SEQUESTRO PER EQUIVALENTE REATI SOCIETARI VICENZA MILANO BOLOGNA PADOVA

SEQUESTRO PER EQUIVALENTE REATI SOCIETARI VICENZA MILANO BOLOGNA PADOVA

LA DIFESA

REATI SOCIETARI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO VENEZIA TREVISO PADOVA ROVIGO
REATI SOCIETARI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO VENEZIA TREVISO PADOVA ROVIGO

Sostiene il ricorrente che la decisione si pone in contrasto con la previsione dell’art. 2641 c.c.. La norma sancisce espressamente il principio di sussidiarietà della confisca di valore rispetto a quella in forma diretta in relazione tanto al prodotto e al profitto del reato quanto ai beni destinati a commetterlo. Non è prevista una disciplina diversa per i beni strumentali. La struttura è identica a quella delle altre disposizioni normative che regolano istituti analoghi, non solo in materia di reati tributari, ma anche nei delitti contro la pubblica amministrazione e nei reati contro il patrimonio; la disciplina diverge solo in relazione all’oggetto materiale dell’apprensione che, nella previsione dell’art. 2641 c.c., comprende oltre al prodotto e al profitto del reato anche i beni strumentali

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Argomenta che il Tribunale del riesame avrebbe confermato la sussistenza delle esigenze cautelari senza valutare in maniera adeguata la concretezza ed attualita’ delle stesse ne’ tenuto conto che l’ordinanza cautelare era stata annullata con riferimento al reato contestato al capo c) dell’imputazione provvisoria; la motivazione sarebbe, poi, apparente in ordine al pericolo di inquinamento probatorio e non terrebbe conto della mancata fissazione della data di scadenza della misura in relazione alle indagini da compiere; il Tribunale, inoltre, avrebbe ritenuto, con motivazione insufficiente, sussistere il pericolo di fuga evincendolo solo dalla gravita’ del titolo di reato per cui si precede.

Il giudice per le indagini preliminari ha negato il sequestro finalizzato alla apposizione di un vincolo sul “profitto”, ritenendo che “un profitto” non fosse configurabile nella specie, mentre ha concesso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente dei “beni utilizzati per la commissione dei reati” nei confronti di: – J.G. per un valore pari ad Euro 4.952.162,36; – L.N. per un valore pari ad Euro 4.952.162,36; – M.G. per un valore pari ad Euro 6.096.929,57 in forma diretta, del denaro nella disponibilità degli indagati e, in subordine, nel caso in cui il patrimonio degli stessi fosse risultato, anche solo in parte, incapiente, nella forma per equivalente, sino alla concorrenza delle somme rispettivamente sopra indicate, dei beni mobili ed immobili. 1.5. Il provvedimento è stato confermato dal Tribunale del Riesame che ha aderito in toto alla ricostruzione fattuale e giuridica del giudice per le indagini preliminari.

SEQUESTRO PER EQUIVALETE REATI SOCIETARI VICENZA MILANO BOLOGNA PADOVA
SEQUESTRO PER EQUIVALETE REATI SOCIETARI VICENZA MILANO BOLOGNA PADOVA

il Tribunale del Riesame di Bari ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente disposto, ai sensi dell’art. 2641 c.c., per l’importo di Euro 4.952.162,36, dal giudice per le indagini preliminari nei confronti di J.G., sottoposto ad indagini per i reati di cui all’art. 2638 c.c. (capo 1) e art. 2622 c.c. (capi 2 e 3). 1.1. Si ipotizza che J.G., quale condirettore della Banca Popolare di Bari s.p.a., società cooperativa per azioni sottoposta per legge a controllo e supervisione delle autorità pubbliche di vigilanza, in concorso con L.N. (responsabile della direzione business) e M.G. (responsabile dell’Internai Audit), abbia ostacolato l’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza demandate alla Banca d’Italia, comunicando falsamente, nella quarta comunicazione trimestrale dell’anno 2015, un ammontare dei fondi propri della banca non corrispondente al vero (art. 2638 c.c., capo 1).

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE Sentenza 4-18 febbraio 2021, n. 6391 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PALLA Stefano – Presidente – Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere – Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere – Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere – Dott. MOROSINI E. M. – rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: J.G., nato a (OMISSIS); avverso l’ordinanza del 29/05/2020 del TRIBUNALE di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MOROSINI Elisabetta Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MIGNOLO Olga, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso e rilevando, inoltre, la tardività dei motivi nuovi depositati in data 3 febbraio 2021. uditi i difensori, avv. Guido Carlo Alleva e Giorgio Perroni, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e dei motivi nuovi, che sono ammissibili, trattandosi di ricorso in materia cautelare. Svolgimento del processo 1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Bari ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente disposto, ai sensi dell’art. 2641 c.c., per l’importo di Euro 4.952.162,36, dal giudice per le indagini preliminari nei confronti di J.G., sottoposto ad indagini per i reati di cui all’art. 2638 c.c. (capo 1) e art. 2622 c.c. (capi 2 e 3). 1.1. Si ipotizza che J.G., quale condirettore della Banca Popolare di Bari s.p.a., società cooperativa per azioni sottoposta per legge a controllo e supervisione delle autorità pubbliche di vigilanza, in concorso con L.N. (responsabile della direzione business) e M.G. (responsabile dell’Internai Audit), abbia ostacolato l’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza demandate alla Banca d’Italia, comunicando falsamente, nella quarta comunicazione trimestrale dell’anno 2015, un ammontare dei fondi propri della banca non corrispondente al vero (art. 2638 c.c., capo 1). Viene ipotizzato, inoltre, a carico del J., nella medesima qualità, il delitto di false comunicazioni sociali, per avere indicato, nel bilancio individuale e consolidato della Banca Popolare di Bari al 31 dicembre 2016 (capo 2) e al 31 dicembre 2017 (capo 3), valori non rispondenti al vero in ordine al possesso di azioni ed obbligazioni proprie e, dunque, al patrimonio netto (e di vigilanza), omettendo di dedurre dal capitale l’acquisto di titoli propri del medesimo istituto di credito, acquistati mediante la concessione di molteplici finanziamenti direttamente e/o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie. Per i medesimi titoli di reato sono elevati a cado della Banca Popolare di Bari (BPB) la contestazione di illeciti amministrativi derivanti dai predetti reati (capi 4, 5 e 6). 1.2. In sintesi J.: – nelle prime settimane del 2016 – pur avendo ricevuto comunicazione degli esiti parziali di una verifica interna condotta dall’Internai Audit sui fondi propri della banca, in cui veniva segnalata l’avvenuta concessione di molteplici finanziamenti direttamente e/o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie, complessivamente incidenti sui fondi propri della Popolare, in negativo, per 48,9 milioni di Euro al 31 dicembre 2015 – aveva omesso di provvedere alla dovute rettifiche ai fondi propri della banca, così determinando l’inoltro alla Banca d’Italia di una comunicazione trimestrale sovrastimata; – in tale ambito faceva sì che venissero concessi finanziamenti in favore di specifici clienti (secondo lo schema riportato nel capo 1 di addebito provvisorio), mediante mezzi fraudolenti consistenti in una operazione negoziale, realizzata attraverso una serie di atti collegati: una parte del credito concesso veniva destinata all’acquisto di azioni e titoli BPB, con la sottoscrizione contestuale di un mandato irrevocabile a vendere le azioni e i titoli stessi, così destinando, di fatto, le azioni (e il relativo controvalore) a garanzia del finanziamento concesso, con possibilità, da parte dell’istituto di credito, di escutere detta garanzia di propria iniziativa. 1.3. Secondo l’ipotesi accusatoria da tali reati sarebbe derivato un profitto, quantificato in Euro 19.593.000,00 per J.G. e L.N., in Euro 26.453.000,00 per M.G.. Inoltre sarebbero individuabili beni destinati alla commissione dei reati, rappresentati dal corrispettivo delle azioni proprie finanziate mediante operazioni cd. “baciate”, attraverso la conclusione di contratti negozialmente collegati con mandati irrevocabili a vendere, nella misura di Euro 4.952.162,36 per J.G. e L.N., di Euro 6.096.929,57 per M.G.. Su tali presupposti, l’organo di accusa aveva inoltrato al giudice per le indagini preliminari richiesta di sequestro preventivo, ex art. 321 c.p.p., comma 2, finalizzato alla confisca diretta e per equivalente, ai sensi dell’art. 2641 c.c., del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo, in ragione degli importi sopra indicati. La parte pubblica non aveva formulato, invece, istanze cautelari nei confronti dell’ente, in ragione dell’intervenuto commissariamento dello stesso da parte dello Stato, pur mantenendo ferme le contestazioni degli illeciti amministrativi sopra richiamati (capi 4, 5 e 6). 1.4. Il giudice per le indagini preliminari ha negato il sequestro finalizzato alla apposizione di un vincolo sul “profitto”, ritenendo che “un profitto” non fosse configurabile nella specie, mentre ha concesso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente dei “beni utilizzati per la commissione dei reati” nei confronti di: – J.G. per un valore pari ad Euro 4.952.162,36; – L.N. per un valore pari ad Euro 4.952.162,36; – M.G. per un valore pari ad Euro 6.096.929,57 in forma diretta, del denaro nella disponibilità degli indagati e, in subordine, nel caso in cui il patrimonio degli stessi fosse risultato, anche solo in parte, incapiente, nella forma per equivalente, sino alla concorrenza delle somme rispettivamente sopra indicate, dei beni mobili ed immobili. 1.5. Il provvedimento è stato confermato dal Tribunale del Riesame che ha aderito in toto alla ricostruzione fattuale e giuridica del giudice per le indagini preliminari. 2. Avverso il provvedimento ricorre J.G., tramite i difensori, articolando un unico motivo con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), l’inosservanza dell’art. 2641 c.c. e art. 321 c.p.p., comma 2, con riferimento al punto in cui i giudici di merito hanno ritenuto legittimo il sequestro preventivo dei beni di J. di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato, senza aver verificato, prima, la capienza dell’ente indagato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, ed eventualmente esperito nei confronti di quest’ultimo il sequestro in forma diretta di tali beni strumentali. 2.1. Il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro in forma diretta del denaro nella disponibilità di J. fino alla concorrenza di 4,952 milioni di Euro, nonchè, in subordine, in caso di incapienza del patrimonio, nella forma per equivalente dei beni mobili e immobili nella disponibilità dell’indagato. In esecuzione di tale provvedimento, sono stati sottoposti a vincolo cautelare tutti i conti correnti e i rapporti finanziari nella disponibilità di J., nonchè, nella forma “per equivalente”, i beni immobili da lui posseduti, come risulta dal verbale di sequestro allegato al ricorso. 2.2. In sede di riesame l’imputato aveva lamentato la violazione del principio di sussidiarietà da parte del giudice per le indagini preliminari, il quale aveva disposto il sequestro dei beni dell’indagato di valore equivalente a quelli “strumentali”, senza prima accertare la possibilità di sottoporre a sequestro in forma diretta i beni utilizzati per commettere il reato (vale a dire una somma di denaro- bene fungibile rispetto al quale la confisca è sempre diretta – di valore corrispondente a quello utilizzato per finanziare l’asserito acquisto di azioni proprie) nei confronti della Banca Popolare di Bari, che dal reato aveva tratto vantaggio. 2.3. Il Tribunale del riesame ha respinto la censura sul rilievo che la regola di sussidiarietà individuata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione concerne il sequestro del profitto dei reati tributari e non si applica nella fattispecie in rassegna avente ad oggetto, invece, i beni utilizzati per la commissione di reati societari. 2.4. Sostiene il ricorrente che la decisione si pone in contrasto con la previsione dell’art. 2641 c.c.. La norma sancisce espressamente il principio di sussidiarietà della confisca di valore rispetto a quella in forma diretta in relazione tanto al prodotto e al profitto del reato quanto ai beni destinati a commetterlo. Non è prevista una disciplina diversa per i beni strumentali. La struttura è identica a quella delle altre disposizioni normative che regolano istituti analoghi, non solo in materia di reati tributari, ma anche nei delitti contro la pubblica amministrazione e nei reati contro il patrimonio; la disciplina diverge solo in relazione all’oggetto materiale dell’apprensione che, nella previsione dell’art. 2641 c.c., comprende oltre al prodotto e al profitto del reato anche i beni strumentali. 2.5. La vicenda di Veneto banca, concernente il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in ordine al reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza ex art. 2638 c.c., è diversa da quella in rassegna, poichè, in quel caso, l’ente è stato ritenuto estraneo al reato, in forza di una specifica motivazione resa sul punto dal Tribunale del Riesame (Sez. 5, n. 42778 del 26 maggio 2017), al contrario, nel caso in esame, la Banca popolare di Bari non può definirsi “terza estranea”, dato che viene chiamata a rispondere ai sensi della L. n. 231 del 2001. 2.6. Circa la capienza dell’istituto di credito, il ricorrente precisa che la sottoposizione dell’ente a procedura concorsuale non sarebbe di ostacolo al sequestro dei beni in forma diretta, come stabilito dalla terza sezione penale con sentenza n. 36428 del 2019 (conf. Sez. 5, n. 5400 del 21 gennaio 2020). Segnala, poi, che l’intervenuto commissariamento non giustificava la scelta della Procura di non escutere in via diretta il patrimonio dell’ente, dato che l’attività di intermediazione creditizia era sempre proseguita regolarmente, anche dopo la sottoposizione dell’istituto di credito alla procedura di amministrazione straordinaria; procedura, che, peraltro, dovrebbe essersi conclusa il 15 ottobre 2020, con il conseguente ritorno in bonis dell’istituto di credito. 2.7. In conclusione, l’aver disposto il sequestro per equivalente sui beni del ricorrente senza aver preliminarmente vagliato la possibilità di rinvenire e conseguentemente apprendere in via diretta i beni strumentali al reato in seno alla Banca Popolare di Bari nel cui interesse e a vantaggio della quale i reati societari sono stati commessi, violerebbe il principio di sussidiarietà che regola i rapporti tra le due tipologie di sequestro contemplate dall’art. 321 c.p.p., comma 2 e art. 2641 c.c.. 3. Con memoria trasmessa in data 3 febbraio 2021, tramite posta elettronica certificata, i difensori del ricorrente hanno proposto un motivo nuovo con il quale lamentano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inosservanza dell’art. 2641 c.p. e art. 321 c.p.p., comma 2, in relazione al punto in cui è stato ritenuto legittimo il sequestro preventivo disposto nei confronti di J. senza aver prima esperito nei confronti della Banca Popolare di Bari il sequestro in forma diretta dei beni utilizzati per commettere il reato. 3.1. “Beni utilizzati per commettere il reato” sono stati individuati nel “valore in denaro dei finanziamenti garantiti dai mandati a vendere”. Secondo il chiaro disposto dell’art. 2641 c.c., vige anche in relazione ai beni strumentali la regola della sussidiarietà, come stabilito dalla Corte di cassazione (Sez. 5., n. 54254 del 30 maggio 2018). Il che significa che, anche nell’ambito dei reati societari, prima di procedere alla confisca di valore, occorre verificare se i beni utilizzati per commettere il reato siano ancora fisicamente rintracciabili e, dunque, suscettibili di apprensione anticipata in via diretta. La confisca diretta è misura ripristinatoria; essa opera indipendentemente dalla contestazione di un illecito amministrativo dipendente da reato; l’unico limite che si frappone alla esperibilità della confisca in forma diretta nei confronti di soggetti diversi dall’autore del reato è costituito dalla estraneità di questi ultimi al reato stesso. 3.2. La Banca Popolare di Bari non può considerarsi “terza estranea” al reato in quanto: viene chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-ter; già nella prima richiesta cautelare reale (respinta dal giudice per le indagini preliminari) la Procura della Repubblica aveva ritenuto che i reati fossero stati posti in essere nell’interesse e a vantaggio della Banca la quale aveva ottenuto, da un lato, la sottoscrizione integrale degli aumenti di capitale e, dall’altro, la rappresentazione di una situazione patrimoniale più solida rispetto a quella effettiva così da poter proseguire nella sua attività di impresa ed aumentare la sua concreta operatività; che, anche nella seconda richiesta cautelare (parzialmente accolta), la parte pubblica aveva evidenziato, sulla scorta delle osservazioni del consulente tecnico del Pubblico ministero, i vantaggi ingiusti conseguiti dalla Banca: allargamento e consolidamento dell’assetto proprietario, ingiustificato sovradimensionamento delle proprie capacità operative, minor impegno patrimoniale del cd. fondo acquisto azioni proprie (con conseguente liberazione di risorse economiche per l’attività caratteristica), sistematica acquisizione di un genere di garanzia dei finanziamenti erogati (mandati a vendere) della quale la stessa Banca Popolare di Bari governava in via esclusiva i processi di negoziazione e di formazione del prezzo. 3.3. Nella fattispecie in rassegna è pacifico che: i finanziamenti assistiti da mandati a vendere (beni strumentali) sono stati erogati utilizzando risorse della Banca; nessuno di tali finanziamenti è confluito nel patrimonio personale di J.G.; casomai, nella prospettiva dei giudici di merito, tali finanziamenti sarebbero entrati nel patrimonio dei clienti (neppure essi qualificabili come soggetti estranei ai reati avendo ricevuto liquidità). Da ciò il ricorrente trae la conclusione che soltanto i fondi della Banca sarebbero riconducibili alla nozione di beni utilizzati per commettere il reato societario oggetto di addebito e, dunque, soltanto i fondi della Banca sarebbero sottoponibili a sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, dovendosi peraltro escludere l’eventualità, neppure rappresentata, che la Banca costituisse “schermo fittizio”. Opera il principio, delineato in tema di reati tributari, secondo cui il sequestro di denaro presso il legale rappresentante della società nel cui interesse sono stati commessi i reati e che non sia uno “schermo fittizio” deve sempre essere considerato quale sequestro per equivalente, di talchè il sequestro preventivo impugnato dovrebbe essere annullato nella sua interezza, poichè anche laddove formalmente dispone nei confronti di J. il sequestro prodromico alla confisca diretta, si sostanzierebbe, in realtà, in un sequestro “per equivalente”. 3.4. Infine si ribadisce che la Banca Popolare di Bari dispone di risorse finanziarie. Motivi della decisione 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 2. Il Tribunale del riesame ha respinto l’eccezione di sussidiarietà ritenendo che il relativo principio operasse solo con riferimento al sequestro del profitto nei reati tributari. Questa impostazione giuridica è errata e dà luogo al vizio di violazione di legge denunciato dal ricorrente. Per definire con chiarezza i contorni della questione, occorre inquadrare l’istituto processuale in rilievo. 2.1. Il sequestro preventivo è stato disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, in funzione della successiva confisca obbligatoria prevista, per i reati societari (nella specie artt. 2638 e 2622 c.c.), dall’art. 2641 c.c., secondo cui: “In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo” (comma 1). “Quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione dei beni indicati nel comma 1, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente” (comma 2). “Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell’art. 240 c.p.” (comma 3). 2.2. L’art. 2641 c.c., condivide la medesima struttura e formulazione di altre norme presenti nel codice penale e nelle leggi speciali in materia di confisca. Si pensi, nel codice penale, all’art. 322 ter c.p., art. 600 septies, art. 640 quater, art. 644, u.c., art. 648 quater, oppure, nelle leggi speciali, agli istituti previsti dalla L. n. 146 del 2006, art. 11, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 bis, fino alla confisca di cui all’art. 187 t.u.f., che si sviluppa secondo una scansione e una formulazione identiche a quelle dell’art. 2641 c.c.. Si differenzia solo l’oggetto dell’apprensione (prezzo, profitto, prodotto, beni strumentali) secondo una ragionevole scelta del legislatore derivante dalla tipologia di illecito e dalle relative caratteristiche, il che spiega la rilevata identità tra il disposto dell’art. 2641 c.c. e quello dell’art. 187 TUF. 2.2.1 Mutuando quanto osservato dalle Sezioni Unite Lucci sull’art. 322 ter c.p., può affermarsi che la confisca “diretta” ha natura di misura di sicurezza e attrae prezzo, prodotto, profitto del reato o beni utilizzati per commetterlo “all’interno di un nucleo per così dire unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante” in un’ottica di prevenzione, (così Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, in motivazione). Essa postula la verifica sulla esistenza di un prodotto, profitto, prezzo del reato o dei beni strumentali e la individuazione dei beni, delle somme di denaro o delle altre utilità da apprendere. Con la precisazione che qualora prodotto, profitto, prezzo o beni strumentali siano costituiti da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, Lucci, cit. Rv. 264437). 2.2.2 La confisca “per equivalente” o “di valore” è azionabile, in via subordinata, ove la confisca diretta non sia attuabile. Sulla natura della confisca per equivalente si è pronunciata la Corte costituzionale che ha affermato trattarsi di misura che attinge beni non intrinsecamente pericolosi e che non sono in rapporto di diretta pertinenzialità con il reato per cui si procede, il che esclude la riconducibilità dell’istituto alla categoria delle misure di sicurezza e consente di assegnare alla misura ablatoria una connotazione prevalentemente afflittiva e una natura “eminentemente sanzionatoria” (Corte costituzionale n. 97 del 2009). Su questa scia si è posta la giurisprudenza di legittimità secondo cui la confisca di valore o per equivalente “viene ad assolvere una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza (ex plurimis, Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037; Sez. 3, n. 18311 del 06/03/2014, Cialini, Rv 259103; Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164). E’ evidente, infatti, che, essendo la confisca di valore parametrata al profitto, prezzo, prodotto, beni strumentali dell’illecito solo da un punto di vista “quantitativo”, l’oggetto della ablazione finisce per essere rappresentato direttamente da una porzione del patrimonio, il quale, in sè, non presenta alcun elemento di collegamento col reato; il che consente di declinare la funzione della misura in chiave “marcatamente sanzionatoria” (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, in motivazione che richiama al riguardo anche l’ordinanza n. 97 del 2009 della Corte costituzionale, nonchè la sentenza della Corte EDU Welch c. Regno Unito del 9 febbraio 1995). 2.2.3. In estrema sintesi la confisca “diretta” si dirige “in prima battuta” verso i beni che presentano una derivazione causale dal reato e che dunque vengono appresi ovunque si trovino anche se detenuti o posseduti o acquisiti da terzi, se non estranei al reato. Quindi è preminente la componente dell'”oggetto” della confisca, mentre rimane in secondo piano quella del “soggetto” che viene privato del bene (persona fisica o giuridica, non necessariamente sottoposta a procedimento penale), salvo che si tratti di persona estranea al reato. La confisca di valore viene in rilievo solo in via subordinata, quando la confisca diretta non sia possibile. Essa riguarda beni di provenienza lecita, non connessi al reato, che sono sottoposti a vincolo solo per il controvalore dei beni causalmente collegati al reato che, per varie ragioni, non sono escutibili. Quindi è prevalente la componente “soggettiva”, nel senso che la confisca si rivolge al patrimonio dell’indagato, imputato, condannato, mentre l’oggetto rimane in secondo piano, perchè assume rilievo solo come “tantundem”. In questo senso deve essere interpretato e inteso il “principio di sussidiarietà” (preferibile all’espressione beneficium excussionis che evoca concetti e categorie civilistiche di altra natura), tenendo presente che l’impossibilità del reperimento dei beni può essere transitoria e reversibile, purchè sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni (cfr. per tutte Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648). Va ulteriormente rammentato che è legittimo il decreto di sequestro preventivo che presenti una struttura “mista”, prevedendo, in parte, la sottoposizione a vincolo a titolo di sequestro diretto e, in parte, a titolo di sequestro per equivalente, salva la necessità, nel secondo caso, di predeterminare, già con il provvedimento genetico, il valore del compendio assoggettabile alla cautela (Sez. 3, n. 38858 del 14/06/2016, Fiusco, Rv. 267631). 2.3. L’art. 2641 c.c., individua, dunque, due diverse tipologie di confisca: la confisca “diretta” (misura di sicurezza) del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo; la confisca “per equivalente” (misura a contenuto eminentemente sanzionatorio) per un valore corrispondente a prodotto, profitto, beni strumentali. La medesima norma sancisce il rapporto di sussidiarietà della confisca di valore (del prodotto, profitto, beni strumentali) rispetto alla confisca diretta che deve essere esperita in via prioritaria (cfr. in motivazione Sez. 5, n. 54524 del 30/05/2018, Urgheghe, sul tema analogo del sequestro anticipatorio della confisca ex art. 187 TUF); il ricorso alla confisca di valore è consentito solo nel caso di impossibilità (come sopra intesa, cfr. Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648) di “individuare” o “apprendere” i beni costituenti prodotto, profitto o strumento del reato, che, dato il rapporto causale diretto con il reato, vanno sottoposti a vincolo ovunque si trovino, presso gli indagati/imputati o presso terzi (persone fisiche o giuridiche), ad eccezione dei terzi estranei al reato (in tal senso va letto il richiamo all’art. 240 c.p., sul punto cfr. infra, paragrafo 2.4.). Il “prodotto” del reato è il risultato materiale della condotta criminosa in immediato e diretto legame causale con la stessa. Il “profitto” è il risultato economico vantaggioso tratto dalla realizzazione del reato. Quanto infine ai “beni utilizzati” per commettere l’illecito, va osservato che la nozione di “beni” è più ampia di “cose”, comprendendo anche il denaro e che l’impiego del termine “utilizzati” fa riferimento a ciò che è stato effettivamente impiegato per commettere l’illecito, concetto da cui rimangono estranei i beni soltanto “destinati” a commetterlo (cfr. art. 240 c.p.). Secondo quanto osservato dalla Corte Costituzionale in tema di abusi di mercato (sent. n. 112 del 2019), i “beni utilizzati” per commettere l’illecito “lungi dal poter essere identificati nei tradizionali instrumenta sceleris, in genere rappresentati da cose intrinsecamente pericolose se lasciate nella disponibilità del reo (…) non possono che consistere nelle somme di denaro” o negli strumenti finanziari impiegati nel negozio illecito. In particolare la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che costituiscono “beni utilizzati per commettere il reato” di cui all’art. 2638 c.c., confiscabili ai sensi dell’art. 2641 c.c., i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l’acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto, finalizzati a rappresentare una realtà economica del patrimonio di vigilanza dell’ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli, Rv. 271440). 2.4. L’art. 2641 c.c., comma 3, nel rinviare alla disciplina generale dettata dall’art. 240 c.p., ha inteso esplicitare l’esclusione, dall’oggetto della confisca, delle cose possedute dalla “persona estranea al reato”. E’ pacifico che l’ente che trae profitto dall’altrui condotta illecita non può mai essere considerato terzo “estraneo” al reato (cfr. per tutte Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647; da ultimo, Sez. 3, n. 17840 del 05/12/2018, dep. 2019, Limetti, Rv. 275599 – 02). 3. L’applicazione di tali principi al caso in rassegna, conduce a ritenere fondate le censure svolte dal ricorrente circa l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 321 c.c., comma 2 e art. 2641 c.c., con le seguenti precisazioni. 3.1. Il giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 2641 c.c., dei beni utilizzati per la commissione dei reati di cui agli artt. 2638 e 2622 c.c., nei confronti di J.G.: – in via diretta di somme di denaro di importo pari a Euro 4.952.162,36; – in via sussidiaria, qualora il patrimonio dell’indagato fosse risultato, anche in parte, incapiente, nella forma per equivalente dei beni mobili ed immobili nella disponibilità di J.G., sino alla concorrenza della somma sopra indicata. 3.1.1. Va subito chiarito che: – il sequestro in esame presenta una struttura “mista” (cfr. Sez. 3, n. 38858 del 14/06/2016, Fiusco, Rv. 267631, sopra cit.); – si discute soltanto della parte concernente il sequestro preordinato alla confisca di valore; – la parte in cui viene disposto il sequestro prodromico alla confisca “diretta” dei beni strumentali alla commissione del reato non ha formato oggetto di impugnazione con il ricorso principale e dunque esso non è stato devoluto alla cognizione del giudice di legittimità. 3.1.2. Questi dati sono stati pacifici anche per il ricorrente alla luce del tenore del ricorso principale. In esso il ricorrente dà atto, espressamente, che il sequestro è stato disposto “in forma diretta” sul denaro nella disponibilità di J.G. limitatamente alle somme costituenti il corrispettivo delle azioni proprie finanziate con la parallela conclusione di contratti di mandati irrevocabili a vendere e, in subordine, in caso di incapienza del patrimonio, “per equivalente” (pag. 7 ricorso); il medesimo ricorrente, nell’illustrare l’esecuzione del decreto, precisa che sono stati sottoposti a sequestro tutti i conti correnti e i rapporti finanziari nella disponibilità dell’indagato, “nonchè – nella forma per equivalente – dei beni immobili da lui posseduti” (pagg. 7 e 8 ricorso). 3.1.3. Solo con i motivi nuovi il ricorrente “aggiusta il tiro”, sostenendo che l’intero decreto di sequestro sarebbe nella sostanza per equivalente e, quindi, afferma di volerlo impugnare in toto, ma incorre in una preclusione. Secondo ius receptum, in tema di impugnazioni, il principio generale concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non è derogato nell’ambito del ricorso per cassazione contro provvedimenti cautelari (personali o reali), e l’unica diversità rispetto alla ordinaria disciplina attiene al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è quello di quindici giorni prima dell’udienza ma è spostato all’inizio della discussione (Sez. 2, n. 15693 del 08/01/2016, Campiso, Rv. 266441; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Uda, Rv. 266295). Ne consegue che al ricorrente è inibito impugnare, con i motivi nuovi, un punto del provvedimento non colpito dal ricorso principale. 3.1.4. Ergo questo collegio non può pronunciarsi su quella parte del decreto concernente il sequestro finalizzato alla confisca “diretta”, nè può sondarne la effettiva natura. 3.2. Il Tribunale ha ritenuto infondata la eccezione di sussidiarietà sul rilievo che le pronunce della Corte di cassazione – richiamate dalla difesa “a cominciare dalla nota S.U. Gubert”, che affermano il principio per cui l’impossibilità del reperimento dei beni e valori costituenti il “profitto” del reato è condizione necessaria per procedere al sequestro finalizzato alla confisca “per equivalente” – concernono il profitto dei reati tributari “quindi di ipotesi sotto due riversi profili diverse ad quella di cui ci si occupa” (pag. 58 ordinanza impugnata); aggiunge inoltre il Tribunale che “è appena il caso di osservare che, sebbene a carico della BPB sia stato contestato l’illecito amministrativo D.Lgs. n. 231 del 2001, ex artt. 5 e 25 ter, è quanto meno dubbio che le operazioni baciate abbiano apportato un duraturo vantaggio economico alla banca, traducendosi in un annacquamento del capitale sociale foriero di conseguenze negative nel medio-lungo periodo sotto il profilo della solidità complessiva dell’istituto di credito. Non è un caso che l’AD Papa nell’appunto da sottoporre alla verifica di G.I. e Ferro ipotizzasse l’intervento di sponsor esterni per risolvere la situazione” (pag. 58 ordinanza impugnata). 3.3. Questa decisione si fonda su una impostazione giuridica errata, che deve essere rivista alla luce dei principi sopra delineati al paragrafo 2. Mentre è solo abbozzato, come mero argomento di sostegno, quello della possibile estraneità dell’ente al reato; argomento che, però, non è in grado di sorreggere da solo la pronuncia, per il modo, ipotetico e generico, in cui è formulato. 3.4. Esigenze di chiarezza impongono ulteriori precisazioni. 3.4.1. Se la struttura “mista” del sequestro deve ritenersi legittima, la legittimità dipende, però, dalla condizione di sussidiarietà tracciata nel decreto stesso, che, in astratto, non può dipendere dalla ricerca “diretta” dei beni strumentali limitata al patrimonio dell’indagato e alla relativa incapienza; mentre, in concreto, potrà atteggiarsi nei modi ritenuti conformi alle peculiari caratteristiche della fattispecie che devono essere analiticamente illustrate e spiegate. Questo significa che il Tribunale del riesame non potrà esimersi dal motivare specificamente perchè quei beni strumentali se non reperiti presso l’indagato non possano trovarsi presso altri e dunque non avrebbe senso ricercarli altrove di talchè una volta verificato che non si trovano presso l’indagato può per ciò solo farsi ricorso alla confisca per equivalente; 3.4.2. In questo ambito e nell’ottica del principio di sussidiarietà, è irrilevante l’assenza di una richiesta cautelare del Pubblico ministero finalizzata al sequestro verso l’ente ex L. n. 231 del 2001. Poichè il regime di operatività del sequestro preventivo penale e la connessa possibilità di vincolare “in via diretta” beni strumentali presenti nel patrimonio della persona giuridica sono del tutto slegati da una eventuale richiesta cautelare ai sensi della L. n. 231 del 2001. La scelta del Pubblico ministero di non formulare istanza cautelare reale per la responsabilità amministrativa dell’ente non si riverbera sul meccanismo di sussidiarietà di cui all’art. 2641 c.c. e art. 321 c.p.p., comma 2, tanto è vero che quel meccanismo opera, pacificamente, anche nei casi di reati per i quali non è prevista la responsabilità dell’ente. Giova ripetere che la confisca diretta (e il sequestro prodromico ad essa) si appunta su un “dato oggettivo” (prodotto, profitto, beni strumentali) e cerca questo oggetto ovunque si trovi e presso chiunque lo detenga, data la derivazione causale diretta dal reato e la funzione di prevenzione svolta dalla misura di sicurezza. Di contro la confisca di valore (e il sequestro prodromico) riguarda beni leciti del patrimonio dell’autore del reato (o comunque, in sede cautelare, del soggetto raggiunto da seri indizi di collegamento con il reato) che vengono assoggettati a vincolo per un valore equivalente a quelli, non reperiti, oggetto di confisca diretta. 4. Discende l’annullamento del provvedimento impugnato relativamente al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 2641 c.c.. Il processo deve essere rinviato al Tribunale del riesame di Bari che, alla luce del principio di sussidiarietà operante anche nella ipotesi disciplinata dall’art. 2641 c.c., verificherà, in concreto, la sussistenza o meno dei presupposti di fatto legittimanti il ricorso al sequestro prodromico alla confisca per equivalente. Va ribadito che, in difetto di impugnazione sul punto, il decreto impugnato ha stabilizzato i propri effetti quanto al profilo del sequestro prodromico alla confisca diretta. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata relativamente al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale del riesame di Bari. Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2021. Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021.

Originally posted 2022-05-28 17:04:22.