Il reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c., introdotto dal D.L.vo 11 aprile 2002

 Il reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c., introdotto dal D.L.vo 11 aprile 2002

REATI INFORMATICI

LEGITTIMAZIONE APROPORR ELA QUERELA

Cass. pen. n. 37033/2006

La legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore prevista dal vigente testo dell’art. 2634 c.c., introdotto dal D.L.vo n. 61 del 2002, spetta non solo alla società nel suo complesso ma anche – e disgiuntamente – al singolo socio. (In motivazione la S.C. ha rilevato che siffatta conclusione è corroborata dal rilievo che quando il socio è anche «unico» egli è chiamato, dall’art. 2362 c.c., a rispondere illimitatamente delle obbligazioni in caso di insolvenza della società, sicché la tutela apprestata dalla norma, non sollecitabile dall’amministratore in conflitto di interessi, non può non considerarsi concepita in via immediata anche a favore della posizione del socio

TRIBUNALE DI PAVIA, TRIBUNALE DI BRESCIA, CORTE APPELLO BRESCIA, TRIBUNALE MILANO, CORTE APPELLO MILANO, TRIBUNALE VICENZA, TRIBUNALE TREVISO ,CORTE APPELLO VENEZIA, TROIBUNALE VENEZIA, TRIBUNALE BOLOGNA, CORTE APPELLO BOLOGNA, TRIBUNALE FORLI, TRIBUNALE RAVENNA,TRIBUNALE RIMINI

 

 

Il reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c., introdotto dal D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, ha carattere speciale rispetto al reato di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 c.p., che, proprio per la sua natura generica, è inidoneo a tutelare il patrimonio societario dagli abusi degli amministratori, ed oggi anche dei direttori generali e dei liquidatori. Ne consegue che, per effetto dell’entrata in vigore della nuova disciplina sui reati societari, non possono ritenersi depenalizzati i fatti appropriativi commessi in precedenza (nella specie per finanziare illecitamente partiti politici) sulla base della mera aspettativa che quegli stessi fatti fossero finalizzati a procurare un vantaggio per la società. Ed infatti, la disposizione del terzo comma del menzionato art. 2634 c.c. (secondo cui non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo) trova applicazione in presenza di vantaggi compensativi – effettivamente conseguiti o «fondatamente» prevedibili, sulla base di elementi certi e non meramente aleatori – dell’appropriazione e del conseguente danno provocato alle singole società, non essendo sufficiente la mera speranza o l’aspettativa di benefici futuri. (Nel caso di specie, la S.C. ha rigettato il ricorso delle parti private avverso la sentenza del giudice dell’esecuzione che aveva rigettato la richiesta di revoca delle sentenze di condanna per appropriazione indebita sul rilievo che il profitto ingiusto, per il quale i fatti già giudicati erano stati commessi, sarebbe stato compensato da vantaggi derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo di società).

Ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale ex art. 2634 cod. civ., è necessario un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra l’amministratore agente e la società, a causa del quale il primo, nell’operazione economica che deve essere deliberata, si trova in una posizione antitetica rispetto a quella dell’ente, tale da pregiudicare gli interessi patrimoniali di quest’ultimo, non essendo sufficienti situazioni di mera sovrapposizione o commistione di interessi scaturenti dalla considerazione di rapporti diversi ed estranei all’operazione deliberata per conto della società. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito che aveva escluso il reato di infedeltà patrimoniale a carico del presidente del consiglio di amministrazione di una società a partecipazione pubblica che aveva acquistato, a titolo personale, un podere a condizioni particolarmente vantaggiose dalla controparte dell’operazione commerciale deliberata per conto della società).

REATI SOCIETARI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO VENEZIA TREVISO PADOVA ROVIGO
REATI SOCIETARI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO VENEZIA TREVISO PADOVA ROVIGO

LA NORMA ART 2634 CC:

Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.

In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo.

Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.

 

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  • PRECISA LA GIURISPRIUDENZA

 

  • pen. n. 3397/2013
  • Integra il delitto di appropriazione indebita, e non quello di infedeltà patrimoniale previsto dall’art. 2634 c.c., l’erogazione di denaro compiuta dall’amministratore di una società di capitali in violazione delle norme organizzative di questa e per realizzare un interesse esclusivamente personale, in assenza di una preesistente situazione di conflitto d’interessi con l’ente, senza che possa rilevare l’assenza di danno per i soci. (Fattispecie in cui è stato rigettato il ricorso avverso ordinanza che aveva confermato il sequestro preventivo di somme formalmente appostate in bilancio, riconducibili ad operazioni inesistenti giustificate da false fatturazione, o comunque provento di evasione fiscale, e sottratte alla società senza valida giustificazione economica).

 

  • ùIn tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2634 c.c. – che esclude, relativamente alla fattispecie incriminatrice dell’infedeltà patrimoniale degli amministratori, la rilevanza penale dell’atto depauperatorio in presenza dei c.d. vantaggi compensativi dei quali la società apparentemente danneggiata abbia fruito o sia in grado di fruire in ragione della sua appartenenza a un più ampio gruppo di società – conferisce valenza normativa a principi – già desumibili dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensività – applicabili anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente, a fatti di disposizione patrimoniale contestati come distrattivi o dissipativi. Pertanto, ove si accerti che l’atto compiuto dall’amministratore non risponda all’interesse della società ed abbia determinato un danno al patrimonio sociale, è onere dello stesso amministratore dimostrare l’esistenza di una realtà di gruppo, alla luce della quale quell’atto assuma un significato diverso, si che i benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediati negativi dell’operazione compiuta, di guisa che nella ragionevole previsione dell’agente non sia capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società.