Condanna per spaccio, patteggiamento

CONDANNA PER SPACCIO BOLOGNA
Argomenta che il Tribunale del riesame avrebbe confermato la sussistenza delle esigenze cautelari senza valutare in maniera adeguata la concretezza ed attualita’ delle stesse ne’ tenuto conto che l’ordinanza cautelare era stata annullata con riferimento al reato contestato al capo c) dell’imputazione provvisoria; la motivazione sarebbe, poi, apparente in ordine al pericolo di inquinamento probatorio e non terrebbe conto della mancata fissazione della data di scadenza della misura in relazione alle indagini da compiere; il Tribunale, inoltre, avrebbe ritenuto, con motivazione insufficiente, sussistere il pericolo di fuga evincendolo solo dalla gravita’ del titolo di reato per cui si precede.

SPACCIO EX ART 73 LEGGE 309/90 .sentenza costituzionale n, 32 del 2014 che ha caducato la normativa del 2006, ripristinando quella originaria di otto anni di’ reclusione.SPACCIO ARRESTO BOLOGNA

PATTEGGIAMENTO BOLOGNA AVVOCATO SPACCIO ARRESTO BOLOGNA

LA CASSAZIONE ANNULLA SU RICORSO PROCURATORE GENERALE UN PATTEGGIAMENTO CHE NON HA TENUTO CONTO DELLA SENTENZA costituzionale n, 32 del 2014

l’articolo 4 bis aveva riscritto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, eliminando la distinzione sul piano sanzionatorio, prevista dalla disciplina previgente, tra le sostanze stupefacenti incluse in differenti tabelle; ed introducendo un trattamento punitivo unitario che si e’ risolto nella diminuzione delle sanzioni previste per le cosiddette droghe “pesanti” e nell’incremento di quelle previste per le cosiddette droghe “leggere”. La caducazione della norma in questione comporta che, come espressamente enunciato dalla Corte costituzionale, tornano a ricevere applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni caducate.
La conseguenza e’, per quel che qui interessa, che dalla data di pubblicazione della detta sentenza costituzionale rivive il piu’ severo apparato sanzionatorio precedentemente previsto per la cocaina (reclusione da 8 a 20 anni e multa da 25.882 a 258.228 Euro).

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. 4 PENALE – SENTENZA N. 40094 DEL 5.10.2015

“MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Milano ha applicato la pena ex articolo 444 c.p.p., nei confronti degli imputati in epigrafe in ordine al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 afferente a 702 grammi di cocaina, commesso il (OMISSIS).
2. Ricorre per cassazione il Procuratore generale. La pena e’ illegale, essendo stata determinata in sei anni di reclusione e 27,00 euro di multa sebbene il fatto sia successivo alla sentenza costituzionale n, 32 del 2014 che ha caducato la normativa del 2006, ripristinando quella originaria di otto anni di’ reclusione.
3. Il ricorso e’ fondato. La sentenza impugnata ha in effetti determinato la pena base nella misura di 6 anni di reclusione e 27.000 euro di multa, che e’ illegale. Come dedotto dal ricorrente, il fatto e’ del (OMISSIS) e quindi successivo alla richiamata sentenza costituzionale, emessa l’11 febbraio 2014 e pubblicata il successivo 5 marzo, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articoli 4 bis e 4 vicier convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, articolo 1, comma 1.
In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto legge, difettino manifestamente di ogni connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto legge, e debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell’articolo 77 Cost., comma 2.

 

Rileva, in particolare, che l’articolo 4 bis aveva riscritto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, eliminando la distinzione sul piano sanzionatorio, prevista dalla disciplina previgente, tra le sostanze stupefacenti incluse in differenti tabelle; ed introducendo un trattamento punitivo unitario che si e’ risolto nella diminuzione delle sanzioni previste per le cosiddette droghe “pesanti” e nell’incremento di quelle previste per le cosiddette droghe “leggere”. La caducazione della norma in questione comporta che, come espressamente enunciato dalla Corte costituzionale, tornano a ricevere applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni caducate.
La conseguenza e’, per quel che qui interessa, che dalla data di pubblicazione della detta sentenza costituzionale rivive il piu’ severo apparato sanzionatorio precedentemente previsto per la cocaina (reclusione da 8 a 20 anni e multa da 25.882 a 258.228 Euro).
Dunque, conclusivamente, la pena e’ illegale e la sentenza va quindi annullata senza rinvio.

https://avvocato-penalista-bologna.it/reato-di-spaccio-arresto-per-spaccio-bologna-cesena-forli-ravenna-avvocato-penalista-difende/
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Art. 73 c. 5 D.P.R. 309/90: i fatti di lieve entità SPACCIO ARRESTO BOLOGNA

Il legislatore nel 2013 è intervenuto sull’articolo 73 D.P.R. 309/90, con il D.L. n. 146/2013, modificando in primis la cornice edittale di riferimento, ed in secundis riconoscendo il comma 5 del predetto articolo quale fattispecie autonoma di reato, invertendo la precedente rotta che lo concepiva quale mera circostanza attenuante. Orbene, al comma 5 è prevista la riduzione della pena (reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329) se la condotta criminosa, per i mezzi, le modalità o le circostanze ovvero per la quantità e qualità delle sostanze, è di lieve entità. La Corte di Cassazione ha chiarito, con sentenza n. 13982/2018, i criteri di distinzione tra un fatto “lieve” ed un fatto rientrante nella fattispecie di cui all’art 73.

 

per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, quali cocaina, in misura corrispondente a 245 dosi medie, ed hashish, dal cui quantitativo erano ricavabili 19 dosi medie,

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Sentenza 9 aprile 2021, n. 13272 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio – Presidente – Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere – Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere – Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere – Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: T.E., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza in data 28.5.2020 della Corte di Appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GALTERIO Donatella; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Svolgimento del processo 1.Con sentenza in data 28.5.2020 la Corte di Appello di Roma ha confermato la penale responsabilità di T.E. per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, quali cocaina, in misura corrispondente a 245 dosi medie, ed hashish, dal cui quantitativo erano ricavabili 19 dosi medie,

 

 

ma avendo ritenuto non applicabile la recidiva ha riformato la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio riducendo la pena inflittagli a quattro anni di reclusione ed Euro 17.333 di multa. 2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la mancata riqualificazione del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il cui diniego risulta disancorato dalle risultanze istruttorie. Nel sottolineare come fosse stato dimostrato che l’imputato era un assiduo assuntore di entrambe le sostanze stupefacenti rinvenute in suo possesso, peraltro fumatore e non soltanto inalatore di cocaina e quindi bisognoso per le sue esigenze personali di ingenti quantitativi, lamenta la manifesta illogicità della valutazione dell’elemento quantitativo che pretermette del tutto la condizione personale del T., così come delle sue risorse economiche che gli permettevano di fronteggiare ampiamente il suo fabbisogno. A tale rilievo la difesa aggiunge altresì quello del travisamento della prova per avere la Corte di Appello ritenuto che la droga si presentasse pronta per essere destinata alla cessione, laddove dal verbale di arresto in flagranza risultava che la cocaina da costui trasportata fosse stata rinvenuta in un unico involucro, senza essere suddivisa in dosi. 2.2. Con il secondo motivo contesta, invocando il vizio motivazionale, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in ragione delle modalità dell’azione e del quantitativo rinvenuto che darebbero conto di un’organizzazione seriale, senza che tale conclusione risulti supportata da alcun elemento, tenuto peraltro conto che l’arresto dell’imputato non era avvenuto a seguito di una preordinata attività di indagine ma in modo del tutto casuale. Sostiene in ogni caso che l’esistenza di pregresse condanne non poteva di per sè ritenersi ostativa al riconoscimento del beneficio trattandosi di precedenti risalenti nel tempo e non specifici, così come neppure poteva ritenersi di per sè preclusiva la gravità del fatto, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, lamentando pertanto la mancanza di adeguata motivazione che avrebbe imposto di considerare altresì la corretta condotta processuale del prevenuto ed lo svolgimento da parte di costui di regolare attività lavorativa. Motivi della decisione 1. Il primo motivo non può ritenersi fondato. Le censure articolate dalla difesa appaiono meramente reiterative di quelle dispiegate con l’atto di appello, cui risulta essere stata data esaustiva ed articolata risposta sin dalla sentenza di primo grado che si fonde, attesa la doppia conforme valutazione di responsabilità, in un unico corpo motivazionale con quella impugnata senza che le contestazioni oggetto della presente impugnativa superino i puntuali rilievi svolti dal Tribunale. Va in primo luogo rilevato che nella valutazione del dato quantitativo non risulta affatto essere stata pretermessa la condizione di assuntore personale rivestita dal ricorrente, ma è stato posto l’accento sul fatto che l’entità delle sostanze stupefacenti rinvenute in suo possesso, in relazione al dato ponderale e al numero di dosi ricavabili da ciascuna di esse (245 per la cocaina e 19 per l’hashish), fosse ampiamente superiore al suo fabbisogno personale e comunque con esso non compatibile, avuto riguardo al prezzo pagato per il loro acquisto, pari a 2.000 Euro, ed alle risorse economiche del T. che poteva contare su uno stipendio di appena 1.400 Euro mensili, senza che fosse stata raggiunta la prova di introiti ulteriori, da cui andava detratto l’importo di 700 Euro per l’affitto della sua abitazione, oltre alle spese per il mantenimento personale. Su queste premesse, del resto neppure oggetto di esplicita contestazione, appuntandosi il motivo in esame sulla riqualificazione del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, si radica il ragionamento seguito dalla Corte territoriale che evidenzia, in uno alla sentenza di primo grado, come le modalità della condotta fossero rivelatrici di un’attività di smercio degli stupefacenti niente affatto marginale: la circostanza che il prevenuto portasse occultato sulla sua persona il panetto di cocaina avvolto con del nastro adesivo di colore nero, particolare questo che i giudici di merito ritengono indicativo della provenienza della sostanza dalla sua abitazione dove era stato rinvenuto un rotolo dello stesso nastro unitamente ad un bilancino di precisione e vario materiale per il confezionamento, la detenzione insieme al panetto di una lama riposta in una tessera plastificata, e dunque di uno strumento idoneo al taglio, anch’essa nascosta sotto gli indumenti intimi indossati, la particolare purezza della cocaina avente un THC del 73%, segno di una capacità di approvvigionamento da fornitori di elevato calibro, la circostanza messa in luce dal giudice di prime cure che l’imputato fosse stato arrestato appena sette mesi prima per un delitto anch’esso in materia di stupefacenti sono stati ritenuti indicatori significativi, valutati congiuntamente al dato quantitativo e alla diversa tipologia delle sostanze detenute, di un’attività non episodica di spaccio, destinata ad immettere sul mercato quantitativi potenzialmente considerevoli alla luce dell’organizzazione sia pur rudimentale approntata a tal fine. Quanto all’eccepito travisamento della prova in relazione al panetto di cocaina che la Corte capitolina, come del resto il Tribunale, ha ritenuto destinato alla cessione, la contestazione, oltre ad essere preclusa dal limite del devolutum in presenza di cosiddetta “doppia conforme”, lungi dal far emergere una contraddittorietà processuale, si sostanzia invece, venendo con essa censurata la valutazione data dalla sentenza impugnata alle prove raccolte, in un’inammissibile censura di apparente natura motivazionale. Non è infatti consentito, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente vagliate in sede di merito sollecitandone l’esame attraverso la sovrapposizione di un nuovo scrutinio, posto che il compito del giudice di legittimità è limitato al controllo della coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Del resto, non può ritenersi manifestamente illogica la conclusione tratta da entrambi i giudici di merito dalle specifiche modalità della condotta, essendo stato conferito pregnante rilievo alla presentazione della sostanza che era avvolta con lo stesso nastro adesivo trovato nell’abitazione dell’imputato, segno questo che non era stata affatto appena acquistata come da costui dichiarato, e alla circostanza che fosse stata occultata negli slip che indossava insieme ad una lama di circa 5 cm che è stata ritenuta idonea al taglio, e perciò pronta per la cessione. In ogni caso il diniego dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, sviluppato in termini di lineare logicità e di aderenza alle risultanze istruttorie, si pone in linea con la corrente interpretazione giurisprudenziale che esige, ai fini della sussumibilità della condotta nella fattispecie della lieve offensività, l’apprezzamento del fatto in tutti i suoi aspetti e dunque tenendo conto delle concrete capacità di azione del soggetto e delle sue relazioni con il mercato di riferimento, dell’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, del numero di assuntori riforniti, della rete organizzativa e/o delle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine. 2. Il secondo motivo è inammissibile in ragione della genericità delle doglianze che non si confrontano con le puntuali argomentazioni spese dai giudici di appello in ordine al diniego delle attenuanti generiche. Come è stato reiteratamente affermato da questa Corte, non si tratta di un diritto automatico dell’imputato, che si possa escludere in caso di elementi negativi di valutazione, ma al contrario di un beneficio che presuppone il riconoscimento, in positivo, di elementi tali da giustificare la diminuzione della pena rispetto al prefissato arco edittale. Essendo la finalità della previsione normativa di cui all’art. 62-bis c.p., quella di consentire un trattamento di speciale benevolenza in presenza di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto della personalità dell’imputato, ne deriva che mentre la meritevolezza necessita di apposita motivazione dalla quale emergano in positivo gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, la esplicita motivazione del rigetto si rende invece necessaria solo in presenza di una specifica e motivata richiesta dell’imputato. Ne consegue che quando la relativa richiesta non specifica le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018 – dep. 04/12/2018, D, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/112015 – dep. 9/3/2016, Piliero, Rv. 266460). Nella specie non risulta, al di là della lunga disquisizione contenuta in ricorso sugli elementi di segno positivo, che gli stessi fossero stati mai rappresentati al giudice di appello, e che comunque, stando alla prospettazione di cui alla presente impugnativa, si sostanziano o in valutazioni volte ad escludere la rilevanza di elementi negativi (i precedenti penali, l’attività seriale di spaccio) o nell’evidenziazione di fattori del tutto neutri (quali il fatto che l’imputato svolga attività lavorativa o la condotta processuale che, peraltro, già il Tribunale aveva ritenuto insuscettibile di apprezzamento positivo per essere la versione dei fatti da costui resa stata smentita dalla deposizione della fidanzata e dalla documentazione prodotta): la valutazione, espressa in termini negativi dalla Corte distrettuale, risulta perciò immune da censure. Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato. Segue a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021. Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

Originally posted 2017-11-30 11:05:24.