VIOLENZA SESSUALE BOLOGNA AVVOCATO DIFENDE

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inferiorità fisica

609 BIS CP Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità(2) costringe taluno a compiere o subire atti sessuali(3) è punito con la reclusione da sei a dodici anni(4).

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali(5):

  1. 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto(6);
  2. 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona(7).

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi(8).

In tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. concorre nel giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen.. (In motivazione, la S.C. ha osservato che la partecipazione al giudizio di bilanciamento consegue alla sentenza della Corte costituzionale n.106 del 2014, che ha dichiarato illegittimo il quarto comma del predetto art. 69 cod. pen. – come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 – nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della attenuante di cui al citato terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata).

VIOLENZA SESSUALE BOLOGNA AVVOCATO DIFENDE
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Il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale.

Integra il reato di tentata violenza sessuale la condotta di colui che, all’esplicito rifiuto di consumare un rapporto sessuale, reitera più volte la richiesta ponendo in essere violenze o minacce che, sebbene non comportino una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, siano comunque chiaramente finalizzate a vincerne la resistenza.

  • In tema di atti sessuali, la condotta vietata dall’art. 609 bis c.p. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva. (In motivazione, la Corte ha escluso che potesse qualificarsi “atto sessuale” la sodomizzazione di una donna con una chiave nel corso di un litigio, se si fosse accertato che tale condotta fosse stata posta in essere non per soddisfare impulsi sessuali ma esclusivamente al fine di umiliare e punire la vittima).
  • In tema di violenza sessuale, il tentativo è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, mentre per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la fattispecie consumata in relazione alla condotta dell’imputato consistita nel leccamento di una guancia dovuto ad un bacio non riuscito ed al contemporaneo toccamento delle parti intime di una ragazza minorenne).
  • In tema di atti sessuali con minorenne, ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609- quater, quarto comma, c.p., deve farsi riferimento al fatto nella sua globalità e non può essere esclusa sulla scorta della valutazione dei medesimi elementi costitutivi della fattispecie criminosa (età della vittima e atto sessuale) essendo, invece, necessario considerare tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto che possono incidere in termini di minore lesività rispetto al bene giuridico tutelato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretto il mancato riconoscimento della circostanza attenuante sul presupposto della tipologia e delle modalità degli atti sessuali, che venivano praticati sulla vittima contemporaneamente da due uomini).

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  • Ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci, costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti fra le persone coinvolte e di ogni determinazione della sessualità del soggetto passivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso contro la condanna di un preside che aveva ripetutamente abbracciato e baciato sulle guance un’alunna in luoghi appartati, trattenendola per i fianchi, chiedendole di baciarlo e rivolgendole apprezzamenti per il suo aspetto fisico).
  • In tema di violenza sessuale, l’espressione “abuso di autorità” che costituisce, unitamente alla “violenza” o alla “minaccia”, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609-bis c.p., ricomprende non solo le posizioni autoritative di tipo pubblicistico, ma anche ogni potere di supremazia di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali. (Fattispecie relativa a violenza sessuale commessa nei confronti di una dipendente con mansioni di segretaria mediante abuso dell’autorità derivante dalla posizione di datore di lavoro).
  • (
  • Non può essere riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di minore gravità (art. 609-bis, ult. comma, cod. pen.) ove il reato di violenza sessuale sia commesso da un docente all’interno di un istituto scolastico, posto che questo è un luogo all’interno del quale l’alunno deve sentirsi protetto e che, però, rende particolarmente vulnerabile la vittima per il rischio di attenzioni sessuali illecite derivanti dall’approfittamento del rapporto fiduciario intercorrente con l’insegnante.
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609 QUATER

Successivo 

Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:

1) non ha compiuto gli anni quattordici;

2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza 2.

Fuori dei casi previsti dall’articolo 609-bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza, che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni 3.

La pena è aumentata se il compimento degli atti sessuali con il minore che non abbia compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi 4.

Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni 5.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi 6.

Si applica la pena di cui all’articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci [c.p. 602-bis, 734-bis; c.p.p. 392, 398] 7.

1 Articolo aggiunto dall’art. 5, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42). L’art. 16 della stessa legge, come modificato dall’art. 15, L. 3 agosto 1998, n. 269, ha così disposto: «1. L’imputato per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 609-bis609-ter609-quater e 609-octies del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime». Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. L’indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1 della stessa legge.

2 Numero così sostituito dall’art. 6, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.»

La Corte di Appello di Bologna con sentenza emessa il 30 giugno 2020, in parziale riforma della sentenza resa dal G.U.P. del Tribunale di Ravenna in data 12 novembre 2013, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato S.P. in ordine al reato di cui agli artt. 56 cpv. e 610 c.p., ascritto al capo b), in quanto estinto per intervenuta prescrizione, e confermava nel resto la condanna dell’imputato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 quater c.p., ascritto al capo a), per aver compiuto atti sessuali con le minori dodicenni N.M. e M.B., mostrando loro un fallo di gomma dicendo che si chiamava pippo e che piaceva alle donne e le baciava sulla guancia, fatti commessi nell’estate del (OMISSIS), in (OMISSIS). La Corte di appello rideterminava la pena, per effetto della già concessa attenuante dell’art. 609 quater c.p., u.c., è della riduzione per il rito, in anni 1 e mesi 1 giorni 10 di reclusione, con concessione della sospensione condizionale della pena, oltre al pagamento delle spese. processuali, con l’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente la tutela e la curatela, e la condanna al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Luigi – Presidente –

Dott. ROSI Elisabetta – rel. Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.P., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 30/06/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ELISABETTA ROSI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore della parte civile, avv. CLAUDIO CARDIA del foro di Ravenna, che chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, depositando conclusioni scritte e nota spese.

Svolgimento del processo

  1. La Corte di Appello di Bologna con sentenza emessa il 30 giugno 2020, in parziale riforma della sentenza resa dal G.U.P. del Tribunale di Ravenna in data 12 novembre 2013, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato S.P. in ordine al reato di cui agli artt. 56cpv. e 610 c.p., ascritto al capo b), in quanto estinto per intervenuta prescrizione, e confermava nel resto la condanna dell’imputato per il reato di cui agli artt. 81cpv. e 609 quater c.p., ascritto al capo a), per aver compiuto atti sessuali con le minori dodicenni N.M. e M.B., mostrando loro un fallo di gomma dicendo che si chiamava pippo e che piaceva alle donne e le baciava sulla guancia, fatti commessi nell’estate del (OMISSIS), in (OMISSIS). La Corte di appello rideterminava la pena, per effetto della già concessa attenuante dell’art. 609 quater c.p., u.c., è della riduzione per il rito, in anni 1 e mesi 1 giorni 10 di reclusione, con concessione della sospensione condizionale della pena, oltre al pagamento delle spese. processuali, con l’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente la tutela e la curatela, e la condanna al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite.
  2. Avverso la sentenza, tramite il difensore di fiducia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi.

2.1 Con il primo motivo si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui è stata ritenuta la credibilità della parte offesa e si lamenta la mancata assoluzione dell’imputato per non aver commesso i fatti di cui al capo di imputazione.

In particolare, la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe corroborato il proprio convincimento sulla base delle sole dichiarazioni rese da una delle persone offese, la minore N.M., peraltro disattendendo gli errori temporali, nonchè le evidenti discrasie rinvenibili tra quanto dalla stessa narrato e quanto invece dichiarato dalla insegnante (Prof.ssa F.). La difesa lamenta innanzitutto il carente e non accurato esame sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore, che avrebbe dovuto essere particolarmente rigoroso, in quanto queste venivano assunte quale unico elemento rilevante ai fini della condanna e non erano state confermate da alcun testimone o riscontro, nemmeno dalla cugina che era presente all’accaduto. Al fine di dimostrare l’erronea valutazione da parte di entrambi i giudici di merito circa le risultanze delle indagini preliminari, la difesa ha ripercorso la cronistoria degli accadimenti, rilevando che la minore aveva raccontato i fatti, verificatisi nell’estate del 2011, ben sette mesi dopo, riferendoli alla Prof.ssa F., la quale redigeva la relazione del 29 marzo 2012. Secondo la difesa, durante questo arco temporale la minore sarebbe stata condizionata da amici e parenti che, venuti a conoscenza della sua frequentazione con l’imputato – il quale veniva appellato come “pedofilo” per voci di popolo – avrebbero espresso dei commenti in grado di contaminare il racconto successivamente reso dalla ragazza all’insegnante. Nel contesto della relazione della professoressa, la difesa individua alcune contraddizioni, tra cui il fatto che veniva omesso qualsivoglia riferimento al fallo di gomma menzionato nel capo di imputazione. La difesa rileva poi che non era stata -fatta alcuna segnalazione ai Carabinieri se non dopo essere stata convinta dalle amiche (peraltro mai sentite in questo processo), laddove la minore affermava di essere stata costretta a salire nel furgone dell’imputato con destinazione allo zoo di Cervia, in quanto minacciata dalla cugina che avrebbe altrimenti raccontato al padre che aveva bruciato una pentola. Diversamente, la madre della minore ( T.S.) dichiarava che la figlia le aveva riferito di essere salita volontariamente sul furgone. Secondo la difesa le successive sommarie informazioni rese dalla persona offesa in data 13 maggio 2012 si erano arricchite di ulteriori particolari, che contraddicevano la prima narrazione fatta all’insegnante, nella parte in cui la minore dichiarava di essere volontariamente salita sul furgone e non riferiva di alcuna segnalazione fatta ai Carabinieri in ordine ad un tentato approccio da parte dell’imputato. Infine, in sede di incidente probatorio, effettuato in data 1 febbraio 2013, la minore non aveva riferito di essere stata costretta a salire nel furgone, ma narrava di “bacini” ricevuti dall’imputato durante il giro nello zoo e specificava di avere insistito perchè si facesse ritorno a casa dopo la gita, perchè il padre non sapeva con chi si fosse allontanata (quando invece all’insegnante aveva dichiarato l’esatto contrario); aggiungeva poi altri particolari dei quali non veniva dato alcun riscontro probatorio, ed ammetteva quanto dichiarato dal S. in sede di interrogatorio in data 12 dicembre 2012 (in particolare, confermava gli episodi della raccolta della frutta, della riparazione delle biciclette, fatti accaduti dopo il fatto di Cervia). Pertanto, risulterebbe pienamente credibile la versione resa dall’imputato, il quale riferiva particolari poi confermati dalla minore a seguito di sollecitazione del giudice, anche per quanto attiene al fallo di gomma che lo stesso aveva rinvenuto per puro caso in una busta di plastica e non aveva successivamente occultato in quanto, non essendo il legittimo proprietario, non poteva disporne.

2.2 Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale per errata qualificazione giuridica del fatto, con richiesta di derubricazione del reato nel reato tentato ex art. 56 c.p.. Invero, la difesa, richiamando giurisprudenza sul punto, evidenzia che gli atti sessuali previsti dall’art. 609 quater c.p., debbano necessariamente coinvolgere il corpo della vittima, in quanto costretta a compierli o subirli. Orbene, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto di qualificare come atto sessuale un bacio sulla guancia dato dall’imputato alla vittima e la mera esibizione alle minori di un fallo di gomma, poi immediatamente riposto nell’auto. Sul punto si lamenta l’assenza di prova in ordine all’effettiva ripercussione delle suddette azioni sulla sfera della sessualità fisica delle minori e, in subordine, si evidenzia come sarebbero al più riconducibili nella forma tentata per mancato compimento dell’azione sessuale.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso risulta manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile, atteso che i motivi formulati dal ricorrente afferiscono in realtà a questioni di mera ricostruzione dei fatti e di valutazione delle prove, che si risolvono nel riproporre in questa sede un nuovo, e diverso, giudizio di fatto, di stretta pertinenza dei giudici del merito e sottratto al sindacato di legittimità quando, come nella specie, la decisione impugnata segua un percorso argomentativo esente da macroscopiche incongruità o illogicità.

1.1. Occorre, infatti, ribadire l’orientamento costante e consolidato della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 5, n. 15041/19 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100; Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv 270519; Sez. 2, n. 7986/17 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482;Sez. Un. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074), secondo il quale il sindacato sulla motivazione della sentenza del giudice di merito demandato alla Corte di cassazione non può concernere nè la ricostruzione del fatto, nè il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una rinnovata verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali, in quanto la funzione del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate che rendano giustificate sul piano della consequenzialità le conclusioni tratte. Pertanto, “la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto” (Cfr. Sez. 2, n. 18163 del 6/5/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e altri, Rv. 271227).

1.2. Questa Corte ha altresì affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303; Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado, in risposta ai quali è consentita anche la motivazione per relationem, sempre che tale rinvio non comporti una sottrazione alle puntuali censure prospettate in sede di impugnazione. Nel caso di specie la sentenza di appello, oltre a richiamare espressamente la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, ha condiviso le valutazioni operate dai giudici di prime cure ed ha sviluppato un’autonoma ed ampia argomentazione, in risposta alle censure avanzate con l’appello.

  1. Nel caso di specie, va rilevato che il ricorrente si limita a riproporre le medesime doglianze già formulate con l’atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha fornito risposta con ampia motivazione, del tutto logica e coerente. In particolare, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto irrilevanti alcuni imprecisioni temporali e le discrasie rinvenute nelle dichiarazioni della minore rispetto a quanto riferito all’insegnante. Nello specifico, il fatto. che il padre della stessa fosse a conoscenza o meno della gita allo zoo di Cervia è stato valutato come un dettaglio del tutto secondario e inconferente rispetto ai comportamenti ascritti all’imputato.

2.1. Quanto alla ipotizzata coartazione psicologica subita dalla vittima nel lasso temporale intercorrente tra l’accadimento del fatto ed il disvelamento, peraltro di contenuta ampiezza, trattandosi di circa sette mesi, non sono stati allegati specifici elementi di prova di quanto asserito, sicchè pur data l’esistenza di battute di amichetti e familiari non risulta alcun collegamento di ordine psicologico rispetto alla denuncia. Mentre risulta perfettamente riscontrato il racconto delle giovani vittime laddove è stato accertato il possesso del fallo di plastica descritto e rinvenuto nel luogo indicato dalla vittima. Quanto poi alla esibizione del fallo di plastica alle minori, coerentemente la Corte di appello ha ritenuto inverosimile la ricostruzione fornita dall’imputato, che aveva dichiarato di non avere avuto contezza della presenza dell’oggetto sul furgone di proprietà, a fronte della precisione del racconto della minore.

  1. Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Entrambi i giudici di merito hanno fanno buon governo della interpretazione fornita da codesta Corte di legittimità in relazione al bene giuridico tutelato dall’art. 609 quaterc.p., il quale non va rinvenuto nella libertà di autodeterminazione del minore, ma nella intangibilità sessuale della vittima, in considerazione della presunzione legale di incapacità del soggetto di prestare un valido consenso al compimento di un qualunque tipo di atto sessuale.

3.1. Quanto alla nozione di atto sessuale e quindi alla integrazione del reato consumato e non di un mero tentativo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, in base ad una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, possa ritenersi che abbia inciso sulla libertà sessuale della vittima (cfr. Sez.3, n. 43423 del 18/09/2019, P., Rv.2772179 – 01), e comunque si tratta di una valutazione di merito, che deve tenere conto della condotta nel suo complesso, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa e di ogni altro dato fattuale qualificante (in tal senso Sez.3, n. 964 del 26/11/2014, dep. 13/01/2015, R., Rv. 261634 – 01) 3.2. Orbene, non può che ribadirsi che la soluzione adottata dalla Corte territoriale risulta immune da censure nella parte in cui ha concluso per la qualificazione della condotta dell’imputato nella forma compiuta e non solo tentata, atteso che l’imputato, dopo essersi precostituita una occasione di gita in luogo lontano da quello della residenza delle due minori, intratteneva plurimi contatti corporei con le stesse attraverso baci sulla guancia, nonostante la minore gli chiedesse di smettere, oltre ad esibire un fallo di plastica con commenti sessualmente equivoci, atti tutti percepiti dalle ragazzine come invasivi e fastidiosi, essendosi in tal modo realizzata la lesione alla integrità psico-fisica delle minori, che il legislatore ha inteso tutelare nella prospettiva di un corretto sviluppo della sessualità del minore, soprattutto se neppure adolescente.

  1. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ex art. 616c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, con condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002artt. 8283, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di tutte le persone indicate nel provvedimento ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003art. 52, perchè previsto dalla legge.

Motivazione semplificata.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

Originally posted 2021-08-16 15:03:53.