PATTEGGIAMENTO IL CONSENSO DELL’IMPUTATO PUO’ ESSERE  REVOCATO ? LA CASSAZIONE DICE DI NO

 COSA SI DICE DEL PATTEGGIAMENTO? SCOPRIAMOLO…

AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA ESPERTO
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA ESPERTO

avvocato penalista  Imola sei nel posto giusto, avvocato Sergio Armaroli avvocato penalista Imola con studio a Bologna difende a Imola per avvocato penalista querela Imola, avvocato penalista per difesa imputati indagati Imola ., avvocato penalista per reati famigliari Imola, avvocato penalista per processo penale Imola.

PATTEGGIAMENTO IL CONSENSO DELL’IMPUTATO PUO’ ESSERE  REVOCATO ?

PATTEGGIAMENTO IL CONSENSO DELL’IMPUTATO PUO’ ESSERE  REVOCATO ? LA CASSAZIONE DICE DI NO

LA CASSAZIONE DICE DI NO

PATTEGGIAMENTO IL CONSENSO DELL’IMPUTATO PUO’ ESSERE  REVOCATO ? LA CASSAZIONE DICE DI NO

Invero, l’articolo 447 c.p.p., prevede, al primo comma, che, nel caso di richiesta di applicazione di pena ex articolo 444 c.p.p., avanzata nel corso delle indagini preliminari congiuntamente o comunque con il consenso scritto dell’altra parte, il giudice “fissa, con decreto in calce alla richiesta, l’udienza per la decisione” (comma 1). Il medesimo articolo 447, al comma 2, poi, recita: “Nell’udienza il pubblico ministero ed il difensore sono sentiti se compaiono”. L’articolo 448 c.p.p., comma 1, primo periodo, a sua volta, dispone: “Nell’udienza prevista dall’articolo 447, nell’udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice, se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta prevista dall’articolo 444, comma 1, pronuncia immediatamente sentenza”.

Argomenta che il Tribunale del riesame avrebbe confermato la sussistenza delle esigenze cautelari senza valutare in maniera adeguata la concretezza ed attualita’ delle stesse ne’ tenuto conto che l’ordinanza cautelare era stata annullata con riferimento al reato contestato al capo c) dell’imputazione provvisoria; la motivazione sarebbe, poi, apparente in ordine al pericolo di inquinamento probatorio e non terrebbe conto della mancata fissazione della data di scadenza della misura in relazione alle indagini da compiere; il Tribunale, inoltre, avrebbe ritenuto, con motivazione insufficiente, sussistere il pericolo di fuga evincendolo solo dalla gravita’ del titolo di reato per cui si precede.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sull’istanza di patteggiamento avanzata in sede di indagini preliminari, anche se presentata congiuntamente dalle parti, il giudice non puo’ provvedere de plano o comunque in assenza della notifica della data fissata per l’udienza camerale per la decisione, poiche’ l’omesso svolgimento dell’udienza integra una nullita’ di ordine generale (cosi’ Sez. 1, n. 804 del 15/12/2004, dep. 2005, Catalano, Rv. 231095, nonche’ Sez. 6, n. 344 del 29/11/1999, dep. 2000, De Martino, Rv. 216831, ma anche, implicitamente, in motivazione, Sez. 3, n. 19744 del 19/04/2011, Carrera, Rv. 250014).

Tuttavia, secondo le medesime decisioni, tale nullita’ e’ ritenuta a regime intermedio, e quindi sanabile, atteso che, a norma dell’articolo 447 c.p.p., comma 2, la presenza delle parti in udienza non e’ obbligatoria (cosi’, per questa osservazione, in particolare, Sez. 6, n. 344 del 2000, cit.).

Inoltre, piu’ pronunce precisano che l’indicata nullita’ di natura intermedia non puo’ essere eccepita dall’imputato o dal difensore se la sentenza abbia applicato la pena nei termini indicati dalle parti, perche’ gli stessi non avrebbero alcun interesse in proposito, siccome l’accordo ex articolo 444 c.p.p., una volta concluso, non e’ piu’ revocabile o modificabile dalle parti (cosi’, specificamente, Sez. 3, n. 19744 del 2011, cit., e Sez. 6, n. 344 del 2000, cit.).

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Peraltro, anche la giurisprudenza di legittimità che ammette la possibilità in tema di patteggiamento di revocare il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 c.p.p., condiziona tale possibilità ad una “sopravvenienza” oggettiva, non preventivabile, quale ad esempio una legge più favorevole (cfr. Sez. 4, n. 15231 del 08/04/2015), che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo (Sez. 4, n. 11209 del 23/02/2012), non certo a valutazioni del tutto soggettive ed unilaterali, come nella fattispecie in esame.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Sentenza 16 ottobre 2017 – 30 gennaio 2018, n. 4401

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere –

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L.G., nato il (OMISSIS);

G.A. nato il (OMISSIS);

GU.AL. nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/05/2015 del GIP TRIBUNALE di SIENA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CORASANITI Giuseppe;

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità dei ricorsi.

Udito il difensore:

L’avvocato Cipriani dopo aver illustrato brevemente i motivi di ricorso presentati ne chiede l’accoglimento;

L’avvocato Rossi chiede che il ricorso presentato venga accolto; in subordine chiede l’annullamento senza rinvio per maturata prescrizione.

avvocato penalista  Imola sei nel posto giusto, avvocato Sergio Armaroli avvocato penalista Imola con studio a Bologna difende a Imola per avvocato penalista querela Imola, avvocato penalista per difesa imputati indagati Imola ., avvocato penalista per reati famigliari Imola, avvocato penalista per processo penale Imola.

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza del 7.5.2015 il G.i.p. del Tribunale di Siena applicava ex art. 444 c.p.p., a G.A. e Gu.Al. la pena di 8 mesi di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81, 110, 515 e 517 bis c.p., artt. 110 e 484 c.p., e artt. 110, 48 e 479 c.p., nonchè a L.G. la pena di mesi otto di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81, 516 e 517 bis c.p., art. 484 c.p., e artt. 48 e 479 c.p..2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori: 2.1 G.A. e Gu.Al., lamentando la ricorrenza del vizio di violazione di legge e l’errata applicazione dell’art. 444 c.p.p., atteso che, nel caso di specie, non si è mai raggiunto tra le parti un valido accordo negoziale “per mancata definizione dell’oggetto del contendere”; invero, prima dell’istanza di patteggiamento depositata in data 5.4.11 non vi era stata una determinazione precisa delle imputazioni, tanto è vero che quella istanza non recava richiamo a precise contestazioni, poichè non si erano delineate nè imputazioni certe, nè fatti certi cui far corrispondere ipotesi di reato; in particolare, le ipotesi di imputazione contenute nel decreto di sequestro probatorio non erano uguali a quelle contenute nella richiesta di sequestro preventivo e queste ultime differivano dalle imputazioni contenute nell’avviso agli indagati a comparire per rendere interrogatorio; inoltre, nessuna delle suddette imputazioni risulta identica a quella contenuta nell’atto denominato “consenso del PM sulla richiesta di applicazione di pena” del 28.11.2014, sicchè del tutto incerto ed evanescente era l’oggetto dell’accordo negoziale ex art. 444 c.p.p., con la conseguenza che esso non può dirsi perfezionato, anche in considerazione del fatto che la richiesta di applicazione di pena era condizionata al verificarsi dell’archiviazione dell’ipotesi più grave ex art. 416 c.c., archiviazione di cui non vi è traccia.2.2. L.G. lamentando la nullità della sentenza impugnata, atteso che in data in data 18.10.2011, il L. ha revocato il proprio consenso, e quindi, la richiesta di definizione non aveva più valore; il consenso, infatti, non è un atto volitivo, che può e deve essere libero, revocabile sino a quando il giudice non abbia deciso.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili, siccome manifestamente infondati.

1. Con il proprio ricorso G.A. e Gu.Al. mettono in discussione la formazione di un valido “accordo” ex art. 444 c.p.p., per indeterminatezza delle imputazioni riferibili ad essi deducenti ed in considerazione del fatto che non sarebbe stata accolta espressamente la richiesta di esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 416 c.p.. Tali doglianze sono del tutto destituite di fondamento, atteso che le richieste degli imputati di applicazione della pena si riferiscono esattamente alle ipotesi di reato espressamente indicate (artt. 515, 517, 484 e 479 c.p.), per le quali è stata pronunciata la sentenza impugnata ex art. 444 c.p.p., sicchè alcuna indeterminatezza può ravvisarsi in ordine all'”oggetto dell’accordo”. Peraltro, alcun serio elemento è stato addotto dagli imputati al fine di ritenere che la richiesta di applicazione di pena si riferisse a fatti diversi da quelli per i quali è intervenuta la sentenza impugnata, che, invece, sono stati qualificati dalle parti proprio nelle ipotesi di reato ritenute corrette dal giudice e per le quali è stata pronunciata sentenza. La sentenza impugnata, inoltre, ha evidenziato come nell’invito a rendere interrogatorio fossero enunciate le imputazioni che ricalcano i reati di cui ai capi 1, 2, 3, così come nel decreto di sequestro preventivo del novembre 2009 i fatti oggetto di contestazione erano puntualmente descritti e valutati, rilievi questi non seriamente confutati.

1.1. Il fatto che con il consenso prestato in data 28.11.2014 il P.M. abbia esattamente riportato le imputazioni non implica che gli addebiti mossi agli imputati non fossero già stati ampiamente portati a loro conoscenza e, comunque, a tale atto – siccome specifico e dettagliato – non può essere attribuita una nuova e diversa valenza rispetto ad un mero consenso.

1.2. Per quanto concerne, poi, la condizione apposta alla richiesta di applicazione della pena – ossia l’archiviazione del reato ex art. 416 c.p. – essa non emerge dalla richiesta stessa, avendo espressamente gli imputati evidenziato di subordinare l’istanza alla concessione della sospensione condizionale della pena, laddove solo nella premessa vi è un accenno al fatto che “alcuni coindagati hanno definito la loro posizione con applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., in relazione ai reati contestati con esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 416 c.p.”, accenno questo che non implica, all’evidenza, alcuna condizione al patto.

Peraltro, ove anche fosse da considerarsi implicitamente apposta la suddetta condizione, il giudice non era tenuto a valutarla, atteso che come già evidenziato da questa Corte in tema d’applicazione di pena su richiesta delle parti, queste ultime non possono subordinare l’efficacia dell’accordo a condizioni, in quanto l’unica evenienza prevista dalla legge alla quale può essere vincolata la produzione degli effetti della richiesta è costituita dalla concessione della sospensione condizionale della pena (cfr. in tal senso Sez. 6, n. 9920 del 29/01/2014).

2. Manifestamente infondato si presenta altresì il ricorso del L. il quale ha addotto l’intervenuta revoca del consenso. Ed invero, dagli atti emerge come peraltro evidenziato nella stessa sentenza impugnata, che il L. presentò istanza ex art. 444 c.p.p., depositata in data 6.8.2010 ed in pari data il P.M. prestò il consenso (cfr. dichiarazione in calce all’istanza “il P.M….presta il consenso alla definizione del procedimento…”). In tale contesto la revoca del consenso manifestata dal L. in data 18.10.2011 deve considerarsi priva di effetti, in quanto non idonea ad elidere il consenso già perfezionatosi. In proposito è sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimità senz’altro maggioritaria alla quale il Collegio ritiene di aderire, secondo la quale in tema di patteggiamento, l’accordo tra l’imputato e il pubblico ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che – una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quando questa abbia dato il proprio consenso – diviene irrevocabile e non è suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra, in quanto il consenso reciprocamente manifestato con le dichiarazioni congiunte di volontà determina effetti non reversibili nel procedimento e pertanto nè all’imputato, nè al pubblico ministero è consentito rimetterlo in discussione (Sez. 1, n. 48900 del 15/10/2015).

Peraltro, anche la giurisprudenza di legittimità che ammette la possibilità in tema di patteggiamento di revocare il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 c.p.p., condiziona tale possibilità ad una “sopravvenienza” oggettiva, non preventivabile, quale ad esempio una legge più favorevole (cfr. Sez. 4, n. 15231 del 08/04/2015), che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo (Sez. 4, n. 11209 del 23/02/2012), non certo a valutazioni del tutto soggettive ed unilaterali, come nella fattispecie in esame.

La circostanza, poi, che il P.M. abbia in data 26.11.2014 preso atto del consenso già prestato non implica una rinnovazione implicita di esso, essendosi già l’accordo perfezionato.

4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, trattandosi di causa ò di inammissibilità riconducibile a colpa dei ricorrenti al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare per ciascuno in Euro 2000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2018.

PATTEGGIAMENTO IL CONSENSO DELL’IMPUTATO PUO’ ESSERE  REVOCATO ? LA CASSAZIONE DICE DI NO

L’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma in tal caso esso deve essere rapportato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento ed all’esistenza dell’atto negoziale sulla pena, sicché anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti.

Il giudice del patteggiamento, peraltro, ha spiegato sinteticamente la sussistenza di un quadro probatorio adeguato e idoneo ad escludere una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p. e tanto è sufficiente ai fini del sindacato positivo sulla legittimità della decisione dal punto di vista di eventuali, proposti vizi di motivazione.
Invero, la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p. (Sez. 2, n. 39159 del 10/9/2019, Hussain Tasawar, Rv. 277102; Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Rv. 256359; Sez. 4, n. 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011, dep. 2012, Rv. 252085).
Ebbene, il motivo è privo di specificità al riguardo, poiché non indica elementi favorevoli all’imputato acquisiti in atti e non considerati, o mal considerati, ai fini di un proscioglimento; esso, comunque, è manifestamente infondato, dal momento che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 c.p.p., e ritenendo la correttezza della proposta qualificazione giuridica dei fatti contestati.
Tali argomentazioni, come ha condivisibilmente sottolineato la citata sentenza n. 39159 del 2019, appaiono del tutto corrispondenti ai parametri motivazionali richiesti per le decisioni di patteggiamento, avuto riguardo alla rinunzia alla contestazione delle prove e della qualificazione giuridica dei fatti costituenti oggetto di imputazione, che è implicita nella domanda di applicazione pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nonché tenuto conto della speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in tale tipologia peculiare di rito alternativo previsto dal legislatore (cfr., tra le altre, Sez. U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/9/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637; cfr. Sez. 6, n. 56976 del 11/9/2017, Sejdaras, Rv. 271671).
La sentenza Di Benedetto ha ricostruito l’archetipo dei contenuti della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2, secondo uno schema di delibazione ad un tempo positiva e negativa.
Positiva quanto all’accertamento: a) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena; b) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze; c) della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost., comma 3; d) della concedibilità della sospensione condizionale della pena, solo qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio. Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del reato.
Le delibazioni positive debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 c.p.p., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
La successiva sentenza Serafino ha poi chiarito come l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, operi, sì, anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma che, tuttavia, in caso di pronuncia ex art. 444 c.p.p., esso deve essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Tanto premesso, la giurisprudenza successiva ha affermato condivisibilmente che l’accordo sulla pena “esonera il giudice dall’obbligo di motivazione sui punti non controversi della decisione” (Sez. 2, 12/10/2005, Scafidi, Rv. 232844).
Il principio merita di essere riaffermato e da esso discende che anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti (così la citata sentenza Sez. 6, n. 56976 del 2017 in motivazione).
Esattamente questo è accaduto nel caso del provvedimento impugnato dal ricorrente, in cui il giudice ha descritto brevemente i fatti, ha condiviso la loro qualificazione giuridica, ha escluso la sussistenza di una delle condizioni di proscioglimento dettate dall’art. 129 c.p.p. ed ha valutato la congruità della pena. Tutto secondo i canoni contenutistici essenziali e necessari richiesti dalla giurisprudenza di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, ordinanza n. 19425/21; depositata il 17 maggio 2021
Presidente Palla – Relatore Brancaccio

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catania, in data 18.9.2020, ha applicato a C.C. , ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di anni due di reclusione ed Euro 600 di multa per i reati di furto in abitazione e possesso di arnesi da scasso, reati entrambi aggravati.
2. Ricorre l’imputato personalmente, chiedendo che sia annullata la sentenza per violazione di legge per essere venuto meno il giudice al proprio dovere motivazionale, non escluso dalla peculiarità del rito.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per ragioni che si pongono fuori dal perimetro di quelle consentite dal legislatore al fine di ricorrere per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, ragioni, peraltro, anche manifestamente infondate.
2. Come noto, secondo quanto previsto dall’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, disposizione introdotta con la L. 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
In tema di patteggiamento, pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p., atteso che l’art. 448, comma 2-bis, citato limita l’impugnabilità della pronuncia, come poc’anzi precisato, alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 1032 del 7/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337; Sez. F, ord. n. 28742 del 25/8/2020, Messnaoui, Rv. 279761).
Orbene, il ricorrente non deduce alcuna delle ragioni di ricorso consentite, ma si limita a dolersi, molto genericamente e senza tener conto dei contenuti della pronuncia impugnata, della mancanza di motivazione sulla responsabilità del ricorrente.
Il giudice del patteggiamento, peraltro, ha spiegato sinteticamente la sussistenza di un quadro probatorio adeguato e idoneo ad escludere una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p. e tanto è sufficiente ai fini del sindacato positivo sulla legittimità della decisione dal punto di vista di eventuali, proposti vizi di motivazione.
Invero, la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p. (Sez. 2, n. 39159 del 10/9/2019, Hussain Tasawar, Rv. 277102; Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Rv. 256359; Sez. 4, n. 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011, dep. 2012, Rv. 252085).
Ebbene, il motivo è privo di specificità al riguardo, poiché non indica elementi favorevoli all’imputato acquisiti in atti e non considerati, o mal considerati, ai fini di un proscioglimento; esso, comunque, è manifestamente infondato, dal momento che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 c.p.p., e ritenendo la correttezza della proposta qualificazione giuridica dei fatti contestati.
Tali argomentazioni, come ha condivisibilmente sottolineato la citata sentenza n. 39159 del 2019, appaiono del tutto corrispondenti ai parametri motivazionali richiesti per le decisioni di patteggiamento, avuto riguardo alla rinunzia alla contestazione delle prove e della qualificazione giuridica dei fatti costituenti oggetto di imputazione, che è implicita nella domanda di applicazione pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nonché tenuto conto della speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in tale tipologia peculiare di rito alternativo previsto dal legislatore (cfr., tra le altre, Sez. U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/9/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637; cfr. Sez. 6, n. 56976 del 11/9/2017, Sejdaras, Rv. 271671).
La sentenza Di Benedetto ha ricostruito l’archetipo dei contenuti della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2, secondo uno schema di delibazione ad un tempo positiva e negativa.
Positiva quanto all’accertamento: a) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena; b) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze; c) della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost., comma 3; d) della concedibilità della sospensione condizionale della pena, solo qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio. Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del reato.
Le delibazioni positive debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 c.p.p., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
La successiva sentenza Serafino ha poi chiarito come l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, operi, sì, anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma che, tuttavia, in caso di pronuncia ex art. 444 c.p.p., esso deve essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Tanto premesso, la giurisprudenza successiva ha affermato condivisibilmente che l’accordo sulla pena “esonera il giudice dall’obbligo di motivazione sui punti non controversi della decisione” (Sez. 2, 12/10/2005, Scafidi, Rv. 232844).
Il principio merita di essere riaffermato e da esso discende che anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti (così la citata sentenza Sez. 6, n. 56976 del 2017 in motivazione).
Esattamente questo è accaduto nel caso del provvedimento impugnato dal ricorrente, in cui il giudice ha descritto brevemente i fatti, ha condiviso la loro qualificazione giuridica, ha escluso la sussistenza di una delle condizioni di proscioglimento dettate dall’art. 129 c.p.p. ed ha valutato la congruità della pena. Tutto secondo i canoni contenutistici essenziali e necessari richiesti dalla giurisprudenza di legittimità.
Da qui l’inammissibilità del ricorso, premesso il seguente principio di diritto: l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma in tal caso esso deve essere rapportato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento ed all’esistenza dell’atto negoziale sulla pena, sicché anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti.
4. Alla declaratoria d’inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 4.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.

Originally posted 2018-08-16 09:52:22.