‘art. 538 cpp, incostituzionale nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.

‘art. 538 cpp, incostituzionale nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.

Corte Cost., sentenza 12 luglio 2022, n. 173 Presidente Amato – Redattore Amoroso

Corte Cost., sentenza 12 luglio 2022, n. 173

Decisione

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 538 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.

 

 

 

, il giudice a quo, in considerazione della domanda risarcitoria formulata dalle parti civili, ritiene anzitutto che le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 538 cod. proc. pen. siano rilevanti nel giudizio principale. Evidenzia, in proposito, che, avuto riguardo al chiaro disposto di questa norma, e al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (vengono citate le sentenze della Corte di cassazione, sezione quinta penale, 18 dicembre 2020-11 febbraio 2021, n. 5433 e 6 dicembre 2016-10 febbraio 2017, n. 6347), l’emissione di una sentenza di proscioglimento, quale che ne sia la formula (dunque, anche se pronunciata ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., che pure presuppone l’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della sua ascrivibilità all’imputato), precluderebbe al giudice penale di provvedere sulla proposta domanda risarcitoria, costringendo il danneggiato ad esercitare ex novo la relativa azione dinanzi al giudice civile; tale preclusione verrebbe meno, invece, nell’ipotesi in cui la norma fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, riconoscendosi in tal guisa al giudice penale il potere di conoscere della domanda formulata dalla parte civile anche in mancanza del presupposto (altrimenti necessario) della previa pronuncia di condanna, e profilandosi, dunque, nel caso concreto, la possibilità di liquidare il danno richiesto dalle persone offese, pur a fronte di una declaratoria di non punibilità dell’imputato per l’ascritto delitto di diffamazione militare aggravata. 4.– Le questioni, poi, sarebbero altresì non manifestamente infondate. 4.1.– In primo luogo, il sospetto di illegittimità costituzionale della norma si porrebbe in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, parametro non esaminato nella sentenza di questa Corte n. 12 del 2016, la quale, nel dichiarare non fondate le questioni di costituzionalità dello stesso art. 538 cod. proc. pen., sollevate per contrasto con gli artt. 3,24 e 111 Cost., aveva osservato che, nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento, il non liquet sull’azione civile rappresenta la naturale implicazione del carattere accessorio e subordinato della stessa rispetto all’azione penale e risponde perfettamente alla finalità del processo penale, inscindibilmente connesso alla definizione della pretesa punitiva. Secondo il rimettente, però, tale orientamento dovrebbe essere rimeditato, avuto riguardo ai diritti della vittima del reato, protetti dalla norma convenzionale richiamata a parametro interposto, la quale tutelerebbe il duplice diritto, tanto della persona offesa quanto di quella danneggiata dal reato, sia all’accesso ad un tribunale sia alla celebrazione di un giusto processo entro un termine ragionevole. Tra i numerosi precedenti della Corte europea dei diritti dell’uomo (sezione prima, sentenza 7 dicembre 2017, Arnoldi contro Italia; sezione seconda, sentenza 7 novembre 2017, Leuska e altri contro Estonia; sezione quinta, sentenza 19 novembre 2009, Tonchev contro Bulgaria; sezione quinta, sentenza 2 ottobre 2008, Atanasova contro Bulgaria; sezione prima, sentenza 3 aprile 2003, Anagnostopoulos contro Grecia), il rimettente richiama, in particolare, la recente decisione (sezione prima, sentenza 18 marzo 2021, Petrella contro Italia), nella quale alla vittima di un reato di diffamazione era stata preclusa la possibilità di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla lesione della sua reputazione, a causa dell’eccessiva durata delle indagini preliminari, che aveva determinato l’archiviazione del procedimento penale per prescrizione del reato. Nell’occasione, evidenzia il rimettente, la ritenuta violazione dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU avrebbe trovato fondamento nel rilievo che una limitazione del diritto di accesso ad un tribunale è compatibile con la norma convenzionale solo se tende ad uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, talché nessuna importanza, in senso contrario, avrebbe potuto attribuirsi alla circostanza che il danneggiato fosse legittimato ad adire, comunque, il giudice civile. Sotto tale profilo, dunque, la possibilità che la parte civile trasferisca l’azione in sede civile, in ipotesi di proscioglimento dell’imputato, non inciderebbe sulla illegittimità costituzionale della norma, stante l’assenza del rapporto di proporzionalità. Inoltre, la norma censurata rallenterebbe, altresì, irragionevolmente la durata del procedimento, imponendo una non necessaria dilatazione dei tempi di liquidazione del danno, poiché costringerebbe la parte danneggiata ad introdurre un nuovo giudizio, pur essendo già stata accertata, da parte del giudice penale, l’illiceità del fatto, rilevante ai fini della responsabilità civile.

Originally posted 2022-07-14 09:40:07.