani. In questo caso, è del tutto irrilevante che la persona offesa sia presente o meno: il divieto vale anche se all’indagato è noto che il soggetto protetto si trovi in tutt’altro posto; semplicemente, sia per la massima garanzia della vittima che per la facilità ed efficacia dei controlli, l’indagato deve sempre e comunque tenersi a distanza da tali luoghi che potranno anche essere indicati in forma indiretta, purché si raggiunga la finalità di dare certezza all’indagato sulla estensione del divieto.

La prescrizione del divieto di avvicinamento alla persona offesa, invece, impone all’indagato di non cercare il contatto con la stessa con la conseguenza che, persino in ipotesi d’incontro casuale, il soggetto, acquisita la consapevolezza della presenza della persona offesa, è tenuto ad allontanarsi, ripristinando la distanza determinata a lui imposta.

incidente grave
incidente grave
  1. Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudiceprescrive all’imputatodi lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.
  2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesao dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
  3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.
  4. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l’ordinanza prevista dall’articolo 708del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.
  5. Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende.
  6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquiese 609 octiese 612, secondo comma, 612 bis del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275 bis(2) .

STALKING

Il delitto previsto dall’art. 612-bis c.p. ha natura di reato abituale e di danno ed è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice, nonchè dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, il quale deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (in tal senso, tra le più recenti massimate, Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020, T, Rv. 27915401; Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, P, Rv. 27538101).

Trattandosi di reato abituale, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tal senso l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo.

E’ dunque l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata, giacchè alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano.

In ragione di tali elementi caratterizzanti la fattispecie in esame, si è affermato che il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 c.p. consiste proprio nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie (si veda, tra le tante, Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020, M, Rv. 27960101); pertanto, il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. si configura solo qualora le condotte molestatrici siano idonee causare uno degli eventi alternativi previsti dalla norma: un evento di “danno”, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero (appunto alternativamente) un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015, P.C. in proc. G., Rv. 26251701).

E’ del tutto evidente, allora, che anche in sede cautelare non è sufficiente l’accertamento di un quadro indiziario relativo alla sussistenza di reiterati atti molesti, ma occorre altresì valutare gli elementi (indiziari) sintomatici di un nesso causale tra la condotta e almeno uno degli eventi indicati dalla norma incriminatrice.

2.3. Nel caso in esame il Tribunale ha individuato nell’alterazione delle abitudini di vita l’evento causato dalle reiterate condotte moleste, senza però adeguatamente indicare gli elementi indiziari sia in ordine al nesso causale sia in relazione alle caratteristiche dello stesso evento, non potendo esso risolversi in transitori disagi o fastidi.

Invero, il suddetto evento è riconducibile ad uno specifico dato concreto, consistente nel fatto che la persona offesa sia costretta, come conseguenza delle condotte persecutorie, a una alterazione delle proprie abitudini di vita, sicchè, alla stregua del principio di offensività, va operata una interpretazione restrittiva della norma, escludendo dalla rilevanza penale quei fatti solo percepiti dalla vittima come fastidiosi, quand’anche l’abbiano portata a dei piccoli, ma irrilevanti cambiamenti delle abitudini di vita.

Va detto, peraltro, che, ai fini dell’individuazione dell’evento alterazione o cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, G, Rv. 260580). Nella specie il Tribunale ha ritenuto che le “manomissioni – attuate tanto attraverso l’apposizione di lucchetti quanto attraverso l’occlusione delle tubazioni o il fissaggio dall’interno dello sportellino del quadro di controllo – hanno raggiunto un grado di intollerabilità tale da rendere obiettivamente gravose le condizioni di vita quotidiana della persona offesa e dei suoi famigliari, sì da integrare l’evento del reato (quanto meno sub specie di apprezzabile cambiamento delle abitudini di vita), tanto più che la moglie della persona offesa è malata oncologica necessitante di costanti disponibilità di acqua corrente” (pag. 4 della ordinanza).

Si è quindi sottolineata la “insostenibilità della situazione”, tanto che la persona offesa ha deciso di richiedere all’ente preposto la separazione del suo impianto di erogazione dell’acqua da quello attuale.

Non sono stati invece precisati gli elementi indiziari relativi all’evento conseguente al posizionamento di una telecamera diretta verso l’abitazione della vittima e le immissioni sonore “provenienti non di rado dall’abitazione dell’indagato”, sebbene si sia accennato al disturbo all’attività di studio del figlio della persona offesa.

Orbene, è del tutto evidente, alla stregua della ricostruzione delle vicende come operata dal Tribunale, che la persona offesa ha denunziato una situazione di disagio suo e della sua famiglia in conseguenza delle condotte moleste poste in essere dal fratello.

Tuttavia, nell’ordinanza impugnata non sono stati individuati in maniera specifica gli elementi afferenti alla consistente alterazione delle abitudini di vita della persona offesa e della sua famiglia, avendo il Tribunale fatto generico riferimento ai disagi conseguenti alla intermittente erogazione dell’acqua e alle difficoltà del figlio della persona offesa nello studio.

Si tratta di situazioni di disagio e di fastidio nelle occupazioni di vita quotidiana, di cui però – alla stregua della prospettazione accusatoria e delle argomentazioni motivazionali della ordinanza impugnata – non si colgono i profili di consistenza per così dire materiale che caratterizzano l’evento della alterazione delle abitudini di vita.

Insomma, il giudice del merito si deve necessariamente confrontare con la nozione ampia di tale evento, come indicato dalla norma incriminatrice, non potendosi limitare a fare riferimento solo alla condotta persecutoria del soggetto agente.

E’ necessario, quindi, precisare in che termini si sia manifestata l’alterazione delle abitudini di vita della vittima e illustrare il ragionamento eziologico all’esito del quale detta alterazione risulta conseguenza apprezzabile e inevitabile della condotta persecutoria, in ossequio ai principi di tassatività e determinatezza che governano la fattispecie penale.

2.4. Per completezza va detto che le ulteriori deduzioni difensive sulla qualificazione giuridica dei fatti, come articolate nel quarto motivo di ricorso, risultano infondate.

Invero, in via astratta il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in cui restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo astrattamente di per sè reato, rappresentino elementi costitutivi o circostanze aggravanti di esso e non anche quelli che eccedano tali limiti, dando vita a responsabilità autonoma e concorrente (Sez. 5, n. 20696 del 29/01/2016, R, Rv. 26714801). Giova in proposito ricordare che con l’introduzione della fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p. il legislatore ha voluto, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorchè non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima.

Il legislatore ha preso atto però che la violenza spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria; pertanto, mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisio-psichica attraverso l’individuazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in alcuna fattispecie penalmente rilevante o in fattispecie per così dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone.

Va ulteriormente evidenziato in diritto che il reato di atti persecutori può concorrere con altre fattispecie di reato, che tutelano beni giuridici diversi da quello finalizzato alla protezione del singolo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita (per questo, può dirsi che il reato di cui all’art. 612-bis c.p. è rivolto alla tutela della persona nel suo insieme, piuttosto che della sola libertà morale).

Partendo da tale assunto, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, proprio perchè si tratta di reati che tutelano beni giuridici diversi, “in quanto l’art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione; mentre l’art. 612 bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica – ed in definitiva della persona nel suo insieme – che costituisce condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della predetta volontà” (così Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014, C, Rv. 262727).

Così pure si è ritenuto che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione anche quando la condotta diffamatoria costituisce una delle molestie costitutive del reato previsto dall’art. 612 bis c.p. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262635).

Ed ancora, si è affermato che anche la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata, integra fattispecie distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. in cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati (Sez. 1, n. 19924 del 04/04/2014, Napolitano, Rv. 262254).

Ne deriva che può configurarsi anche il concorso tra il reato di atti persecutori e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giacchè quest’ultimo certamente contempla un bene giuridico diverso, in quanto finalizzato a tutelare l’interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all’esercizio della funzione giurisdizionale in occasione dell’insorgere di una controversia. Infatti, ciò che caratterizza i reati di cui agli artt. 392 e 393 c.p. è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato e la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico (ex multis, Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, Angelotti, Rv. 263589).

Tornando al caso in esame è evidente che saranno i giudici di merito a verificare se nella specie, alla stregua degli elementi desumibili dalle risultanze investigative, possa configurarsi anche il reato di cui all’art. 392 c.p..

  1. Fondate sono le censure proposte dal ricorrente in relazione alla misura applicata.

3.1. L’esatto inquadramento delle questioni impone in primo luogo di esaminare i caratteri della misura in oggetto, dovendo ricorrersi ai principi di stretta legalità, tassatività e tipicità che caratterizzano la disciplina delle misure cautelari (Sez. U, n. 29907 del 30/05/2006, La Stella).

Con la misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. il giudice prescrive all’indagato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa (comma 1).

Prescrizioni facoltative concernono l’estensione di divieti e obblighi anche nei confronti dei prossimi congiunti della persona offesa (comma 2) e il divieto di comunicazione (comma 3). Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni (comma 4).

E’ del tutto evidente, quindi, che la ratio della norma sia quella di ampliare lo spazio di protezione della vittima di atti persecutori a fronte delle possibili situazioni di contatto con l’aggressore, creando uno schermo di protezione attorno alla persona offesa, modulabile in base alle esigenze del caso concreto.

Infatti, le esigenze di cautela contemplate dalla norma devono essere conciliabili con i diritti e le necessità della persona sottoposta alla misura, sotto un duplice profilo: a) quello di determinare una compressione della libertà di movimento dell’onerato nella misura strettamente necessaria alla tutela della vittima; b) quella di assicurare una sufficiente determinatezza della misura, affinchè sia ben chiaro all’obbligato quali comportamenti deve tenere e sia eseguibile il controllo sulla corretta osservanza delle prescrizioni a lui imposte.

Va detto, peraltro, che questo Collegio è ben consapevole che una interpretazione restrittiva in ossequio al principio di legalità, specie nelle sue declinazioni di tassatività e determinatezza della disposizione di cui all’art. 282-ter c.p.p. può comportare anche uno snaturamento della funzione della misura, ossia quella di prevenire le ingerenze dell’aggressore nella sfera privata della vittima.

Tale funzione, infatti, rischia di risultare compromessa dalla riduzione del campo di applicazione della misura alle sole ingerenze perpetrate “direttamente”, cioè mediante l’avvicinamento fisico alla vittima o ai luoghi da questa frequentati, escludendo invece quelle realizzate “indirettamente”, per esempio mediante danneggiamento delle cose di proprietà della persona offesa. Si rischia, cioè, di riconoscere all’istituto, quantomeno con riferimento a determinati casi, una valenza formale, ma non sostanziale.

Pertanto, è compito del giudice applicare la misura, articolandola in contenuti adeguati agli obiettivi da raggiungere nel caso concreto.

SECONDO Cass. pen. n. 13897/2010

È inidonea ed inadeguata la misura cautelare che impone l’allontanamento dall’ambiente familiare del genitore che assuma un atteggiamento nei confronti dei figlio minore scarsamente apprezzabile come strumento educativo, e tuttavia generalmente ricorrente nei rapporti familiari, quale quello di rivolgergli epiteti ingiuriosi (nella specie quello di “deficiente”), senza che tenga in debito conto delle ripercussioni che possono derivare sull’assetto affettivo e organizzativo della stessa famiglia.INOLTRE Cass. pen. n. 20496/2007

La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, prevista dall’art. 282 bis c.p.p., non rientrando tra quelle espressamente previste dagli artt. 19 e ss. del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, non può trovare applicazione nei confronti di soggetto minorenne.ED ANCORA Cass. pen. n. 18990/2006

La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.) è applicabile anche quando l’indagato abbia già abbandonato il domicilio domestico per intervenuta separazione coniugale.

Originally posted 2022-11-17 10:07:52.